Le poesie di Catullo/44
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | 43 | 45 | ► |
O fondo mio - sabino o tivolese,
(Chè tivolese — hai nome ben da quanti
Contro Catullo — astio non hanno, e solo
Gl’invidiosi — a scommetter son pronti,
5Che sei sabino) — insomma, o tivolese,
Qual sei davvero — o che sabin tu sia,
Ne la tua villa — appresso il borgo io stetti
Di cuore assai, — chè mi fu quivi dato
Cacciar dal petto — una canina tosse,
10Che incappellai — per dare ascolto al ventre,
Di laute cene — ahi troppo ghiotto. Ambiva
Esser da Sestio —— a mensa; e una sciloma
Ebbi a succhiarmi — avverso al candidato
Anzio, di ghiaccio — e di velen sì piena,
15Che un raffreddore, — un’incapacciatura
Tosto ne presi — e così fiera tosse,
Che fino a tanto — i visceri schiantommi,
Che nel tuo seno — asil cercando, a forza
D’ozio e d’ortica — io me ne son guarito.
20Grazie a te dunque — e le maggiori io rendo,
Giacchè non m’hai — fatto pagare il fio
Del mio peccato. — E non m’oppongo ormai,
S’altri rei scritti — avrò di Sestio a bere,
Che a me non tocchi — e infreddatura e tosse,
25Anzi che a Sestio; — a cui sol viene il ticchio
D’avermi a cena, — allor che la lettura
D’un libro orrendo — infliggere mi vuole.