Le stragi della China/11. Il cane del pescatore

11. Il cane del pescatore

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11.

Il cane del pescatore


Il mandarino Ping-Ciao scoppiava di rabbia.

Appena lasciato libero, invece di essere riconoscente agli europei che gli avevano donata la vita, mentre sarebbero stati nel loro diritto di appiccarlo alle palizzate del villaggio od a qualche grosso ramo, suo primo pensiero era stato quello di mettersi in cerca dei banditi per aver mezzi di vendicarsi di quella inopportuna generosità.

I boxers, quantunque pienamente sconfitti dal fuoco accelerato degli operai, non erano fuggiti molto lontani. Appena accortisi della scomparsa del mandarino, si erano nuovamente radunati per cercare di salvarlo, non volendo per nulla perdere il grosso premio che aveva a loro promesso per la cattura del missionario.

Le loro ricerche non erano state lunghe, poiché l’avevano ritrovato non molto lontano dalla palude, mentre si dirigeva verso il Canale Imperiale, bestemmiando e struggendosi per la bile.

Riunita la banda, il briccone, che non aveva rinunciato alle sue idee di vendetta, per impedire che gli europei ed il missionario potessero fuggire dalla parte del Canale Imperiale, aveva mandato Sum ad avvertire i comandanti delle giunche stazionanti su quel corso d’acqua, di interrompere la navigazione; poi aveva ripreso vigorosamente l’inseguimento.

Ritornato al villaggio, non aveva più trovato che delle rovine. Gli europei erano già fuggiti attraverso le risaie per raggiungere il fiume.

— Siete degli stupidi! — aveva gridato ai banditi. — Vi vantate di espugnare delle città e siete fuggiti come un branco di cervi spaventati, dinanzi ad un pugno d’uomini.

— Non sono ancora in salvo — aveva risposto il capo. — Noi li riprenderemo prima che possano giungere a Tien-tsin o alla costa.

— Intanto sono fuggiti.

— Indovino già la loro idea.

— Allora spiegati.

— Essi cercheranno di raggiungere il Canale Imperiale passando in mezzo alle risaie o scendendo il Tong, che scaricasi precisamente nel suddetto corso d’acqua. Essi credono di essere furbi, noi invece lo siamo più di loro e prepareremo un agguato.

— Dove? — chiese il mandarino.

— In mezzo alle risaie che sono costretti ad attraversare.

— Se tu riesci nel tuo progetto, raddoppio la somma che ti ho promesso.

Il bandito, che conosceva il paese a menadito, divise la sua banda in due drappelli per essere più certo della riuscita.

Mandò il primo, composto d’uomini armati di fucili sull’argine, facendoli imboscare fra i canneti, essendo certissimo che i fuggiaschi sarebbero passati per di là, ed inviò l’altro verso il fiume.

Abbiamo veduto come gli europei, malgrado il tradimento del pescatore, l’incendio delle foreste costeggianti il fiume, fossero felicemente sfuggiti a quei due attentati.

Il mandarino, vistili fuggire verso le paludi, si era provato ad inseguirli: la mancanza di galleggianti lo aveva costretto, almeno pel momento, a ritardare la caccia.

— Si direbbe che qualche genio infernale li protegge! — esclamò con furore, quando vide la loro barca scomparire fra le tenebre. — Dovessero fuggire anche nel deserto di Gobi, io non li lascerò tranquilli un solo momento.

— Andiamo a cercarli sul Canale Imperiale — aveva detto il capo dei banditi, per nulla scoraggiato da quei continui insuccessi.

— Dove mette questa palude? — chiese il mandarino.

— Nel canale.

— Vi sono due giunche da guerra che impediranno a loro di scenderlo o di rimontarlo.

— Allora sono nostri.

— Andiamo a cercare la più vicina.

Ed i banditi, girando la palude, si erano portati sulle rive del canale, fermandosi là dove si trovava la giunca che i fuggiaschi avevano così astutamente ingannata.

Ai segnali fatti dal mandarino, il comandante erasi fatto trasportare alla riva.

— Non è passata nessuna scialuppa montata da stranieri? — gli chiese il mandarino, appena fu sbarcato.

— Non ho veduto che una piccola giunca da pesca che trasportava delle vostre reclute — rispose l’ufficiale.

— Delle mie reclute! — esclamò il mandarino, al colmo dello stupore. — Io non ho arruolato nessuno.

— Allora siamo stati ingannati.

— Spiegati! — urlò il mandarino, che pareva dovesse scoppiare di rabbia.

Il comandante non si fece ripetere due volte il comando e gli narrò per filo e per segno l’incontro fatto col vecchio pescatore.

— Tu sei un asino! — gridò il mandarino. — Non meriteresti di comandare un canotto!

— Io credevo che fossero vostri uomini.

— Ti farò dare cento colpi di bambù sul dorso, imbecille! Dove sono quegli uomini?

— Hanno risalito il canale.

— Hai veduto se a bordo vi erano degli uomini bianchi?

— Non ho veduto che dei cinesi.

— Cosa dici tu, che pretendi di essere tanto furbo? — chiese il mandarino, volgendosi verso il capo dei banditi.

— Che quella giunca trasportava il missionario ed i suoi amici.

— E da che cosa lo arguisci?

— Se fossero stati semplici pescatori non avrebbero saputo che voi davate la caccia a degli europei, né avrebbero inventata la storiella delle reclute.

— Tu sei una testa forte, piena di saggezza — disse il mandarino. — Dove avranno trovata quella giunca da pesca?

— Forse nella palude.

— Allora quei marinai dovevano essere cristiani per aiutare degli stranieri.

— Ve ne sono molti fra i pescatori.

— Stupidi! Farò aprire a loro il ventre o li inchioderò su delle croci; che cosa mi consigli di fare?

— Imbarcarci tutti sulla giunca e risalire il canale. Essi non possono sfuggire poiché Sum, con l’altra nave, guarda l’alto corso del canale.

— E Sum non li lascerà passare come questo imbecille di comandante — disse il mandarino.

Cinque minuti dopo i banditi s’imbarcavano, accomodandosi alla meglio nella stiva e la giunca scioglieva le vele rimontando il canale.

Ping-Ciao, sempre più furioso, passeggiava a gran passi per la coperta, borbottando atroci minacce contro il missionario, contro i suoi compagni ed i pescatori che l’avevano aiutato. Se in quel momento li avesse avuti in sua mano, non ne avrebbe risparmiato uno solo.

Di quando in quando, impotente a frenare le proprie impazienze, saliva sulla prora e spingeva lontano gli sguardi, credendo di veder comparire la vela della barca da pesca.

— Che siano andati tutti a fondo? — si domandava. — O che qualche spirito infernale li abbia fatti volare al di sopra delle campagne?

— Aspettiamo — rispondeva il capo dei banditi, che era molto più paziente. — Non possono già essere fuggiti sott’acqua. Se non li raggiungeremo oggi, li troveremo domani sulla giunca di Sum.

Per sette ore la pesante nave da guerra continuò a rimontare il canale senza nulla aver trovato, spinta da un debolissimo vento che aveva girato al nord. Verso sera, nel momento in cui il sole stava per scomparire fra le nuvole nerissime, annuncianti un prossimo uragano, la ciurma scopriva un ammasso nerastro emergente dall’acqua in prossimità d’una palude. Scorgendosi anche un albero, a cui era ancora appesa una vela, indovinarono subito di che cosa si trattava.

— È una giunca affondata che si è arenata su di un banco sommerso — dissero.

Ping-Ciao, appena avvertito di quella scoperta, aveva dato ordine di avvicinare quell’avanzo.

— Che si tratti della loro nave? — si chiese. — Se sono affondati troveremo i loro cadaveri; avrei preferito però averli vivi nelle mie mani.

Mentre si avvicinavano, si udivano i latrati lamentevoli di un cane.

Il mandarino si volse verso il comandante che se ne stava mogio mogio sulla poppa, pensando alle minacce del consigliere dell’impero.

— Hai veduto un cane sulla giunca che è passata? — gli chiese, con cipiglio.

— Sì, mandarino — rispose l’interrogato.

— Lo riconosceresti vedendolo?

— Era un cane manciù dal pelame nero.

— Ecco almeno una notizia preziosa che ti fa perdonare la tua imbecillità.

Quando furono a trenta metri dalla giunca naufragata, gettarono le ancore e calarono una scialuppa nella quale presero posto il mandarino, il capo dei banditi, il comandante ed alcuni marinai.

Si trattava precisamente della barca del vecchio pescatore. Invece di sommergersi completamente, si era arenata su di un banco che si trovava tre o quattro metri al disotto, in modo che la coperta era rimasta sopra acqua, sebbene molto inclinata.

Un cane di grossa taglia, di razza manciù, dal pelo nerissimo e molto lungo correva da prora a poppa, mandando lamentevoli guaiti.

La scialuppa s’avvicinò alla giunca e si fermò presso la poppa e le persone che la montavano salirono sulla coperta.

— Questa è la nave da pesca che io ho incontrato — disse il comandante. — La riconosco perfettamente.

— Anche il cane conosci?

— Sì, era quello che stava presso il vecchio pescatore che mi ha parlato.

— Cerchiamo se vi è qualche oggetto che possa darci qualche schiarimento — disse il capo dei banditi.

Non essendovi che un metro di acqua nella stiva, i marinai vi si cacciarono dentro, frugando tutti gli angoli. Non erano trascorsi cinque minuti, quando ritornarono portando dei calzoni, delle giacche e dei cappelli che non erano certamente usati dai cinesi. Erano vestiti di europei.

— Le persone che inseguivamo si erano rifugiate su questa barca — disse il capo dei banditi, con accento di trionfo.

— Le prove sono evidenti — rispose il mandarino, vedendo un marinaio a spiegare un vestito da missionario. — Vorrei sapere però come si trovano qui le loro vesti e non i loro cadaveri.

— Perché quei cani di stranieri sono ancora vivi.

— Lo credi tu?

— Questa giunca non è andata a picco da sé; l’hanno fatta affondare spaccando alcune tavole.

— Ed a quale scopo?

— Per far perdere le loro tracce, signore — disse il capo dei banditi. — Forse si saranno accorti della presenza della seconda giunca che incrocia a due miglia da qui.

— E dove vuoi che siano fuggiti?

— Forse in quella palude puzzolente.

— Aveva una scialuppa la giunca? — chiese il mandarino al comandante.

— Sì, e molto ampia — rispose questi.

— Ah! I birbanti ci hanno burlati ancora! — urlò il mandarino. — Dove cercarli, ora?

— C’è qualcuno che si incaricherà di condurci nel loro nascondiglio — disse il capo dei banditi, ridendo sarcasticamente.

— Prometto a costui una borsa d’oro.

— Non sa cosa farne dell’oro.

— Un vestito di seta e delle armi.

— Non indossa mai vesti.

— Chi è dunque quel demonio?

— Questo cane. Egli urla perché non vede il padrone e vorrebbe raggiungerlo.

— Sei un furbo matricolato! — esclamò il mandarino, rasserenandosi. — Tu trovi ripiego a tutto.

— Cerco di esservi utile.

— Ed io saprò ricompensarti largamente — disse il mandarino.

— Andiamo a scovarli prima che guadagnino troppa via su di noi, signore. Il cane non domanda altro che di guidarci dal suo padrone.

Non essendovi acqua sufficiente nella palude per permettere alla giunca di navigare, furono calate due altre barche capaci di contenere una quarantina di banditi e la spedizione partì portando anche il cane, su cui molto contava il capo per trovare più tardi le tracce dei fuggiaschi.

Era il momento in cui l’uragano scoppiava con molta furia, rovesciando sulle paludi torrenti d’acqua.

I banditi, rannicchiati nelle tre scialuppe, se la prendevano filosoficamente, non curandosi altro che di riparare i loro fucili e le munizioni onde, al momento opportuno, non mancassero ai colpi.

Alla luce dei lampi, il capo dei banditi aveva scorto il tempio che si alzava alla estremità della palude e per intuito si era immaginato che gli europei avessero cercato rifugio in quel luogo.

Il cane d’altronde confermava queste sue supposizioni, latrando continuamente con la testa volta verso l’estremità della laguna. Quell’intelligente animale, anche da lontano, sentiva il padrone.

— È una bestia rara — diceva il bandito al mandarino che gli stava seduto presso, senza curarsi dell’acqua che lo inondava. — Ci condurrà direttamente dal padrone.

— Tu supponi che si siano rifugiati in quel vecchio tempio?

— Almeno per mettersi al riparo da questa pioggia — rispose il bandito.

— Lo hai mai visitato?

— Lo conosco perfettamente. Una volta mi servì di rifugio per qualche mese, onde sottrarmi alle ricerche della polizia imperiale.

— Se si potesse sorprenderli e chiudere a loro tutte le uscite.

— So come fare, signore. Vi è un certo passaggio segreto che loro ignorano e che ci permetterà di entrare inosservati nel tempio.

— Fa’ star zitto questo cane! Urla come se lo pelassero vivo.

— Chiama il padrone.

— Ci tradirà. Quando saremo sulla buona via tu lo farai star zitto per sempre — aggiunse il mandarino, con un crudele sorriso.

A mezzanotte le scialuppe, già quasi piene d’acqua, s’accostavano ad una lingua di terra coperta da canneti e da cespugli che conduceva al vecchio tempio.

Il bandito non aveva creduto necessario di andare più innanzi, per evitare di farsi scoprire dai fuggiaschi e di deciderli a riprendere la fuga.

Sbarcò i suoi uomini, legò al cane un pezzo di fune e lo lasciò andare.

L’animale si volse subito verso il tempio, abbaiando allegramente.

— Ora sappiamo dove sono — disse il bandito.

— Sono là dentro — disse il mandarino.

— Sì, e siccome questo gaglioffo potrebbe tradirci coi suoi latrati, lo sopprimo.

Così dicendo il bandito si levò da una cintura un coltellaccio e con un colpo rapido fece rotolare al suolo la testa del povero animale.

— Non sei riconoscente tu — osservò il mandarino.

— Quando un individuo qualsiasi, bestia o uomo, non mi serve più, lo mando all’altro mondo. Almeno sono sicuro che non mi darà più nessuna noia.

— Sei un gran birbante, degno di venire tagliato in diecimila pezzi, o rosicchiato vivo dai topi.

— Silenzio, signore, e non perdiamo tempo. L’uragano sta per cessare e gli uomini che cerchiamo potrebbero approfittare per andarsene.

Divise la sua truppa in due bande, diede alcuni ordini, poi mentre l’una, meno numerosa, si dirigeva verso la gradinata, l’altra girava al largo, accostandosi alle torri.

— Mentre costoro cercheranno di assalire la porta, — disse il bandito, indicando il primo drappello, — noi entreremo pel passaggio segreto.

— Non mi condurrai in qualche imboscata? — chiese il mandarino. — La morte non la temo, però non vorrei andarmene prima di quel missionario.

— Fra pochi minuti ve lo darò in mano.

— Anche suo fratello voglio avere.

— Anche quello.

— E suo figlio.

— Volete sterminarli tutti?

— Vedrai cosa sarà capace di fare Ping-Ciao — disse il mandarino, con voce cupa.

In quel mentre il primo drappello giungeva dinanzi la gradinata. Trovata la porta chiusa e barricata, secondo le istruzioni ricevute dal capo, l’avevano assalita coi calci dei fucili tentando di sfondarla ed urlando a pieni polmoni per far credere di essere in buon numero.

Il secondo si era arrestato dinanzi ad una delle due torri.

— Ecco il passaggio — disse il capo, indicando al mandarino una stretta apertura, appena capace di lasciar passare una persona.

— Accendiamo una torcia? — chiese Ping-Ciao.

— È inutile, conosco la via; seguitemi e li prenderemo tutti.