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162 notte undecima

cosa ch’era addimandato, rispondeva di sí. E per questo la compagnia gran ricco lo giudicava. Giunta la gatta ad una bellissimo castello, trovò quello con poca brigata; e disse: — Che fate, uomini da bene? non vi accorgete della roina che vi viene a dosso? — Che? — disseno e castellani. — Non passerà un’ora, che verranno qua molti soldati, e vi taglieranno a pezzi. Non udite i cavalli che nitriscono? non vedete la polve in aria? E se non volete perire, togliete il mio consiglio, che tutti sarete salvi. S’alcuno v’addimanda: di chi è questo castello? diteli: di messer Costantino Fortunato. — E cosí fecero. Aggiunta la nobil compagnia al bel castello, addimandò i guardiani di cui era; e tutti animosamente risposero: — Di Messer Costantino Fortunato. — Ed entrati dentro, onorevolmente alloggiarono. Era di quel luogo castellano il signor Valentino, valoroso soldato, il quale poco avanti era uscito dal castello, per condurre a casa la moglie che novamente aveva presa; e per sua sciagura prima che aggiungesse al luogo della diletta moglie, gli sopraggiunse per la strada un subito e miserabile accidente, per lo quale immantinenti se ne morí. E Costantino Fortunato del castello rimase signore. Non passò gran spazio di tempo, che Morando, re di Boemia, morí; ed il popolo gridò per suo re Costantino Fortunato per esser marito di Elisetta figliuola del morto re, a cui per successione aspettava il reame. Ed a questo modo Costantino, di povero e mendico, signore e re rimase; e con la sua Elisetta gran tempo visse, lasciando di lei figliuoli successori nel regno. —