Le prose di Bianca Laura Saibante Vannetti/Sacra Narrazione
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Sacra Narrazione
Letta nella Tornata Terza dell’Accademia li 28 Febbraio sotto il Reggimento di me medesima col nome di Atalia.
Prefazione
Avvegnadioché a questa fiata piaciuto è a voi, Leggiadri Compagni, che la sublime ed orrevole carica di Agiatissimo immeritamente sostenga, io non so dell’onor che a me fate se non assaissimo pregiarmene. Ma poiché il decorosamente sostenerla non estimo io per avventura una buccia di porro, converrà che, per corrispondere all’espettazioni vostre, anzi per non defraudar quelle, io ci ponga un pocolin più di studio che per l’addietro fatto non hommi; ed ora per non vi ristuccare con più lunga dicieria, tostamente la mia novella a narrarvi mi faccio. E poiché cotesta Tornata né di nero e tutto mestizia spiranti accade si faccia, appunto convenevole cosa i’ penso essere che ella tessuta sia di «Mestizia da coturni, e non da scocchi».
Fu Jefte, siccome narrano le Sacre Carte, figliuolo di Galaad e d’una Cortigiana, amendue della Città di Masfa abitatori, il quale, dalla paterna casa pel mortale astio de’ fratelli a lui maggiori d’età poiché ne fu scacciato, venne a starsi nel paese di Tob, dove di gente ragunaticcia capo essendosi fatto, attendeva a vivere di rubagione. Avvenne di quel tempo che il Re di Ammone, come uomo di torbido animo, mosse guerra agli Israeliti i quali, esanimati dal poco valore che in ogni persona della Tribù loro scoprivano, si avvisarono d’avere opportun rimedio all’imminente pericolo ritrovato, quando a Jefte ricorso si facesse. Perciò ad essi inviarono degli Ambasciatori, affine volesse soccorrerli a intendimento che, quando tenuto avesse lo invito, creato l’avrebbono Giudice di tutto Israello. Jefte a sì orrevole proposta, ch’essi gli fecero, in lungo pansier fu e, dubitando forte non eglino lo ingannassero, disse loro così: «E d’onde hommi io caparra di prestar orecchio alle lusinghiere promesse, od acconsentire a queste vostre richieste? e come? non vi siete voi quelli, che sbandeggiato m’hanno dalle paterne abitazioni? e forse tutta fiata non vivete a me inimici? se voi bramate nulla ostante me quel vostro Giudice, e difensor avere, giuratemi ora pel vostro e mio Dio che adempirete ogni promessa». Lo che inteso dissero: «Il Signor Iddio che ci ascolta, sia fra voi e noi, e verace testimonio egli sia che saremo per attendere le promesse, che fatte ora v’abbiamo». Allora Jefte pose in ordine la sua masnada, e prese cammino alla testa di essa verso gl’Israeliti, i quali tutti festevoli l’accolsero, e ad una voce lo esclamarono loro Giudice e Capitano. Salito di questo grado, non volle in modo veruno marciare contro degli Ammoniti prima d’essere della cagione certo, per la quale da essi al suo popolo venisse intimata la guerra; imperché scelti alcuni anziani d’Israele, inviolli al Re di Ammone, affine ad esso ne la addimandassero. Andarono questi a fargliene ricerca, ed intesala si furono bentosto a Jefte di ritorno, il quale in udendo essere da quel Re il Popolo d’Israele di molti reati a torto accagionato, altro espediente non gli ebbe paruto buono che quello di prender l’armi contro esso; ripieno perciò dello spirito di fortezza e di prudenza, scorse tutto il paese oltre il Giordano, che dagli Israeliti era abitato, e ragunò un numeroso esercito, ove anche fece voto al Signore, quando conceduta gli avesse vittoria sopra gli Ammoniti, di sacrificargli in vittima la prima persona, che dalla sua casa ad incontrarlo uscita ne fosse; per la qual cosa il Sommo Iddio mosso dai suoi prieghi gliela concesse. Ma allora che Jefte vittorioso, qual mai altro duce stato fosse, dall’esercito circondato e dal suo Popolo, ricolmo di gioja il petto tra liete grida dei “viva” che d’ogn’intorno l’aria fendeano, da Masfa alla propria casa faceva ritorno, l’unica sua Figliuola tutta giuliva e festante, d’allegrezza piena a suono di tamburelli, danzando e cantando coll’altre sue compagne amiche se gli fece innanzi, la quale egli non prima ebbe veduta che, laceratesi le vestimenta, coprissi di polvere il capo, e cangiato il sommo giubbilo in estrema doglia, sgorgandogli d’improvviso dagli occhi quasi da due fontane copiose lagrime, diè manifesto indizio dell’interno cruccioso affanno, prorompendo in tai detti: «Ahi povero di me! ahi Padre diserto! o infelice mia Figliuola! e sarà pur vero, che tu abbi or ora a finire i giorni tuoi? il tuo aspetto mi ha abbattuto più che fatto non avrebbono i fortissimi eserciti; ah sventurata! quanto meglio sarebbe che, mentre eri ancor pargoletta, chiusi avessi i lumi in sul breve tuo letto! qui raccolti gli ultimi tuoi respiri imprimendoti sulle tenere guance mille baci prestato io t’avrei i paterni estremi uffizi, e ministro ora non sarei della tua morte, perciocché ho fatto un voto al Signore, e non debbo oppormi». A tal inaspettato tragico cangiamento di cose, ed a sì fatto ragionar di Jefte svenne la misera fanciulla per alquanto di tempo; ma poscia, ritornati gli abbandonati spiriti all’uffizio loro, tutta palpitante così rivolta al Genitore a ragionar riprese: «Padre sebben il morir vergine di questa età immatura forte mi pesa, trattatemi pure secondo l’estensioni di vostre promesse; ma prima ch’io colaggiù nella magion sotterranea a star co’ morti discenda, sostenete vi priego almeno che coll’altre mie compagne in sul più vicin monte per lo spazio di due Lune mia virginità troppo obbrobriosa a calde lagrime pianger ne vada, e indi sopra di me si faccia ciò che al Signore per voi fu promesso: morirò contenta tra le vostre braccia dopo avervi degl’inimici vostri glorioso trionfatore veduto; se per sì bella cagion io moro». Jefte mirando il coraggio invitto della Figliuola, l’animo suo divenne qual misero legno che, nel mar agitato e sconvolto, aspra mortal guerra da impetuosi contrari venti sostenga, quinci la memoria de’ favori immensi da Dio ricevuti l’obbliga, quindi gli fanno aspro contrasto il paterno dolce affetto e le pregevoli maniere dell’unica amata Figliuola; ed ora da superno impulso desto al suo Dio il voto rinova, e quando a ricordarsi di lei fa ritorno, e pallido e tremante amutolisce; ma finalmente la memoria de’ celesti benefizi fra i due ha vinto; intantoché novellamente da essa confortato, preso cuore, le concede quanto di tempo richiesto gli ebbe; passato il quale ritornò a casa il Padre, che sopra di essa eseguì il voto che a Dio fatto avea.
Capitolo
La bella libertà che da te ebb’io
A te or la ritorno, tutta umile,
Signor, e tu accetta il voto mio.
Deh pietoso Signor, non ti sia vile
Questa volontà mia, questo intelletto,
Che con amor ti rendo non servile.
E poiché a te rivolsi ogni mio affetto,
Dona ancor tu, Signor, alla tua Ancella
Un sol tuo raggio, che le infiammi il petto;
Così andrò paga di mia sorte bella:
Qual uom, che posta sol in te ogni speme,
Non cura il mar in calma, od in procella,
Che questo nol lusinga, e quel non teme.