Le stragi della China/10. La laguna della morte
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10.
La laguna della morte
La palude che i fuggitivi si preparavano ad attraversare per sfuggire ancora una volta all’accanito inseguimento del terribile mandarino, era una delle più tristi e desolanti che fino allora avessero veduto.
I cinesi la chiamano la «laguna della morte», e fino ad un certo punto hanno ragione poiché le sue acque sono sprovviste di pesci e sature di materie così puzzolenti da generare sovente delle febbri perniciose.
Una nebbiola carica di miasmi pericolosi ondeggiava al di sopra dei canneti emergenti in gran numero dal fondo limaccioso, ora alzandosi ed ora abbassandosi bruscamente.
Nessun volatile rallegrava la vista. Gli shui-shui o schiavi di acqua che si trovano dappertutto, gli aironi e le anitre mandarine, così numerose nelle provincie settentrionali della Cina e le oche selvatiche: tutti sfuggivano quel bacino di così tetro aspetto...
Nessuna capanna si vedea sulle rive e sui numerosi isolotti che si mostravano qua e là. Solamente all’estremità, ad una distanza considerevole, si vedeva giganteggiare una cupola immensa, le cui tegole di porcellana gialla mandavano bagliori accecanti come se fossero d’oro.
— Che brutto luogo — disse Enrico. — Si direbbe che questo è il regno della morte.
— Eppure si dice che nel fondo di questo lago esistano delle miniere d’una ricchezza favolosa — disse Sheng.
— E perché non lo prosciugano e lo lavorano?
— Il nostro governo proibisce ai suoi sudditi di toccare le miniere.
— Forse che le serba per sé?
— No, Enrico — intervenne il signor Muscardo. — Proibisce di lavorarle perché dice che l’oro non sfama.
— Io dico invece il contrario.
— Io sono del tuo parere, eppure il governo cinese la pensa diversamente. Questo immenso impero ha in abbondanza delle miniere d’oro, d’argento, e di pietre preziose; tuttavia non sono mai state lavorate.
— Un’idea molto strana, padre mio.
— I cinesi dicono che la vera ricchezza sta nella coltivazione del suolo e non nella ricerca dell’oro, e vedi infatti che questo popolo è un vero maestro in fatto d’agricoltura.
— Non dico il contrario, padre.
— Se poi...
— Silenzio — disse in quel momento il vecchio pescatore.
— Hai udito qualche colpo di fucile, Men-li? — chiese il signor Muscardo.
— Non udite ancora i latrati del mio cane?
— Sì — rispose l’ex bersagliere.
— Vi pare che si avvicinano?
— Non mi sembra.
— Che la giunca non sia andata a fondo? Sarebbe una grave disgrazia per noi, perché indicherebbe ai boxers il nostro rifugio.
— Non hai sfondato alcune tavole?
— Sì — rispose il pescatore che era diventato assai inquieto.
— Allora sarà andata a picco.
— E se in quel luogo si fosse trovato un banco di sabbia? La corrente modifica molto spesso il letto del Canale Imperiale. Maledetto cane! Avrei dovuto ucciderlo.
— Lascialo urlare.
— Potrebbe richiamare l’attenzione dei banditi.
— La notte sta per calare e mi pare che abbia anche intenzione di diventare molto cattiva. Sarà quindi difficile che i boxers possano scorgere lo scafo semisommerso della tua barca.
— E domani?
— Domani! Chissà dove saremo!
— Non avete intenzione di rimanere nascosti nel tempio?
— Pensa che ogni giorno che passa, maggiori difficoltà troveremo per guadagnare la costa — disse il signor Muscardo. — La tua razza sta per scatenarsi, Men-li, e non so quando, né dove si fermerà.
— È vero — rispose il pescatore. — I miei compatrioti si preparano a massacrare tutti gli stranieri che si trovano in Cina.
— Un pericolo che io e mio fratello avevamo già preveduto — disse il signor Muscardo. — Tuttavia non ho ancora perduta la speranza di giungere alla costa e di salvare mio figlio.
Mentre la barca continuava ad avanzare nella laguna, il sole si era oscurato. Delle nubi nerissime, gravide di acqua, si erano alzate verso il settentrione e si avanzavano celeremente, invadendo il cielo.
L’oscurità aumentava rapidamente, essendo già anche il sole prossimo al tramonto.
Pareva imminente uno di quegli uragani che sono così frequenti nelle regioni settentrionali della Cina, specialmente durante i mesi caldi.
Il signor Muscardo ed i suoi compagni si affrettavano per mettersi al coperto, cominciando le acque di quella puzzolente palude ad agitarsi. Non vi erano da temere grosse ondate, non essendovi acqua molto profonda, tuttavia volevano giungere al rifugio prima che l’uragano scoppiasse.
L’oscurità era diventata completa, quando la scialuppa giunse all’estremità della laguna.
A qualche centinaio di passi dalla riva sorgeva il tempio. Era una costruzione molto grande, formata da una cupola immensa e da due torri in gran parte rovinate, con le pareti coperte di piastrelle di porcellana azzurra.
Sulla cima della gradinata che conduceva al tempio, si vedeva una divinità di forme barocche, rappresentante Ma-chu, la dea dei marinai cinesi. Anche quella statua era ridotta in pessimo stato e buona parte della doratura era rosa dal tempo.
Il vecchio pescatore, vedendo alcune piante del sego, andò a spezzare alcuni rami per improvvisare delle torce e li accese dividendoli coi compagni.
— Venite — disse. — Il tempio è in rovina, pure troveremo un rifugio che ci permetterà di passare la notte.
— È disabitato? — chiese il signor Muscardo.
— Da parecchi anni — rispose il pescatore. — Una volta era abitato da moltissimi bonzi, ossia da sacerdoti di Buddha; poi fu abbandonato in causa delle cattive esalazioni del lago. Ora, come vedete, non è altro che un ammasso di rovine.
Salirono la gradinata ed entrarono nel tempio. Era quello uno stanzone vastissimo, di forma quadrata, con moltissime colonne dorate e le pareti coperte di massime di Confucio, il dio dei letterati cinesi.
Nel mezzo si rizzava una specie d’altare, formato da una pietra di dimensioni grandissime sulla quale si compivano un tempo i sacrifizi destinati al Tien (il Cielo).
In alto vi era una grossa campana, con un battaglio lunghissimo, che il vento, entrando dalla porta rimasta aperta, scuoteva vivamente facendogli toccare le pareti di bronzo.
— Ci fermeremo qui? — chiese il signor Muscardo.
— La cupola è troppo guasta perché rimaniamo in questo luogo — disse il pescatore. — Andiamo nella galleria che deve essere ancora in ottimo stato. Ci sarà anche più facile difenderci nel caso che i banditi avessero l’intenzione d’attaccarci.
— Non sarà cosa tanto facile il trovarci.
— Ed il cane, lo avete dimenticato? — chiese il pescatore.
— A quest’ora si sarà annegato.
— Io credo il contrario e se i banditi lo hanno trovato, non sarei meravigliato che ci ritrovasse.
— Non ci mancherebbe altro.
Attraversarono il tempio ed entrarono in una galleria molto bassa, divisa a metà da paraventi e colle pareti coperte di carta fiorata, già guastate dal tempo e dall’umidità.
— Qui staremo meglio — disse il pescatore, abbattendo con un calcio alcuni paraventi per improvvisare dei letti.
Avendo portato con loro una discreta provvista di rami, accesero un allegro fuoco e si prepararono un po’ di thè, servendosi d’un vaso di porcellana trovato in un angolo della galleria ed ancora in ottimo stato; poi essendo tutti stanchissimi si sdraiarono sui paraventi con l’intenzione di fare una buona dormita.
Al di fuori l’uragano cominciava ad infuriare. Si udiva la pioggia scrosciare violentemente sui tetti di porcellana della cupola ed il vento ruggire attorno alle torri.
Il tuono faceva udire la sua voce possente e qualche lampo rompeva la fitta oscurità.
Non ostante quei fragori che crescevano di intensità, i cinque operai, Sheng ed Enrico ed i pescatori dormivano saporitamente; invece Men-li, l’ex bersagliere e padre Giorgio non riuscivano a chiudere gli occhi. Delle vaghe inquietudini li tenevano ostinatamente svegli e sovente l’uno o l’altro si alzava per accostarsi all’uscita della galleria e guardare nell’interno della vasta sala che i lampi, di quando in quando, illuminavano.
Erano trascorse parecchie ore, quando il pescatore, che erasi recato nel tempio, tornò frettolosamente verso i due fratelli, i quali stavano parlando a bassa voce.
— Il pericolo che temeva si avvicina — disse con voce alterata.
— Hai veduto qualcuno? — disse il missionario.
— No, padre!
— Hai udito qualche rumore sospetto?
— Sì, i latrati del mio cane.
— Del tuo cane! — esclamò il signor Muscardo, diventando livido. — Non ti sei ingannato?
— Conosco troppo bene l’urlo di quell’animale — rispose il cinese.
— Che sia venuto solo o che sia seguìto?
— È impossibile saperlo pel momento.
— Che i banditi l’abbiano trovato e se ne siano serviti per farsene una guida? — chiese padre Giorgio.
— Lo sospetto, padre.
— Andiamo fuori — disse l’ex bersagliere, con voce agitata.
Attraversarono il tempio e uscirono sulla gradinata.
L’uragano imperversava con inaudita violenza. La pioggia cadeva a torrenti ed i tuoni si seguivano con cupi rimbombi, mentre il vento sibilava attorno alla grande cupola ed alle torri.
Qualche lampo balenava fra le nubi tempestose, mostrando la superficie del lago agitato e le rive coperte da folti canneti.
I due italiani ed il vecchio cinese tesero gli orecchi curvandosi verso terra.
Fra gli scrosci delle folgori udirono in lontananza dei latrati i quali pareva che si avvicinassero.
— È il mio cane — disse Men-li. — Chiama il padrone.
— Sì, l’odo — rispose l’ex bersagliere. — Ora si tratta di sapere se è solo o accompagnato dai banditi.
— Non si vede nulla — disse padre Giorgio. — Le rive sono coperte da canneti e da alberi.
— Io mi domando come quel cane può aver scoperto il nostro rifugio mentre noi abbiamo attraversata la laguna con la scialuppa — si chiese il signor Muscardo.
— Il mio cane è d’una intelligenza straordinaria — rispose il vecchio pescatore. — Mi ritroverebbe anche in mezzo ad un deserto di sabbie mobili.
— Hai avuto torto a non condurlo con te.
— Temevo fosse un imbarazzo inutile.
— Cosa fare ora?
— Barricarci ed attendere l’alba — suggerì padre Giorgio. — Noi non abbiamo finora alcuna certezza che il cane sia seguìto dai banditi e forse abbiamo torto a spaventarci.
— Torto o ragione, prendiamo le nostre misure per difenderci — disse il signor Muscardo. — La porta del tempio mi pare solidissima.
— E anche le pareti sono molto grosse — disse il vecchio pescatore.
— Se ci rifugiassimo in una delle torri? — chiese padre Giorgio.
— Sono così rovinate che non mi fiderei salire le loro scale — rispose il cinese. — Barrichiamoci qui, e se vedremo che la resistenza non può sostenersi, ci nasconderemo nei sotterranei del tempio.
— Ve ne sono? — chiese Muscardo.
— E di vastissimi; bisognerebbe però uscire dal tempio ed entrare in una delle due torri.
— A questo penseremo più tardi. Andiamo a svegliare i compagni e teniamoci pronti a qualsiasi sorpresa.
Chiusero la porta, che non era molto solida, sprangandola internamente e tornarono nella galleria mentre i latrati continuavano ad avvicinarsi.