Le stragi della China/12. La vittoria dei banditi

12. La vittoria dei banditi

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12.

La vittoria dei banditi


Mentre i banditi prendevano le loro misure per impedire la fuga agli europei ed ai cinesi della giunca rifugiatisi nel tempio, il signor Muscardo, il vecchio pescatore e padre Giorgio si concertavano per opporre una valida difesa.

Convintisi di non poter difendere la sala ove trovavasi l’altare dedicato a Tien, in causa della sua troppa vastità, si erano ritirati in fondo al corridoio, dopo d’aver ammucchiati dinanzi a loro tutti i paraventi che avevano trovato.

All’estremità del corridoio pareva che non vi fosse alcuna uscita, quindi erano almeno certi di non venire presi fra due fuochi.

— Fratello, benedici i combattenti — disse il signor Muscardo, con voce commossa e guardando, con gli occhi umidi, il figlio. — Qui forse noi cadremo tutti.

— Padre — disse Enrico — io non temo la morte al tuo fianco. Non tremare dunque per me.

— Abbracciami, mio bravo ragazzo! — esclamò il signor Muscardo soffocando la commozione che lo invadeva. — Se è destinato che noi dovremo morire, ci ritroveremo riuniti lassù.

I cinesi si erano inginocchiati attorno a padre Giorgio. Il missionario, per quanti sforzi facesse, frenava a malapena un singhiozzo e teneva gli occhi fissi su Enrico.

Non tremava per sé. Aveva già sfidato ben altre volte la morte nei barbari paesi dell’interno e aveva ormai fatto dono della sua vita.

Era commosso pel fratello, pel nipote e per quei poveri e valorosi cinesi che avevano sfidato già tanti gravi pericoli per difenderlo.

— Dio ci guardi — disse. — Io, suo ministro, vi benedico.

I cinesi si erano alzati coi fucili in mano. Erano calmi, tranquilli, come se si trattasse di una cosa da nulla. I mongoli già disprezzano la morte. Non sono che di rado valorosi, mancando di slancio e di organizzazione militare, e tuttavia affrontano serenamente i pericoli e non si curano gran che della loro pelle.

Tutt’al più temono il taglio della testa, non amando andarsene all’altro mondo in due pezzi.

Nel momento in cui preparavano le armi, il primo drappello dei banditi era giunto sulla gradinata del tempio ed aveva investito vigorosamente la porta, cercando di sfondarla coi calci dei fucili.

— Sarebbe inutile opporsi — disse il signor Muscardo. — È così tarlata da non reggere all’urto di quattro o cinque uomini.

— Si avrebbe potuto prolungare la resistenza, padre, ed infliggere al nemico delle perdite considerevoli — disse Enrico.

— Ci saremmo esposti ad un pericolo grave senza alcuna utilità per noi. I banditi sono troppo numerosi.

La porta, martellata dai pesanti calci di quei vecchi fucili, era caduta con fracasso assordante, ed i banditi si erano rovesciati nel tempio come se avessero avuto da spazzare chissà quanti nemici.

Non vedendosi dinanzi alcun difensore, quei bricconi si erano arrestati.

— Che siano di già fuggiti? — si domandò il capo del drappello. — Qui non vi è nessuno.

— Si saranno nascosti in qualche luogo — osservò un bandito.

— Che ci abbiano preparata qualche sorpresa?

— Avanziamoci con prudenza — suggerì un altro. — Gli stranieri hanno dei fucili che sparano trenta colpi al minuto.

Si disposero su due file e cominciarono ad avanzarsi in silenzio, tenendosi curvi.

Giunti all’estremità del tempio senza aver incontrato nessuno, si arrestarono dinanzi alla galleria.

— Che siano nascosti qui dentro? — si chiesero.

L’oscurità era così fitta nella galleria, da non poter distinguere cosa alcuna. Non udendo alcun rumore, cominciarono a diventare inquieti.

— Io dico che abbiamo preso un grosso granchio — disse uno di loro.

— Se ci fossero, a quest’ora ci avrebbero assaliti — disse un altro.

— Il fatto sta che non si vede nessuno — aggiunse un terzo.

— Se accendessimo una torcia?

— Accendiamola — disse il capo del drappello.

— E se aspettassimo gli altri?

— Quando verranno, ci daranno dei poltroni.

— Ed il mandarino ci farà bastonare.

— Accendiamo una torcia — conclusero tutti.

Avendone portate alcune, diedero fuoco a una e s’inoltrarono coraggiosamente nella galleria.

La prima cosa che videro fu un ammasso di paraventi, i quali formavano una specie di barricata.

L’uomo che portava la torcia si provò a muoverne qualcuno. L’aveva appena spostato, quando si udì una voce gridare:

— Fuoco!

Una scarica violentissima rimbombò nella galleria, gettando a terra l’uomo che portava la torcia e altri tre o quattro.

I banditi, spaventati da quella brutale accoglienza, fuggirono a rompicollo, fermandosi all’entrata del corridoio. Si gettarono a terra e cominciarono a rispondere con molto vigore, facendo fuoco sui paraventi.

Il signor Muscardo ed i suoi compagni, avevano impegnata la lotta con grande coraggio. Sapendo di non potere più scappare, erano risoluti a vendere caramente la vita prima di cadere.

Sdraiati dietro ai paraventi, facevano fuoco incessantemente per sbarazzare il corridoio dagli assalitori. Anche padre Giorgio, che era armato d’una rivoltella, sparava contro i nemici.

— Coraggio! — esclamava l’ex bersagliere. — Forse riusciremo a farli fuggire! Vi raccomando di non consumare troppo presto le cartucce!

Le palle fioccavano intorno a loro. I banditi non facevano economia di polvere ed i loro moschetti tuonavano senza posa, con fracasso assordante.

Già due pescatori erano caduti morti ed un operaio rantolava in un angolo, colla testa spaccata.

Anche dalla parte dei banditi le perdite erano sensibili, anzi più gravi, in causa dell’intensità del fuoco degli assediati.

Sette banditi erano ormai fuori combattimento. Ne restavano però ancora quindici e dei più risoluti.

Mentre la lotta continuava con egual rabbia da ambo le parti, il capo dei banditi ed il mandarino, seguìti da venti uomini, si erano introdotti nel passaggio segreto per prendere alle spalle i difensori.

Quel passaggio era una galleria sotterranea assai bassa e così stretta da non permettere di avanzarsi che uno alla volta. Il capo dei banditi, che lo conosceva benissimo essendosene servito più volte onde fuggire agli agguati della polizia imperiale, si era posto alla testa del drappello, raccomandando al mandarino di camminare curvo, essendo il corridoio molto basso.

Si erano inoltrati per circa cinquanta passi, ora scendendo ed ora salendo, quando udirono le prime scariche, le quali si ripercuotevano distintamente anche sotto.

— Hanno cominciato — disse il bandito. — Gli stranieri malmeneranno assai i miei uomini.

— Basta che li tengano a bada — rispose il mandarino.

— Se dovessimo tardare non ne troveremmo più uno. Quegli stranieri hanno del coraggio e delle buone armi.

— Li prenderemo alle spalle?

— Sì, perché suppongo che si siano rifugiati nella galleria del tempio.

— Che si siano accorti dell’esistenza di questo passaggio?

— No, perché è chiuso da una pietra.

— E come entreremo noi?

— Basta premere una molla e la lastra si sposterà da sé. Che baccano! Si fucilano allegramente.

— Facciamo presto — disse il mandarino. — Ho fretta di avere in mano il missionario.

— E gli altri?

— Lascia a me i due fratelli ed il giovane; a te lascio gli altri.

— Taglierò la testa a tutti.

— Me ne lascerai un altro.

— Chi?

— Un giovane cinese che si chiama Sheng. È stato lui a favorire la fuga di mio figlio.

— Io li ucciderei tutti entro il corridoio.

— No, una simile morte sarebbe troppo dolce — disse il mandarino, con accento feroce. — Io voglio godermela un po’ a modo mio.

— Venite: nella galleria si massacrano.

Percorsero quasi correndo l’ultimo tratto sempre seguìti dai loro uomini e si fermarono dinanzi ad una parete. Il capo dei banditi accese un pezzo di torcia che aveva portata con sé e mostrò al mandarino una grande lastra di pietra, di forma rettangolare e che nel mezzo aveva un piccolo anello di ferro.

— È qui che si trova il passaggio? — chiese Ping-Ciao.

— E dietro a quella lastra si trovano gli europei — rispose il bandito, con un ghigno feroce. — Udite le loro voci?

— Pare che ci siano proprio vicini.

I colpi di fucile sparati dal signor Muscardo e dai suoi compagni rimbombavano con strepito assordante nella galleria.

— Avanti — disse il mandarino. — Sono impaziente di avere in mia mano il missionario.

— È presto fatto — rispose il bandito.

Prese l’anello e tirò forte. Allora si vide la lastra di pietra spostarsi, poi abbassarsi a poco a poco, scorrendo entro certe scanalature fatte appositamente.

Un’ondata di fumo avvolse per un momento i banditi, impedendo a loro di vedere ciò che succedeva nella galleria.

Quando fu dissipato, videro a breve distanza gli europei ed i cinesi sdraiati dietro ai paraventi e che facevano fuoco in direzione del tempio.

Il signor Muscardo e Sheng, che si trovavano più vicini alla pietra, vedendo lo sprazzo di luce proiettata dalla torcia che teneva in mano il bandito, si erano subito voltati.

— Siamo presi alle spalle! Fuggite! — gridarono, scaricando i loro fucili.

Padre Giorgio ed Enrico, che in quel momento si erano alzati, si slanciarono sui paraventi, seguìti da Muscardo e da Sheng. Gli altri, che non avevano udito quelle grida in causa del fracasso assordante prodotto dai fucili, non si erano nemmeno mossi.

In quell’istesso momento i banditi, sordi al comando del mandarino di non adoperare le armi da fuoco, abbassarono i fucili e fecero una scarica su quel gruppo.

Tre europei e quattro cinesi caddero a terra fulminati.

Gli altri si alzarono per far fronte al nemico. Venti braccia poderose li afferrarono e li disarmarono.

— Vi sono gli uomini che cercate? — chiese il capo dei banditi, proiettando su di loro la luce della torcia.

— No — rispose il mandarino.

— Vi regalo queste teste! — gridò il capo ai suoi uomini.

Aveva appena pronunciata quella parola che già quei pochi superstiti rotolavano a terra decapitati.

Frattanto Muscardo, Enrico, Sheng e padre Giorgio, fuggivano in mezzo ai paraventi ammonticchiati nella galleria, cercando un nuovo rifugio. Per loro fortuna i banditi che si trovavano nel tempio, avendo scorti i loro compagni, avevano sospeso il fuoco. Diversamente il signor Muscardo ed i suoi compagni difficilmente sarebbero sfuggiti alla morte.

— Che nessuno faccia uso del fucile! — aveva gridato il capo. — Il mandarino li vuole vivi.

— Cento tael a chi prende il missionario e cinquanta per gli altri! — urlò Ping-Ciao.

Tutti si erano scagliati attraverso i paraventi. Anche i banditi che fino allora erano rimasti nel tempio, si erano precipitati nel corridoio.

— Padre, — disse Enrico, vedendo accorrere nemici da tutte le parti — arrendiamoci: ogni difesa è inutile.

— Ci uccideranno egualmente.

— È finita, fratello — disse padre Giorgio. — Raccomandiamo le nostre anime a Dio.

— Sì, dopo che avrò ucciso il mandarino! — urlò il signor Muscardo.

Alla testa dei banditi aveva scorto Ping-Ciao.

Balzò giù dai paraventi impugnando il fucile per la canna e si gettò, a corpo perduto, fra i nemici. L’ex bersagliere, oltre ad essere valoroso, era robusto come un giovane toro.

A calciate si fece largo, gettando a terra quattro o cinque banditi, poi si scagliò contro il mandarino che aveva impugnato il revolver.

— Prendi! — gli gridò, assestandogli una calciata sul viso.

Il mandarino cadde col naso schiacciato.

Il signor Muscardo stava per schiacciargli anche il cranio, quando dieci uomini lo afferrarono e lo sollevarono, impedendogli di continuare la resistenza.

— Uccidetemi, canaglie! — gridò.

— No — disse il mandarino, alzandosi col viso grondante sangue. — Voglio farti pagare questa calciata come m’intendo io.

— Miserabile! — gridò l’ex bersagliere.

Si guardò intorno e si sentì correre un brivido di spavento.

Padre Giorgio, Enrico e Sheng, strettamente legati, venivano portati via.

— Prepariamoci a morire — mormorò.

Il capo dei banditi s’era avvicinato al mandarino, il quale cercava di frenare il sangue che gli usciva in abbondanza dal naso.

— Cosa devo fare? — gli chiese.

— Costruire delle gabbie pel missionario e per i due giovani.

— E l’altro?

— Sapresti trovarmi una kangue?

— Ve n’è una collezione in una di queste torri.

— Sceglierai la più pesante e gliela metterai.

— E poi? Dove andremo?

— Dov’è il campo dei boxers?

— A Palikao.

— Andremo a Palikao e là ci divertiremo, mio caro bandito. Suppongo che non mancheranno colà gl’istrumenti di tortura.

— Ne troverete quanti vorrete.

— Anche dei pettini?

— Ed anche di peggio — disse il bandito con un sogghigno.

— Allora andiamo.