Le sfere omocentriche/VIII. Ulteriori modificazioni fatte al sistema d'Eudosso

VIII. Ulteriori modificazioni fatte al sistema d'Eudosso

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VIII. Ulteriori modificazioni fatte al sistema d'Eudosso
VII. La riforma di Callippo Appendice I

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VIII. Ulteriori modificazioni fatte al sistema d’Eudosso.

I sistemi di Eudosso e di Callippo erano, come già si è fatto notare, semplici costruzioni geometriche ideate per soddisfare alla domanda proposta da Platone, «con quali supposizioni di movimenti regolari ed ordinati si potessero rappresentare le apparenze osservate nel corso dei pianeti». Come si producessero i movimenti di queste sfere, gli autori del sistema non avrebbero saputo dirlo, probabilmente perchè, come astronomi ed osservatori, essi riguardavano il problema delle cause come fuori di loro competenza, e come appartenente piuttosto alla fisica. Ch’essi dunque siano stati gli autori delle sfere solide di cristallo, che furono e sono tuttavia occasione di tanti dispregiativi epifonemi, è una pura supposizione, la quale non ha in sè il minimo fondamento istorico. Eudosso e Callippo non si occuparono neppure del problema di connettere fra di loro i movimenti delle diverse sfere; per essi le sfere di un pianeta formavano un sistema affatto indipendente dalle sfere di un altro, per la semplice ragione, che a spiegare il movimento di ciascun pianeta occorrevano ipotesi adatte specialmente a quello, e indipendenti dalle ipotesi relative agli altri pianeti.

Il problema di connettere in un tutto unico e sistematico l’intiera serie dei movimenti, rendendo le sfere inferiori dipendenti dalle superiori, si presentò invece ad Aristotele, il quale vedeva in una tal connessione meccanica il modo di far valere l’idea fondamentale della sua dinamica cosmica, secondo la quale la forza motrice dell’Universo dovea esser collocata alla [p. 49 modifica]circonferenza e propagarsi fino al centro. Per tal fine egli immaginò di collegare insieme tutte le sfere proposte da Callippo: ad evitare però che i movimenti degli astri superiori si comunicassero agli inferiori, egli, dopo l’ultima e più interiore sfera di ciascun pianeta, e prima della sfera più esterna del pianeta immediatamente inferiore, intercalò un certo numero di sfere nuove, da lui chiamate reagenti. Il modo loro di operare è stato lungamente descritto da Sosigene nel passo che di lui si riporta nell’Appendice II a questa Memoria (§§ 8-13); brevemente si può riassumere così. Siano, per esempio, A B C D le quattro sfere callippiche di Saturno. A la più esteriore, D l’ultima o la più interna, la quale porta in sè incastrato il pianeta, e partecipa ai movimenti delle altre. Se interiormente nella D introduciamo una prima sfera reagente D′ ruotante sui medesimi poli che D con uguale ma contraria velocità, le rotazioni di D e D′ si distruggeranno, ed ogni punto di D′ si muoverà come se fosse connesso invariabilmente colla sfera C. Attaccando dunque entro D′ una seconda sfera reagente C′ ruotante sui medesimi poli che C con uguale ma contraria velocità, le rotazioni di C e C′ si distruggeranno, ed ogni punto di C′ si muoverà come se fosse connesso invariabilmente colla sfera B. Onde, finalmente, attaccando entro C′ una terza reagente B′ ruotante sui medesimi poli che la B con uguale ma contraria velocità, le rotazioni di B e B′ si distruggeranno, ed ogni punto di B′ si muoverà come se fosse invariabilmente connesso colla sfera A. Ma la sfera A avendo per supposizione il moto delle fisse, anche la B′ si muoverà al modo di quelle; e per conseguenza la sfera di Giove si potrà disporre entro B′, come se tutte le sfere di Saturno non esistessero, e come se B′ fosse la sfera stessa delle stelle fisse.

Con questo ragionamento si vede, che quando è il numero delle sfere deferenti di un pianeta qualunque, l’addizione di reagenti distrugge l’effetto di altrettante delle prime, ed impedisce alle sfere inferiori di essere disturbate dai movimenti delle superiori. Ed è chiaro altresì, che per la Luna, che è l’ultimo dei pianeti, non occorrono sfere reagenti. Ecco il numero delle sfere deferenti e reagenti supposto da Aristotele, dietro le ipotesi di Callippo:

deferenti reagenti
per Saturno 4 3
» Giove 4 3
» Marte 5 4
» Mercurio 5 4
» Venere 5 4
» Sole 5 4
» Luna 5 0
Somma 33 22

Il totale è 55, come Aristotele afferma. Sembra però che Aristotele abbia considerato la cosa alquanto superficialmente, perchè in questo numero vi sono sei sfere inutili. Infatti, poichè l’ultima reagente di Saturno ha il moto delle fisse, e la prima deferente di Giove secondo Callippo ha pure il moto delle fisse, queste due sfere, le quali sono contigue, hanno esattamente il medesimo movimento intorno ai medesimi poli, e possono essere surrogate da una sfera unica. Così pure si possono surrogare con una sola l’ultima reagente di Giove e la prima deferente di Marte: con un’altra l’ultima reagente di Marte e la prima deferente di Mercurio, ecc. Un altro abbaglio sembra aver preso Aristotele, circa il quale i suoi numerosi commentatori si sono dati inutilmente una gran pena per giustificarlo. Dice lo Stagirita, che se al Sole e alla Luna non si aggiungano le due sfere introdotte da Callippo, il numero totale [p. 50 modifica]delle sfere deferenti e reagenti si riduce a 47. Ora il vero numero, com’è facile a calcolare, è in questo caso 49. Veggasi nell’Appendice II quanto discorrono Sosigene e Simplicio intorno a tal questione, per noi poco importante.

Di quello che dopo Callippo e Aristotele si fece intorno al sistema delle sfere omocentriche, siamo pochissimo informati. Teofrasto se n’era occupato, e due volte lo troviamo citato in proposito1. Eudemo lo conosceva, e sapeva anche assegnare le ragioni delle mutazioni introdotte da Callippo. A lui più che ad ogni altro dobbiamo quanto si conosce intorno alle sfere omocentriche. Quali ulteriori emendazioni abbia subito nelle scuole peripatetiche, è impossibile sapere. Bensì appendiamo da Simplicio, che fin dai primi tempi fu posta innanzi la formidabile obbiezione, che dovea render il sistema inammissibile, quella cioè che si deduce dalla variabilità di splendore dei pianeti, principalmente di Marte e di Venere, la quale conduceva ad ammettere una variazione nelle loro distanze dalla Terra, fatto assolutamente inconciliabile colla concentricità di tutte le sfere intorno al centro della Terra. A tale obbiezione aveva già dovuto rispondere lo stesso Polemarco, uno dei membri dell’assemblea astronomica tenuta in Atene. Queste difficoltà crebbero e divennero insuperabili, quando si scoperse la variazione dei diametri apparenti del Sole e della Luna, e Sosigene, benchè peripatetico egli stesso, sembra non abbia poco contribuito ad atterrare il sistema, dimostrando questa variabilità. Oltre a quanto disse su tal questione ne’ suoi commentarj all’opera di Aristotele De Cœlo, Sosigene aveva scritto in proposito un’opera περὶ τῶν ἀνελιττουσῶν, che trattava espressamente delle sfere omocentriche. L’unico passo che ci fu conservato di quest’opera2, riguarda appunto i diametri del Sole e della Luna, e ci conduce a concludere con probabilità, che essa fosse pure diretta a confutare le ipotesi d’Eudosso, e a dimostrare ch’esse non soddisfanno alle osservazioni.

Fra gli astronomi che cercarono di spiegare il corso dei corpi celesti colle sfere omocentriche sarebbe a mettere anche Autolico, l’autore di due noti opuscoli, ancora esistenti, sulle nozioni più elementari del moto diurno e del levare e tramontare eliaco degli astri 3. Sventuratamente, quanto dice Sosigene sui tentativi fatti da Autolico per ispiegare come i pianeti appajano ora più, ora meno luminosi, non ci dà alcuna informazione positiva, e neppure ci permette di affermare, che le sue ipotesi fossero analoghe a quelle di Eudosso e di Callippo (V. Appendice II, § 14). A noi non resta a far altro che aggiungere il nome di Autolico a quello dei Greci, che prima di Ipparco si occuparono di ordinare la teoria dell’Universo secondo i fenomeni.

Esaminando i sistemi cosmici dei Greci nell’intervallo di tempo trascorso fra Eudosso ed Ipparco (360-125), troviamo che in quest’epoca le opinioni furono divise in molti partiti. Perchè, mentre gli ultimi dei Pitagorici si attenevano al sistema degli eccentri mobili4, Eraclide [p. 51 modifica]Pontico già sapeva, esser possibile di spiegare i fenomeni nel modo che fu poi adottato da Copernico, e Aristarco aveva proposto formalmente la stessa ipotesi. Altri invece presero a coltivare la teoria degli epicicli, fra questi Apollonio da Perga, e dopo Apollonio, Ipparco. Malgrado questa concorrenza di opinioni, pare che le sfere di Eudosso fino ai tempi d’Archimede, cioè fino alla fine del terzo secolo avanti Cristo, tenessero il principato non solo nelle scuole aristoteliche, ma anche presso gli astronomi. A questa conclusione mi conducono alcune parole di Archimede nell’Arenario, alle quali non sembra che finora siasi prestata molta attenzione. «La maggior parte degli astronomi, dic’egli, suole chiamare mondo una sfera, di cui il centro è il centro della Terra, e il raggio è uguale alla retta condotta fra il centro del Sole e il centro della Terra»5. Questi astronomi, secondo i quali il Sole era ai confini del mondo, non potevano certamente essere nè i Pitagorici coi loro eccentri mobili, nè Apollonio co’ suoi epicicli, nè infine Aristarco. Ma potevano essere appunto i fautori delle sfere d’Eudosso e di Callippo. Perchè Eudosso avea notizia soltanto delle distanze della Luna e del Sole, e sapeva che questo era circa nove volte più lontano di quella. Rispetto alle distanze degli altri pianeti (che generalmente in quel tempo da tutti erano collocati sopra il Sole), nulla vi era di determinato, ed è probabilissimo che, per non supporre intervalli inutili, dei quali non si vedeva alcuno scopo, le sfere motrici di quelli si supponessero vicinissime coincidenti fra loro, poste sopra il Sole a piccolissima distanza, e vicinissime pure alla sfera limite del mondo, cioè a quella delle stelle fisse, dalle quali i cinque pianeti non si distinguevano che per la varietà dei movimenti. Nè il grado di universalità, che Archimede attribuisce all’opinione da lui riferita, ad alcun’altra opinione meglio si attaglia, che a quella delle sfere, in un’epoca, in cui le scuole peripatetiche erano in grandissimo onore.

Combinando poi questa deduzione con quanto gli antichi scrittori ci narrano delle sfere artificiali costruite da Archimede, si potrebbe forse con qualche apparenza di probabilità argomentare, che tali sfere artificiali fossero costruite dietro i principj del sistema di Eudosso e di Callippo. Questo sistema infatti era allora sufficientemente elaborato nelle sue parti per servire ad una imitazione materiale; ciò che non sembra si possa dire degli altri sistemi meno universalmente diffusi nelle scuole. Inoltre è da notare, che il sistema delle sfere omocentriche, per la sua elegante simmetria, sembra fatto apposta per esser tradotto in ingegnosi e semplici meccanismi coll’arte della sferopea, siccome chi ha meditato alquanto sulla struttura di quel sistema può agevolmente riconoscere. Queste sono però semplici congetture, che pongo in mezzo come argomento di ulteriori investigazioni.

Più tardi, le diversità di splendore occorrenti in Marte ed in Venere, e, la constatata variazione dei diametri apparenti del Sole e della Luna, avendo reso inutile ogni sforzo per evitare nel sistema dell’Universo l’irregolarità e la asimmetria proveniente da movimenti eccentrici, la parte geometrica e più interessante del sistema delle sfere dovette cedere all’evidenza dei fenomeni, e cominciò il trionfo degli epicicli. Le scuole aristoteliche allora non avevano ancora chiuso l’occhio e l’orecchio al linguaggio della natura, ed i loro dogmi non si erano ancora cristallizzati sul modello dello Stagirita e de’ suoi commentatori. Vediamo quindi Sosigene stesso, uno dei Peripatetici, riconoscere come ulteriormente inammissibile la rigorosa simmetria dell’Universo intorno al centro; e non meno lealmente vediamo più tardi confessata la stessa cosa da Simplicio. Quei nobili filosofi, accogliendo la verità quale risultava dall’osservazione empirica (esempio troppo poco imitato da certi moderni capiscuola), tenta[p. 52 modifica]rono di mettere d’accordo con essa le conseguenze che derivavano dai principj fondamentali della loro scuola. Da questa tendenza nacque una trasformazione del sistema delle sfere, nella quale fu ammesso l’epiciclo sotto forma di una sfera minore incastrata nella grossezza delle sfere maggiori. Nella figura 21, sia O il centro del mondo, ILKM un deferente concentrico, I il centro di un epiciclo; è manifesto che se con raggi uguali ad OA OB descriviamo intorno ad O due superficie sferiche, BDCE e AFHG, e consideriamo come sfera del pianeta lo strato sferico fra esse compreso; se inoltre immaginiamo che l’epiciclo si costituisca come equatore di una sfera minore AB compresa nella grossezza di quello strato, e che su tale equatore si trovi il pianeta; è palese, che la rotazione simultanea dello strato sferico intorno all’asse del circolo ILKM e della sfera minore intorno all’asse dell’epiciclo I, produrrà lo stesso effetto, che il movimento dell’epiciclo sul deferente, e del pianeta sull’epiciclo. Tale è il sistema delle sfere solide, quale si trova, per esempio, descritto da Adrasto Peripatetico negli estratti che di lui ha dato Teone Smirneo nel suo libro dell’Astronomia, e quale fu ripetuto poi da molti scrittori posteriori fino al secolo XVII, con o senza modificazioni. Questa costruzione forse poteva ancora, fino ad un certo punto, corrispondere alle idee cosmologiche degli Aristotelici, ed in tal senso poteva esser considerata come una derivazione del sistema omocentrico. Ma geometricamente parlando, al sistema omocentrico fu implicitamente e intieramente rinunziato dall’istante, in cui fu ammesso nell’Universo un solo movimento eccentrico rispetto al centro del mondo; e le sfere solide, più che una filiazione delle dottrine d’Eudosso, sono un travestimento di quella degli epicicli. Vera dottrina omocentrica si trova invece ancora presso Alpetragio Arabo, presso Girolamo Fracastoro, e presso il Cosentino G. B. Amici, dei quali il primo nel secolo XII, il secondo ed il terzo nel secolo XVI tentarono nuovamente di spiegare i movimenti celesti con sfere concentriche, rigettando gli eccentri e il moto epiciclico. Ma questi frutti tardivi più non appartengono allo sviluppo organico della scienza, e non formano più parte essenziale della sua storia. Terminerò dunque a questo punto le mie indagini, e sarò pago, se il lettore nel percorrere la presente Memoria avrà provato una piccola parte del piacere, che io ho provato nello scriverla.

Note

  1. V. Append. II, §§ 2 e 13.
  2. Procli, Hypotyposes, ed. Halma, p. 111. Vedi pure la nota (31) dell’Appendice II in fine di questa Memoria.
  3. Analizzati da Delambre, Astr. ancienne I, p. 19-48.
  4. Il sistema degli eccentri mobili, di cui gli storici dell’astronomia non fanno parola, si trova menzionato da varj autori antichi, cioè Gemino, Nicomaco, Proclo e Teone da Smirne; il quale ultimo, trascrivendo Adrasto Peripatetico, ne dà notizia più ampia e più precisa degli altri. Questo sistema è una varietà di quello che fu poi detto Ticonico, ed in esso si deve riconoscere il gradino naturale che condusse alcuni Greci all’idea Copernicana, siccome spero di dimostrare in altra circostanza. Nel mio lavoro Sui precursori di Copernico ebbi occasione di constatare una lacuna nel corso delle idee che guidarono Aristarco, ed altri prima di lui, all’adozione del sistema eliocentrico. Più tardi riconobbi che tal lacuna è appunto riempita dal sistema degli eccentri mobili, al quale in quel tempo io non aveva ancora prestato la dovuta attenzione.
  5. Vedi l’Arenario nell’Archimede di Torelli, p. 319.