Le piacevoli notti (1927)/Notte undecima/Favola prima

Notte undecima - Favola prima

../ ../Favola seconda IncludiIntestazione 23 ottobre 2021 75% Da definire

Notte undecima Notte undecima - Favola seconda

[p. 159 modifica]

FAVOLA I.

Soriana viene a morte, e lascia tre figliuoli, Dusolino, Tesifone e Costantino Fortunato; il quale per virtú d’una gatta acquista un potente regno.

Molte volte, amorevoli donne, vedesi un gran ricco in povertà cadere, e quello che è in estrema miseria ad alto stato salire. Il che intervenne ad un poverello, il quale, essendo mendico, pervenne al stato regale.

Trovavasi in Boemia una donna, Soriana per nome chiamata; ed era poverissima, e aveva tre figliuoli, l’uno di quali dicevasi Dusolino, l’altro Tesifone, il terzo Costantino Fortunato. Costei altro non aveva al mondo che di sostanzia fosse, se non tre cose: cioè uno albuolo, nel quale le donne impastano il pane, una panara, sopra la quale fanno il pane, ed una gatta. Soriana, già carica d’anni, venendo a morte, fece l’ultimo suo testamento; e a Dusolino suo figliuolo maggiore lasciò l’albuolo, a Tesifone la panara e a Costantino la gatta. Morta e sepolta la madre, le vicine per loro bisogna quando l’albuolo quando la panara ad imprestido lor chiedevano; e perchè sapevano loro esser poverissimi, gli facevano una focaccia, la quale Dusolino e Tesifone mangiavano, lasciando da parte Costantino minor fratello. E se Costantino gli addimandava cosa alcuna, rispondevano che egli andasse dalla sua gatta, che glie ne darebbe. Per il che il povero Costantino con la sua gatta assai pativa.

La gatta, che era fatata, mossa a compassione di Costantino, e adirata contra i duo fratelli che sí crudelmente lo trattavano, disse: — Costantino, non ti contristare; perciò che io provederò al tuo e al viver mio. — Ed uscita di casa, se n’andò alla campagna; e fingendo dormire, prese un lepore, che a canto [p. 160 modifica]le venne, e l’uccise. Indi andata al palazzo regale e veduti alcuni corteggiani, dissegli voler parlar col Re: il qual, inteso che era una gatta che parlar gli voleva, fecela venire alla presenza sua; e addimandatala che cosa richiedesse, rispose, che Costantino suo patrone gli mandava donare un lepore che preso aveva: e appresentollo al Re. Il re, accettato il dono, l’addimandò chi era questo Costantino. Rispose la gatta, lui esser uomo che di bontà, di bellezza e di potere non aveva superiore. Onde il re le fece assai accoglienze, dandole ben da mangiare e ben da bere. La gatta, quando fu ben satolla, con la sua zampetta con bel modo, non essendo d’alcuno veduta, empí la sua bisciaccia, che da lato teneva, d’alcuna buona vivanda; e tolta licenzia dal re, a Costantino portolle. I fratelli, vedendo i cibi, di quai Costantino trionfava, li chiesero che con loro i partecipasse: ma egli, rendendogli il contracambio, li denegava. Per il che tra loro nacque una ardente invidia, che di continovo rodeva loro il core.

Costantino, quantunque fusse bello di faccia, nondimeno, per lo patire ch’aveva fatto, era pieno di rogna e di tigna, che gli davano grandissima molestia; e andatosene con la sua gatta al fiume, fu da quella da capo a piedi diligentemente leccato e pettinato, e in pochi giorni rimase del tutto liberato. La gatta, come dicemmo di sopra, molto continoava con presenti il palazzo regale, e in tal guisa sostentava il suo patrone. E perchè oramai rincresceva alla gatta andar tanto su e giú, e dubitava di venire in fastidio alli corteggiani del re, disse al patrone: — Signor, se tu vuoi far quanto ti ordinerò, in breve tempo farotti ricco. — E in che modo? d— isse il patrone. Rispose la gatta: — Vieni meco, e non cercar altro, che sono io al tutto disposta di arricchirti. — E andatisi insieme al fiume, nel luoco ch’era vicino al palazzo regale, la gatta spogliò il patrone, e di commun concordio lo gettò nel fiume: dopo’ si mise ad alta voce gridare: — Aiuto, aiuto! correte che messer Costantino s’annega! — Il che sentendo il re e considerando che molte volte l’aveva appresentato, subito mandò le sue genti ad aiutarlo. Uscito di acqua messer Costantino e vestito di [p. 161 modifica]nuovi panni, fu menato dinanzi al re, il quale lo ricevette con grandi accoglienze; e addimandatolo per qual causa era stato gettato nel fiume, non poteva per dolor rispondere: ma la gatta, che sempre gli stava da presso, disse: — Sappi, o re, che alcuni ladroni avevano per spia il mio patrone esser carico di gioie per venire a donarle a te, e del tutto lo spogliorono; e credendo dargli morte, nel fiume lo gettorono, e per mercè di questi gentil’uomini, fu da morte campato. — Il che intendendo, il re ordinò che fusse ben governato ed atteso. E vedendolo bello, e sapendo lui esser ricco, deliberò di dargli Elisetta sua figliuola per moglie, e dotarla di oro, di gemme e di bellissime vestimenta. Fatte le nozze e compiuti e triunfi, il re fece caricare dieci muli d’oro, e cinque di onoratissime vestimenta, e a casa del marito, da molta gente accompagnata, la mandò.

Costantino, vedendosi tanto onorato, e ricco divenuto, non sapeva dove la moglie condurre, e fece consiglio con la sua gatta; la quale disse: — Non dubitar, patrone mio, che ad ogni cosa faremo buona provisione. — Cavalcando ogni uno allegramente, la gatta con molta fretta caminò avanti; ed essendo dalla compagnia molto allontanata, s’incontrò in alcuni cavallieri, a’ quali ella disse: — Che fate quivi, o poveri uomini? partitevi presto, che una gran cavalcata di gente viene, e farà di voi ripresaglia; ecco che l’è qui vicina: udite il strepito delli nitrenti cavalli! — I cavallieri spauriti dissero: — Che deggiamo adunque far noi? — Ai quali la gatta rispose: — Farete a questo modo. Se voi sarete addimandati di cui sete cavallieri, rispondete animosamente: Di messer Costantino, e non sarete molestati. — E andatasi la gatta piú innanzi, trovò grandissima copia di pecore e armenti, e con li lor patroni fece il somigliante; e a quanti per strada trovava, il simile diceva. Le genti che Elisetta accompagnavano, addimandavano: — Di chi siete cavallieri, e di chi sono tanti belli armenti? — e tutti ad una voce rispondevano: — Di messer Costantino. Dicevano quelli che compagnavano la sposa: — Adunque, messer Costantino, noi cominciamo sopra ’l tener vostro entrare? — ed egli col capo affermava di sí; e parimenti d’ogni [p. 162 modifica]cosa ch’era addimandato, rispondeva di sí. E per questo la compagnia gran ricco lo giudicava. Giunta la gatta ad una bellissimo castello, trovò quello con poca brigata; e disse: — Che fate, uomini da bene? non vi accorgete della roina che vi viene a dosso? — Che? — disseno e castellani. — Non passerà un’ora, che verranno qua molti soldati, e vi taglieranno a pezzi. Non udite i cavalli che nitriscono? non vedete la polve in aria? E se non volete perire, togliete il mio consiglio, che tutti sarete salvi. S’alcuno v’addimanda: di chi è questo castello? diteli: di messer Costantino Fortunato. — E cosí fecero. Aggiunta la nobil compagnia al bel castello, addimandò i guardiani di cui era; e tutti animosamente risposero: — Di Messer Costantino Fortunato. — Ed entrati dentro, onorevolmente alloggiarono. Era di quel luogo castellano il signor Valentino, valoroso soldato, il quale poco avanti era uscito dal castello, per condurre a casa la moglie che novamente aveva presa; e per sua sciagura prima che aggiungesse al luogo della diletta moglie, gli sopraggiunse per la strada un subito e miserabile accidente, per lo quale immantinenti se ne morí. E Costantino Fortunato del castello rimase signore. Non passò gran spazio di tempo, che Morando, re di Boemia, morí; ed il popolo gridò per suo re Costantino Fortunato per esser marito di Elisetta figliuola del morto re, a cui per successione aspettava il reame. Ed a questo modo Costantino, di povero e mendico, signore e re rimase; e con la sua Elisetta gran tempo visse, lasciando di lei figliuoli successori nel regno. —