Le poesie religiose (1895)/Dura progenies
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DURA PROGENIES
Lascia a’ tardivi roseti i languidi
Fiori che il niveo dicembre odorano,
Quali amorose memorie ad anima,
4Cui non più tenere speranze infiorano.
Lascia, che molti, come favonj
Nel novilunio su l’onde cerule,
Del Catanese divino agli animi
8Pacati scendano le note querule.
Non rose o dolce-spiranti flauti
A solitario scoglio, non tiepido
Lume di sogni, non baci addiconsi
12A un cor, ch’ai dèmoni si attesta intrepido.
Me fieri aspetti d’ombre, me giovano
Mortali aneliti per aspri culmini,
Me pugne immani d’onde e di naufraghi
16E strida d’aquile fosche tra’ fulmini.
Chi di procaci fantasme ciprie
Sognando popola l’ardente spazio?
Chi muta l’acre vergin d’Empedocle
20Con le multívole putte d’Orazio?
Altrove, o gregge sozzo: te il lubrico
Romagnol fauno conduca a’ pascoli,
Te alletti a’ cozzi lascivi, o all’aure
24Ruttando infamie ti munga e smascoli.
Qui di gagliardi stirpe a’ Celicoli
Insegnò l’algide paure: suonano
Battaglia i vasti antri, cui Stèrope
28E Tifeo d’empie minaccie intronano.
Su l’etnea porta, grave Stesicoro
Arma di bronzei nervi la cetera;
Vibra dal pieno petto la dorica
32Musa il molteplice poema all’ètera.