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Gaio Valerio Catullo - Poesie (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1889)
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Se di qualche diletto è ad uom gentile
     Il ricordar l’opre benigne e pie,
     3Onde mai lealtà non ebbe a vile,

Non mai per voglie nequitose e rie
     lnfranse il giuro ed abusò i Celesti,
     6Nè tentò dell’inganno unqua le vie;

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Quante, o Catullo, quante mai per questi
     Danni ch’or soffri da un ingrato affetto,
     9Gioie sarà che l’avvenir ti appresti!

Poichè quanto di ben fu oprato e detto,
     Tanto, o povero cor, fatto hai per lei,
     12Che di perfido oblio cinge il suo petto.

Or chè più t’assaetti? Ai tetri e rei
     Pensier t’invola; esser d’acciar conviene:
     15Il tuo dolor non è caro agli Dei.

Ahi, ma un antico amor mai non avviene
     Sveller dal seno in un istante: è cosa
     18Difficil troppo e molte al cor dà pene.

Ma qual che sia, tu non avrai mai posa,
     Se non lotti e non vinci: a te quest’una
     21Salute avanza; e tu ti adopra ed osa.

Numi del ciel, s’è in voi pietade alcuna,
     Se alcun soccorso il poter vostro invia
     24A cui la morte il giorno ultimo imbruna,

Or contemplate le miseria mia;
     E se mai puri i dì condussi, or questa
     27Dilungate da me tabe sì ria,

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Che tutte le mie fibre intime infesta,
     E il petto invade di sì vil torpore,
     30Che gioja alcuna al viver mio non resta.

Non chiedo io già, che al suo deserto amore
     Suo malgrado ella torni, o che pudico,
     33Ciò che avvenir non può, torni il suo core:

Io chiedo sol, che questo aspro nemico,
     Che in cor mi siede, ed ha sì fier costume,
     36Fugga da me; questo chied’io, se amico

Alla pietade mia gurda alcun nume.