Le porretane/Novella II

Novella II

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Novella I Novella III

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NOVELLA II

La moglie di Marchesino Ottabuoni da Firenza con mottevole acto e parole inganna il marito, e libera il nepote dei re di Pranza, che era a iacere cum lei.

Nel tempo ch’el nostro misser Egano Lambertino vechio per Roberto, de Neapoli e de Sicilia gloriosissimo re, fu facto de la marca anconitana viceré, avendo restituito el bastone del capitaniato a la nostra excelsa republica (la qual avca mandato con florido exercito a raquistare Barbiano ed altre terre di Romagna possedute rebelliosamente da molti nostri potenti inimici, dove ad onore della nostra inclita patria consequitte gloriosa victoria), fu uno gran mercantante fiorentino per sinistri colpi de fortuna fallito de molte migliara de ducati, magnifíco conte, clarissimi gentiluomini e voi bellissime e caste donne, nominato Marcasino Ottabuoni, el quale, non avendo se non l’occhio dritto buono, perché il sinistro con uno spino in una sepe (volendo uno sparviero, col quale ucellava in Musello, contado di Firenza, aiutare) disgraziatamente se trasse, venne ad abitare a Bologna presso le case di Muzarelli, prestante famiglia della cita nostra, afln de darse a suo usato excrcizio della mercanzia, com’è costume de’ fíorentini, li quali, piú che altra nazione italica, per fugir el somno e l’oziose piume, niiniche d’ogni spirto gentile, se dáno a la mercanzia e ad altri lucrosi exercizi. Questo Marcasino adunque avendo una bella moglie e di bona nazione, nominata madonna Pippa, de epsa se inamorò uno niissere Aghinolfo, nepote del re di Franzia, chea Bologna in quel tempo era venuto al Studio. De che advenne che, essendo de li a pochi giorni la nostra citá da pestilenzia oppressata (come è spesse volte, con summo damno e iactura del nostro popolo, per essere lei l’emporio dove capitano tutte le gente de Europa». [p. 12 modifica]

e maxime le occidentali), questo mercatante, per evitare el pesiilenzioso pericolo, se ne andò ad Ululano, oppido felsineo, lontano, come sapete voi nostri citadini, da Bologna octo miglia, luoco molto ameno e grazioso per la viriditate di vaghi e fructiferi colli, de lauri, bussi, olivi, fichi, mori e ogne altro fructo che l’Italia quasi produca referti, e de chiari fonti, de nitidi fiumi e de stagni piú che altro nostro paese ornato c pieno. Il che intendendo misser Aghinolfo, ed essindo negli anni de la sua pubertá e novo milite de Amore, strecto dalle sue fiamme, deliberò, fugendo anche lui la fera pestilenzia, sequitarc l’amata donna. E cum questo pensiero solo, cum un suo secreto compagno andò a trovare li ad Ulgiano uno nostro citadino, nominato misser Ludovico di Bruni, scolaro nobile e doctissimo, che ivi s’era anche lui per il pestifero accidente transferito ad una bella abitazione avea sopra una possessione, posseduta ora dal nostro Refrigerio qui presente; col quale nel Studio avea contraete stretta amicizia e benivolenzia, quale parturi poi questo effecto, che, quando de Bologna se parti epso missere Aghinolfo per tornare a casa in Franzia, menò seco questo misser Ludovico, il quale, essendo divenuto oratore, poeta e doctore illustre e celebre, il fece fare primo secretario del re di Franzia, la cui Maiestá, in merito de la sua fede e amore avea portato al nepote, il munificò molto e donnòli onoratamente sei gigli d’oro, che portasse in sua civil arma ovcro insigna, nelle tre liste rosse fra le zalle, come ancora per regale privilegio (quantunque vetusto sia) vedere se puote. Or, essendo venuto ad Ulgiano e ivi stando el regale giovene inamorato, come è decto, se ingegnava ogni ora cum acti e guardi mostrar l’amorosa fiamma del suo cuore a la donna. E questo, tanto e per si fatto modo sollicitò, che, come accade per simili tempi per la dimoranza de la villa, di lei e del marito divenne familiare in tanto che domesticamente andava seco a disenare ed a cena; e in questa domestichezza tanto crebbe, che un giorno commodamente, non essendoli il marito, rasonando cum la donna, li discoperse dextramente il suo amore, in questo modo dicendo: — Dama mia cara, non me posso contenere, — [p. 13 modifica]

traendo tuttavia uno focoso sospiro — non ve scopra l’amorosa passione del mio core, nel quale ve porto per mia dolcezza affigurata viva. Io sono certo che da molto ve siete acorta, come donna prudente, che le vostre bellezze e costumi, sopra ogni altri degni oltra modo me sono piaciuti e singularmente piaceno, come quello che tutto ardo del vostro alto amore e che mai non prendo piacere né conforto, se non quando ve miro, ve contemplo e de voi penso e parlo. Per queste parte ve dico che, se non fusse la paura ch’io porto ne l’animo, temendo ch’el celato amor ve porto non se scopra, non che agli uomini, ma a le insensibile pietre, per mental dolceza parlare di voi sacio me vederci giamai, come quello che tutti i mei pensieri termino in voi. Unde, poi che Amore ha facto la mia gioventú fidele sugelta a la vostra bellezza e nobiltá, ve pricgo cordialmente ve piacia avermi per caro amante e servo, dignandove essere, com’è costume de generosa donna, al mio disio pietosa, dimostrandome qualche effecto, col quale possa cognoscere che al mio amore non siate ingrata, cioè che secretainente, come sapreti fare, possiamo senza téma d’alcuno rasonare e prendere piacere insieme. — E, questo decto, chinati gli occhi a terra e tracto un caldo sospiro, se tacque. Le quale parole revolgendose per el core e per la mente piú volte la donna, e pensando el piacere e il pericolo che da questo amore uscire poteva, ché era posto in giovenile pecto, e la bellezza e l’alta condizione del giovene e le sue dolce ed efficace parole, alfine deliberò (che intravenisse quello che ne volesse) esser al suo amore benigna e pietosa. E per questo a lui in questa forma rispose: — Misser Aghinolfo, se io dicesse non ve avesse di me cognosciuto infiamato, certo io mentirei, advegna che di voi me sia meravigliata assai, vedendo un giovene tanto bello, tanto virtuoso e costumato e de regia nazione disceso, come séti, esserse posto ad amare si caldamente una donna di piú etate, di meno virtú, condizione e bellezze di voi assai; e, quando ben li fusseno quelle bellezze e virtú e tutte quelle parte che voi dicete, dovete existimare che a mi sopra ogni altra cosa sono accepte e care, non tanto per mia gloria, quanto per l’onore mio e del mio marito,. [p. 14 modifica]

a cui sempre per debito la fede matrimoniale servare se debbe; ove, se ’l non fusse che pur a la vostra tenera etate porto compassione, cum voi certo me adirarci, rechedendomi del mio onore. Ma, come se sia, a dimostrazione ch’el vostro valore da me sia estimato e che molto me sia caro il vostro amore, sono contenta, calcando la cara mia onestate, acceptarvi per signore de la mia vita, quantunque poca laude me sia donarme si legiermente ad un fanciullo come voi; e perdonatime se cusi parlo, perché pochi anni aveti. Si che strectamente ve priego che questa cosa nel vostro regai pedo vogliate tener nascosta, che presto, senza stare in piú parole, pigliare il tempo e il modo de adempire i vostri amorosi pensieri; che sará in questa forma. Il mio marito è per absentare de qui presto, per sue occorrenzie, per dui overo tri di, fino in valle de Lamone: come lo intendereti, potreti esser meco, recordandovi per amor de Dio vogliati sopra tutto aver caro il mio onore, tenendo questa cosa segreta. — Non dubitate, donna mia — respose il giovene, — ché prima vorebbe con ogni exemplo di dolore morire che alcuna cosa mai de questo propalare; poiché per la vostra pietosa risposta me aveti facto di speranza il piú contento uomo del mondo. Cusi ve priego in questa disposizione perseverar vogliati, acciò che doppo la data speranza me trovi presto nelle vostre graziose brazza raccolto. — E, a lei recommandandose assai, se parti. Or advenne da inde a pochi giorni ch’el marito de la donna montato a cavallo per andare in valle de Lamone, contado di Faenza, e forsi piú lá, se accaduto fusse, per comprare certa quantitá di seta, fu la partita sua significata per la donna al giovene amante, il quale, piú che altro lieto, venuto la sera da la donna, cum amorusi basi e piacevoli abraciamenti in camera n’andarono e nel lecto coricatosi, prendendo l’uno con l’altro amorosi piaceri. E in questi piaceri avendo consumato circa quatro ore de la nocte, advenne che Marcasino non andò se non ad Imola, perché quivi trovò il venditore de la seta, ch’era venuto li dal signor Zoanne de li Alidosi, parente de casa nostra, per sue facende; col quale facto quello voleva, deliberò retornarse a casa per lo fresco, perché era di state; e, declinato [p. 15 modifica]

quasi in occidente il sole, montò a cavallo e, dextramente cavalcando, giunse a casa. Dismontato, pose il cavallo ne la stalla, che era fuori de casa; poi, andato a pichiar l’usso per andare dentro, la donna quetamenle se levò per vedere chi era che a queU’oUa pichiasse, e, vedendo che era il marito e maravigliandose forte fusse tornato si presto, dixe al giovene con summissa voce: — Oh trista me! l’è mio marito! — A le qual parole levatose subito il giovene tutto spaventato, né sapendo che si fare, perché era novo in tali imprese, disse: — Girne ! lasso noi! come faremo? — A cui rispose la donna, che era callidissima: — Nui faremo bene, non dubitate. Vestitive pur presto e lassareti fare a me: voi verdi meco e aprirò l’usso, ed essendo voi doppo me, io porò la mano avanti il buono occhio de mio marito cura qualche mottevole parole, e voi alora cum dextrezza prestamente usciteti fuori de casa e andaretivene al vostro albergo. E a questo modo voi e io evitaremo pericolo e scandolo. — Vestito il giovene presto, la donna riandò ad aprire l’usso, che picchiato era dal marito spesso, dicendo: — Chi sei che batti? —Io sono Marcasino — rispose lui: —tu me fai pur pichiare questa nocte a tuo modo. — A cui disse la donna: — Or sei tu tornato si presto? — Si sono — disse lui: — apri, se vuoi. — Come la donna ebbe aperto l’usso, subito disse: — Marcasino mio dolce, tu sei il benvenuto per cento migliara de volte. Quando tu me svigliasti per il tuo pichiar, io certo soniava cum mia grandissima letizia che al cieco occhio te era tornata la vista. — E, dicendo queste parole, pose la sinistra palma de la mano sopra il buono, ché vedere non potesse, e con la destra gli fece una fica a rocchio cieco. E il giovene, come li avea insignato la provida Pippa, subito .saltò fuori, e andòne a casa sua, e la donna li chiuse l’usso dietro, dicendoli cl marito: — Mogliata mia, io credo tu sii impacita. — A cui respose: — Certo dico da dovero, — e, baciandolo in fronte, li assetò le come in capo legiadramente. Questa novella, gloriosissimo duca mio, occupò li auscultanti de piacere e riso assai, laudando singularmente la degna virtú [p. 16 modifica]

del narratore; e le generose donne, sotto onesto velo rídendo, dipinsono de rossore li loro candidi visi per il callido effecio de la fiorentina donna. E circa questo elTecto rasonato per la degna compagnia molte parole in laude de le donne, Gregorio Lavagnolo, gentilomo veronese, de costumi e nazione prestante, liberale e piacevole molto, e amico caro e onorando del conte, dixe: — Il proveduto acto de la piacevole donna me invita narrarvi presto uno quasi simile, seguito per uno nostro faceto veronese, strecio amico per sua virtú e fede a casa nostra, come intendercti.