Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XXX

Canzone XXIX Sonetto C

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CANZONE XXX.


D
I pensier in pensier, di monte in monte

Mi guida Amor; ch’ogni segnato calle
     Provo contrario alla tranquilla vita.
     Se ’n solitaria piaggia, rivo, o fonte,
     5Se ’n fra duo poggi siede ombrosa valle,
     Ivi s’acqueta l’alma sbigottita;
     E, com’Amor la ’nvita,
     Or ride, or piagne, or teme, or s’assicura;
     E ’l volto che lei segue, ov’ella il mena
     10Si turba, e rasserena,
     Ed in un’esser picciol tempo dura:
     Onde alla vista, uom di tal vita esperto
     Diria, Questi arde, e di suo stato è incerto.
Per alti monti, e per selve aspre trovo
     15Qualche riposo: ogni abitato loco
     È nemico mortal degli occhi miei.
     A ciascun passo nasce un penser novo
     Della mia donna, che sovente in gioco
     Gira ’l tormento ch’i’ porto per lei:
     20Ed appena vorrei
     Cangiar questo mio viver dolce amaro:
     Ch’i’ dico; Forse ancor ti serva Amore
     Ad un tempo migliore:


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     Forse, a te stesso vile, altrui se caro:
     25Ed in questo trapasso sospirando,
     Or porrebb'esser vero, or come, or quando.
Ove porge ombra un pino alto, od un colle,
     Talor m’arresto: e pur nel primo sasso
     Disegno con la mente il suo bel viso.
     30Poi ch’a me torno, trovo il petto molle
     Della pietate; ed allor dico, Ahi lasso,
     Dove se giunto, ed onde se diviso?
     Ma mentre tener fiso
     Posso al primo pensier la mente vaga,
     35E mirar lei, ed obbliar me stesso;
     Sento Amor sì da presso,
     Che del suo proprio error l’alma s’appaga:
     In tante parti, e sì bella la veggio;
     Che se l’error durasse, altro non cheggio.
40I’ l’ho più volte (or chi fia che mel creda?)
     Nell’acqua chiara, e sopra l’erba verde
     Veduta viva, e nel troncon d’un faggio;
     E ’n bianca nube sì fatta, che Leda
     Avria ben detto, che sua figlia perde;
     45Come stella che ’l Sol copre col raggio:
     E quanto in più selvaggio
     Loco mi trovo, e ’n più deserto lido,
     Tanto più bella il mio pensier l’adombra:
     Poi, quando il vero sgombra
     50Quel dolce error, pur lì medesmo assido
     Me freddo, pietra morta in pietra viva;
     In guisa d’uom che pensi, e pianga, e scriva.
Ove d’altra montagna ombra non tocchi,
     Verso ’l maggiore, e ’l più spedito giogo
     55Tirar mi suol un desiderio intenso:
     Indi i miei danni a misurar con gli occhi
     Comincio; e ’ntanto lagrimando sfogo
     Di dolorosa nebbia il cor condenso,
     Alor ch’i’ miro, e penso,


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     60Quanta aria dal bel viso mi diparte,
     Che sempre m’è sì presso, e sì lontano:
     Poscia fra me pian piano,
     Che sai tu lasso? forse in quella parte
     Or di tua lontananza si sospira:
     65Ed in questo penser l’alma respira.
Canzone, oltra quell’alpe
     Là, dove il ciel è più sereno, e lieto,
     Mi rivedrai sovr’un ruscel corrente,
     Ove l’aura si sente
     70D’un fresco, ed odorifero Laureto:
     Ivi è ’l mio cor', e quella che ’l m’invola:
     Qui veder puoi l’imagine mia sola.