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Gaio Valerio Catullo - Poesie (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1889)
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Al cor Settimio tenendo stretta
     La sua carissima Acme: “O diletta

Acme, susurrale, s’io pazzamente
     Non t’ami, e assiduo sempre ed ardente,

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5Quanto è possibile che al mondo s’ami,
     Amarti e vivere per te non brami,

Che in Libia o all’arida India soletto
     D’un leone orrido mi trovi a petto!”

Sì parla, e udendolo, qual già a sinestra,
     10Amor propizio sternuta a destra.

Ed Acme, il tenero capo inclinando,
     E su gli estatici occhi baciando

Con la purpurea bocca il suo damo:
     “O mio Settimio, così possiamo,

15Così, gli mormora, dolce amor mio,
     Servir quest’unico signore e dio,

Che ognor più fervido, più acuto ardore
     Strugga nell’intime fibre il mio core.”

Sì parla; e udendola, qual già a sinestra,
     20Amor propizio sternuta a destra

Dei buon auspicio così giovati,
     D’affetto mutuo s’amano amati.

Più della doppia Britannia e della
     Siria Settimio vuol Acme bella;

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25La fedelissima Acme raccoglie
     Tutte in Settimio delizie e voglie.

Chi mai due anime sì lieto e fide,
     Più fausta Venere chi chi mai vide?