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Gaio Valerio Catullo - Poesie (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1889)
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O fondo mio - sabino o tivolese,
     (Chè tivolese — hai nome ben da quanti
     Contro Catullo — astio non hanno, e solo
     Gl’invidiosi — a scommetter son pronti,
     5Che sei sabino) — insomma, o tivolese,
     Qual sei davvero — o che sabin tu sia,
     Ne la tua villa — appresso il borgo io stetti
     Di cuore assai, — chè mi fu quivi dato
     Cacciar dal petto — una canina tosse,

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     10Che incappellai — per dare ascolto al ventre,
     Di laute cene — ahi troppo ghiotto. Ambiva
     Esser da Sestio —— a mensa; e una sciloma
     Ebbi a succhiarmi — avverso al candidato
     Anzio, di ghiaccio — e di velen sì piena,
     15Che un raffreddore, — un’incapacciatura
     Tosto ne presi — e così fiera tosse,
     Che fino a tanto — i visceri schiantommi,
     Che nel tuo seno — asil cercando, a forza
     D’ozio e d’ortica — io me ne son guarito.
     20Grazie a te dunque — e le maggiori io rendo,
     Giacchè non m’hai — fatto pagare il fio
     Del mio peccato. — E non m’oppongo ormai,
     S’altri rei scritti — avrò di Sestio a bere,
     Che a me non tocchi — e infreddatura e tosse,
     25Anzi che a Sestio; — a cui sol viene il ticchio
     D’avermi a cena, — allor che la lettura
     D’un libro orrendo — infliggere mi vuole.