Le rime della Selva/Parte prima/Niente triste

Parte prima - Niente triste

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Parte prima - Alla cara anima Parte prima - Il riso


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NIENTE TRISTE.


 
Chi dice ch’io sono triste?
     Non sono triste nïente:
     Qualche volta solamente
     4Ne faccio un poco le viste,

Per burla, o per iscommessa;
     Ed anche perchè m’annoja
     Certa gente in salamoja,
     8Che ognor somiglia a se stessa;

Certa gente frolla e diaccia,
     Che tutti i dì, senza meno,
     Sia nuvolo oppur sereno,
     12Ha sempre la stessa faccia.

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Ah, questo raggio di sole,
     Come mi esilara il core!
     A te sien grazie, Signore:
     16E crepi chi mal mi vuole.

Crepi, veh, se ha da crepare!
     In caso diverso, viva
     Tutta la stagione estiva,
     20E ancor di più, se gli pare.

Eh, vivere e lasciar vivere!
     Questa è la legge che a tutti,
     Brav’uomini e farabutti,
     24Bisognerebbe prescrivere.

Io non vo’ male a nessuno.
     No, davvero! Abbraccerei
     Tutti i dissimili miei,
     28Femine, e maschi, un per uno.

Le femine, soprattutto;
     Perchè ad abbracciare i maschi,
     Comunque la cosa accaschi,
     32Non se ne leva costrutto.

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Ma con le femine invece
     È tutt’un’altra ventura:
     Benedetta la Natura,
     36Che sì gustose le fece!

Ah, sì gustose e leggiadre
     Le bambolone amorose,
     Le sdegnosette golose,
     40Le compiacevoli ladre!

Chi fu quel pocodibuono
     Che osò chiamarle un flagello?
     Nulla quaggiù di più bello;
     44Nulla quaggiù di più buono.

Quei che con lingua impudica
     Presume di dirne male
     È un tanghero senza sale
     48Che non sa quel che si dica.

Saranno a volte un po’ matte,
     Ed anche un po’ birichine;
     Ma, nel far vezzi e moine,
     52Che impareggiabili gatte!

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Ond’è che per mia salute,
     Quand’ero giovine topo,
     E, se non erro, anche dopo,
     56Mi sono molto piaciute.

Ed esse, buon pro lor faccia,
     Mi furon sempre benigne....
     Non dite che nulla strigne
     60Chi molto, anzi troppo, abbraccia. —

Di grazia, per qual cagione
     Avrei da essere triste,
     Se tutto quello ch’esiste
     64Ha la sua brava ragione?

La sua ragion buona e bella,
     La quale fa che ogni cosa,
     O vuoi piacente o nojosa,
     68Sia, non un’altra, ma quella.

Ed ogni cosa che passa,
     Passa per fare del posto,
     E quanto passa più tosto,
     72Più si ravvia la matassa.

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E ogni cosa che finisce,
     Finisce perchè l’affare
     Non può più oltre durare:
     76Chi è che non lo capisce?

Torre il mondo come viene,
     Tra una celia e uno sbadiglio:
     È questo il miglior consiglio
     80Da dare a un uomo dabbene.

Starsene contenti al quia.
     Sebbene un po’ facilona,
     È questa la sola buona
     84E vera filosofia.

E lasciar certe pretese
     Di mettere bocca in tutto,
     Senza poi altro costrutto
     88Che di pagare le spese.

Io, vedete, son contento;
     E venga che ha da venire,
     Il diluvio, il diesire,
     92Io, per me, non mi sgomento.

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Che cosa sarà domani?
     Che cosa sarà stasera?
     Si grattin gli altri la pera;
     96Io me ne lavo le mani.

E terminata la festa,
     Dirò, giacendo supino,
     Sia ringraziato il destino,
     100E buona notte a chi resta. —

Datemi, anime care,
     Fiori selvatici a josa,
     E datemi pur qualcosa,
     104Qualcosina da mangiare.

Quello che cápita: un pollo;
     Quattro salsicce di rito;
     Un porcellino arrostito....
     108Son così presto satollo!

(Quei porcellini arrostiti,
     Come mi fanno patire!
     Mangiandoli, parmi udire
     112I lor pietosi grugniti.

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Subito allor mi ricordo
     Di qualche nostro poeta,
     E per l’affanno e la piéta
     116Vorrei poter esser sordo).

Ho un povero stomachino,
     Pur troppo!... Infine, sapete,
     Datemi quel che volete;
     120Ma non mi date del vino.
 
No, proprio; non ne ho bisogno;
     Anzi, s’ho a dir, mi rivolta:
     Il vin mi fece una volta
     124Sognare un gran brutto sogno.

Era (l’ho bene in memoria)
     Era...; ma lasciamo stare:
     Non c’è sugo a raccontare
     128Una così vecchia storia.

La storia è già molto vecchia,
     E non potrebb’esser breve:
     Lasciamo star: non si deve
     132Svegliare il can che sonnecchia. —

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E non mi date la birra,
     Che forse è peggio del mosto:
     Datemi invece, piuttosto....
     136Che so?... oro, incenso e mirra.

Molto più incenso che oro;
     Molta più mirra che incenso:
     Se non inganna il buon senso,
     140È questa il miglior tesoro.

Quando di mirra sii unto,
     Puoi riposare tranquillo;
     Più non ti punge l’assillo
     144Che insino ad oggi t’ha punto. —

Un po’ di canto non nuoce;
     Ma e’ vuol esser garbato.
     Attenti a riprender fiato,
     148A moderare la voce.

Da giovane anch’io cantavo....
     Le ragazze da accasare
     Mi stavano ad ascoltare,
     152E mi dicevano: Bravo!

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Avevo una voce piena
     E dolce che andava al cuore:
     Così dicean le signore
     156Che m’invitavano a cena.

Ah, la musica, figliuoli,
     La musica è una gran cosa!
     Purga, solleva, riposa,
     160Dissipa fisime e duoli.

Con quanta discrezïone
     Tra’ rami il zeffiro freme!
     Cantate, cantate insieme
     164Qualche leggiadra canzone.

Non c’è bisogno d’osanna,
     E di peana neppure:
     Cantatemi, creature,
     168Una dolce ninna-nanna,

Che senza romper la testa,
     Nè intorbidare la mente,
     M’ajuti bonariamente
     172A fare un poco di siesta;

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O, diciamo, a fare il chilo,
     Com’è dover cristïano
     Di chi parlando toscano
     176Vuol rimanere sul filo.

Amo la musica antica;
     Amo la musica nuova;
     Ma nulla il piacer mi giova
     180S’ha da costarmi fatica.

Ditemi la canzonetta
     Dell’anitrina briaca;
     O quella della lumaca
     184Che s’ammalò per la fretta;

O l’altra del re somaro;
     O quell’ancora del santo
     Che disse al diavolo: Intanto,
     188Pigliati questa, mio caro.

Suvvia! con ordine, ammodo!
     C’era una volta... ma e poi?...
     Così! benissimo! voi
     192Cantate ed io me la godo.

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Daccapo! C’era una volta...
     Che cosa c’era, buon Dio?
     Ho da cantarvelo io?
     196Nebbia ce n’era di molta.

E dàlli! Sembra, Dio buono,
     La favola dello stento.
     Un altro po’ m’addormento.
     200Andiamo! daccapo! a tono!

Ecco! nïente paura!
     Un po’ più forte, contralto!
     Vi guarda il sole dall’alto,
     204Ed io batto la misura.

E tu, Ghituccia, t’accosta;
     Non rimaner sempre in piedi:
     E se ti pizzico, credi
     208Che non l’avrò fatto apposta.