Le pantere di Algeri/Capitolo 25 - L'assassinio di Culchelubi

Capitolo 25 — L'assassinio di Culchelubi

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Capitolo 25 — L'assassinio di Culchelubi
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25.

L'ASSASSINIO DI CULCHELUBI


Durante la giornata, nessun nuovo avvenimento era venuto a confortare le speranze dei due prigionieri. Il pranzo era stato loro recato, come il giorno precedente, qualche ora prima che cominciasse ad imbrunire, ma nessun altro biglietto avevano trovato nella pagnotta, e sul volto arcigno del carceriere non avevan scorto indizio che egli potesse sapere qualche cosa circa la loro liberazione.

Cominciavano già a disperare, quando dopo il tramonto videro aprirsi la porta ed entrare quattro giannizzeri armati di fucili e di yatagan condotti da un altro guardiano che prima di allora non avevano mai notato.

— Preparatevi a partire — disse ai due prigionieri un po' in spagnolo ed un po' in maltese.

— Dove ci volete condurre? — chiese il barone, fissandolo attentamente.

— Obbedite, cani di cristiani — dispose il guardiano, ruvidamente.

Testa di Ferro ed il barone si erano scambiati uno sguardo inquieto.

— Signore — disse il servo, sottovoce. — Che queste canaglie abbiano sospettato che si doveva liberarci?

— Vedremo — rispose il barone. — Per ora obbediamo.

— Ho il cuore che mi trema, signore.

Vedendo il guardiano alzare minacciosamente la frusta che teneva in mano, si erano affrettati a balzare in piedi mettendosi in mezzo ai giannizzeri, i quali cominciavano già a guardarli cogli occhi torvi.

Furono fatti uscire dalle gallerie sotterranee delle matamur, ingombre di sentinelle e condotti fuori dal cortile, in riva al mare. Dinanzi alla torre, sotto la cui base avevano già trascorsi due giorni, una scialuppa montata da dodici marinai armati fino ai denti li aspettava, al comando d'un ufficiale.

— Salite — disse il guardiano, spingendoli. — E voi altri, incatenateli solidamente e ricordatevi che dovete rispondere colla vostra testa della fuga di questi cristiani. Sono stati particolarmente raccomandati dal cadi del capitano generale.

Quattro marinai si erano impadroniti del barone e di Testa di Ferro legando loro le braccia dietro il dorso ed incatenandoli al banco di mezzo. Ciò fatto, ad un comando dell'ufficiale la scialuppa aveva preso il largo, passando fra la moltitudine di navi, di feluche, di orche, di sciabecchi e di battelli che ingombravano la baia e la fronte della gettata.

Testa di Ferro, spaventato per quell'inesplicabile viaggio che non gli prometteva nulla di buono, guardava il barone, il quale si sforzava di mostrarsi tranquillo, quantunque invece anche lui fosse stato assalito da profonde inquietudini.

— Signore — disse a mezzavoce, in dialetto catalano, che il barone comprendeva benissimo e che difficilmente i berberi potevano forse comprendere. — Cosa ne dite di questa partenza ad un'ora così tarda? Che quel maledetto cadi si sia accorto che il mirab tramava la nostra liberazione.

— Non so che cosa dire — rispose il barone. — Avrei però desiderato che ci avessero lasciati nella nostra cella, quantunque mi sembri un po' difficile che i nostri amici abbiano potuto trovare qualche mezzo per toglierci da quel sotterraneo.

— Che questi marinai e questo ufficiale siano invece d'accordo col mirab? e colla principessa? Che qualche fregatario ci aspetti in qualche luogo della baia?

— In tal caso l'ufficiale ci avrebbe detto qualche parola o fatto qualche segno, mentre invece mi sembra che ci guardi con occhi poco benevoli.

— Dove ci condurranno?...

— Mi viene un sospetto, Testa di Ferro.

— Quale?

— Che ci traducano, per maggior sicurezza, a bordo di qualche galera. Non vedi che la scialuppa si dirige verso quei grossi fanali che scintillano laggiù presso il faro?

— Sono fanali di galere da guerra, signore?

— Sì, mio povero Testa di Ferro.

— Allora devono essersi accorti che si lavorava per farci fuggire dal bagno. Qualcuno deve averci traditi.

— In tal caso non vorrei trovarmi nella pelle del mirab — disse il barone. — Fortunatamente nulla prova finora che il cadi ed i guardiani abbiano saputo ciò che progettavano i nostri amici. Hai distrutto il biglietto, o lo tieni ancora in tasca!

— Ho fatto di meglio signore: l'ho inghiottito dietro la pagnotta.

— Sei stato prudente, Testa di Ferro.

— E tuttavia non sono ancora tranquillo, signor barone. Mi pare sempre di sentirmi attraverso al corpo uno di quegli orribili pali d'acciaio e di provare il freddo del metallo nelle mie viscere.

— Non c'è motivo di spaventarsi, almeno per ora. Se Culchelubi non ci ha fatti morire la prima volta, spero che non lo farà ora. Ecco, ho indovinato quando diceva che ci conducevano a bordo di qualche nave. Vedi le galere?

— Sì, signor barone.

— La scialuppa si dirige verso di esse. Forse il capitano generale non si fidava a lasciarci nel bagno, per paura che ci si facesse rapire di là da quel fregatario di cui ti ha parlato il cadi.

— In tal caso più nessuno ci libererà — gemette il catalano.

— Pur troppo, amico. Una galera è ben più difficile da scalare che un bagno.

— E proprio questa sera ci hanno levati di là!... Decisamente noi non abbiamo fortuna, signor barone.

Il gentiluomo non rispose, ma fece col capo un segno d'approvazione. Anche egli ormai cominciava a perdere ogni speranza e si riteneva irremissibilmente condannato a finire i suoi giorni schiavo di qualche feroce berbero o di qualche arabo.

La scialuppa, spinta vigorosamente dai dodici remi, era uscita da quel caos di navi e si dirigeva rapidamente verso la parte orientale della baia, dove si vedevano ergersi, fra la semioscurità, le altissime antenne d'alcune galere. In meno di dieci minuti attraversò la rada e abbordò a tribordo la più grossa di quelle navi, che si trovava ancorata a due o trecento passi dalla gettata. Al grido lanciato dall'ufficiale, i marinai della galera avevano lasciata cadere una scala di canapa ed avevano portato a tribordo due grossi fanali. Il barone e Testa di Ferro furono slegati e invitati a salire. Appena giunti sulla tolda, quattro uomini si impadronirono di loro, tornarono a legarli, poi li condussero verso il quadro di poppa che appariva illuminato.

— Non è già nella sentina che ci mandano — osservò Testa di Ferro.

La porta fu aperta e furono spinti in una cabina vasta, ammobiliata sontuosamente alla moresca, con soffici tappeti al suolo, tende di seta alle pareti e divanetti di broccato all'ingiro. Un uomo stava semisdraiato su uno di quei divani, fumando il narghilè.

Nel vederlo, il barone ed il catalano non avevano potuto frenare un moto istintivo di terrore: avevano riconosciuto nel fumatore il terribile corsaro del Mediterraneo, Culchelubi.

— Ben lieto di rivederti barone — disse il capitano generale, con accento un po' ironico. — Si vede che quantunque tu sia cristiano, hai la pelle dura. D'altronde non mi stupisco: sei uomo di guerra.

Il barone lo guardò alteramente, senza rispondere.

— Giovanotto — proseguì Culchelubi, dopo di aver aspirato un'altra boccata di fumo. — Mi premeva di vederti per dirti che abbiamo messo le mani sul fregatario che ti ha condotto qui, in Algeri.

Il signor di Sant'Elmo fece uno sforzo supremo per non tradire l'angoscia interna. Di quale fregatario parlava il capitano generale? Del Normanno o di quello che aveva una feluca verde?

— So già che il tuo servo ha confessato tutto — disse, Culchelubi, dopo un altro breve silenzio. — Era molto tempo che avevo dei sospetti su quell'uomo che si spacciava per un mercante marocchino e per un buon mussulmano. Questa volta però finirà le sue corse entro un buon mortaio o sulla bocca d'un cannone. È qualche po' di tempo che i buoni algerini si lagnano di non veder più uomini volare in aria a brandelli. Voglio accontentarli.

Un sorriso feroce aveva contratte le labbra della pantera d'Algeri. Certo era soddisfatto di quell'idea.

Guardò Testa di Ferro, con quegl'occhi grigiastri che avevano dei riflessi metallici e che facevano fremere i più coraggiosi, quindi disse:

— Tu, uomo panciuto, lo conosci bene quel fregatario maledetto, è vero?

— Sarà poi lui? — balbettò il catalano, che si sentiva tremare le gambe.

— Tu hai detto al caid che aveva una feluca dipinta in verde.

— Ve ne possono essere delle altre tinte d'egual colore, signore.

— Io non bado alla barca, bensì all'uomo — disse Culchelubi.

— Potete esservi ingannati — rispose Testa di Ferro che inorridiva all'idea di dover mandare alla morte un innocente.

— Ma non t'ingannerai certo tu e nemmeno il tuo padrone. Il fregatario è stato arrestato quest'oggi, mentre si preparava a salpare per la Tunisia e quantunque si protestasse mussulmano e negasse d'aver mai imbarcato, né conosciuto, né tu, né il tuo padrone, lo abbiamo chiuso nel bagno di Kuluglis. Domani egli sarà tradotto qui e per la morte di tutta la cristianità, vedremo se avrete il coraggio di non volerlo riconoscere per quello che vi ha trasportati ad Algeri.

— E se non fosse lui? — chiese il barone.

— Tanto peggio per voi, giovanotto — rispose Culchelubi. — Non vorrei trovarmi al vostro posto. I pali di ferro ed i ramponi non mancano nei bagni d'Algeri, come non mancano le colubrine.

— Io non manderò mai alla morte un uomo innocente.

— In tal caso pagherete per lui.

— Questa è una infamia! — esclamò il barone.

— Chiamala come vuoi, non farà alcun effetto sulla coscienza di Culchelubi — rispose il corsaro, alzando le spalle.

Battè le mani. Due uomini, due schiavi cristiani macilenti, coi volti coperti di cicatrici, prodotte probabilmente dalle terribili bastonate che dispensava il loro feroce padrone, erano entrati timidamente, tenendo gli sguardi, fissi sul randello che si trovava presso il divano e di cui certo conoscevano il peso.

— Mandate uno dei miei ufficiali al bagno di Koluglis, coll'ordine che per domani mattina sia qui il fregatario arrestato quest'oggi e fate preparare un cannone dinanzi alla moschea di Jussuf. Desidero che i buoni algerini si divertano. Ora conducete questi uomini nella sentina, mettete loro i ferri alle mani ed ai piedi e non lasciateli un solo istante. Chissà se domani sera saranno vivi, quindi mi preme che non fuggano.

I due schiavi s'inchinarono in silenzio, afferrarono il barone e Testa di Ferro e li spinsero fuori con studiata brutalità.

— Siamo morti — gemette Testa di Ferro, che pareva fosse imbecillito dal terrore.

Furono fatti scendere nel frapponte, poi nella sala che era illuminata da una lanterna e assicurati ad un anello di ferro appeso alla parete, mediante una sottile funicella che con una sola strappata si poteva spezzare. Poi i due schiavi si sedettero presso di loro, spingendo lontano coi piedi le catene che avevano portate. Il barone, un po' sorpreso, si era messo a guardarli, chiedendo:

— Non ci incatenate?

— Non ve n'è bisogno — rispose uno dei due, in maltese.

— Se Culchelubi scendesse?

— Non scenderà che all'inferno e fra poco, ma per non uscirne più mai. Volete approfittare?

Scambiò col compagno uno sguardo d'intelligenza, poi accostandosi al barone, gli disse:

— Voi siete un fregatario, è vero?

— No, un capitano di galera maltese.

— Ed il vostro compagno?

— Cristiano pure, e voi?

— Rinnegati per necessità o meglio, per salvare la vita.

— Che cosa avete voluto dire poco fa con quella frase: se volete approfittare?

Il rinnegato ebbe un momento di esitazione ed interrogò il compagno collo sguardo. Avendo ricevuto un segno affermativo, disse con voce appena distinta:

— Fra poco su questa galera echeggierà il grido: Hanno assassinato Culchelubi.

— Eh! — fece il barone. — Voi osereste?

— Siamo in venti fra rinnegati francesi, italiani, fiamminghi e spagnoli, decisi a finirla con quel miserabile tormentatore di cristiani, e questa notte, accada quello che si vuole, agiremo. Voi che siete cristiano e che, a quanto ho udito, correte il pericolo di non veder il tramonto di domani, unitevi a noi. Un capitano di galera ci sarà utile per guidarci in alto mare.

— Avete pensato alle difficoltà d'una simile impresa e agli atroci supplizi che vi attenderebbero nel caso che il vostro disperato tentativo non riuscisse?

— Nessuno più ci tratterrà — rispose il rinnegato, con voce ferma. — Meglio d'altronde morire colle armi in pugno, che sotto il bastone di quel miserabile corsaro.

— Una domanda?

— Parlate.

— Chi vi hai suggerito questo tentativo? Un fregatario che si chiama Michele il Normanno?

— Non lo conosco.

— Un mirab?

— Non ho mai veduto alcun mirab venire su questa galera.

— Non vi hanno promesso degli aiuti.

— Nessuno, signore.

— È strano!

— Perché dite ciò? — chiese il rinnegato.

— Perché degli amici fedeli mi avevano segretamente avvertito che questa notte avrebbero tentato un colpo di mano per salvare me ed il mio compagno.

— Sapevano che vi si conduceva sulla galera di Culchelubi?

— Lo ignoro.

— Ho osservato poco fa, mentre il capitano generale vi interrogava, una grossa scialuppa ronzare nelle acque della nave. Mi pareva che eseguisse delle manovre misteriose — disse il rinnegato.

— Era montata da parecchie persone?

— Da molte, almeno mi parve.

— Allora sono i miei amici — disse il barone. — Che abbiano avuto sentore della vostra congiura?

— Non lo so, però dubito che i miei compagni abbiano tradito, sia pure con dei cristiani, il segreto.

— Era già fissato per questa notte l'uccisione di Culchelubi?

— Oggi è il 10 gennaio — disse il rinnegato. — È l'epoca fissata in una riunione notturna che abbiamo tenuto la scorsa settimana. E se...

— Tacete, signore e gettatevi intorno le catene. È la ronda che viene ad assicurarsi se noi siamo al nostro posto. Sarà l'ultima e dopo...

Una lanterna, era comparsa all'estremità della sentina, verso prora. Era portata da un marinaio che teneva in mano un yatagan snudato, seguito da quattro giannizzeri pure armati e da un quartiermastro.

Quel gruppo si avanzò fino al posto ove si trovavano i prigionieri, diede uno sguardo ai due rinnegati e vedutili seduti presso il barone ed il catalano, tornò indietro dopo aver salutato con un ironico: — Buona notte figli di cagne.

Quando il rinnegato che aveva svelato al barone la congiura, li vide sparire, fece un gesto minaccioso.

— I figli di cagne fra poco vi mostreranno che cosa sanno fare — disse, coi denti stretti. — Culchelubi a quest'ora deve essere ubriaco fradicio ed i congiurati lo stanno spiando.

— Ma voi non avete pensato ad una cosa — disse ad un tratto il barone.

— A quale signore? — chiese il rinnegato.

— Come farete a tenere testa all'equipaggio, mentre non vedo su di voi arma alcuna?

— Ve ne sono abbastanza nella cabina di Culchelubi per fornircene a tutti e anche voi ne avrete signor...

— Di Sant'Elmo — disse il barone.

Il rinnegato udendo quel nome, aveva fatto un gesto di sorpresa.

— Siete voi il capitano di Sant'Elmo, barone siciliano e cavaliere di Malta? — chiese.

— Sì.

— Quello che ha assalito le galere dei Ben-Abad e di Fussal Pascià che tornavano dal saccheggio di San Pietro?

— Lo stesso.

— Ho udito parlare molto di voi, signor barone. Ecco un braccio solido che conterà assai nel momento decisivo della lotta. I miei compagni saranno ben lieti di avervi con loro e di...

Si era bruscamente interrotto alzandosi in piedi. Anche il suo compagno si era levato e tutti e due si erano messi in ascolto.

Si udivano sul ponte dei passi affrettati e le chiamate degli uomini di guardia.

— In piedi, signor barone — disse il rinnegato. — Il colpo deve essere stato fatto.

— Che Culchelubi sia stato già ucciso? — chiese il giovane gentiluomo, un po' commosso.

— Ne sono certo. Presto, prepariamoci a salire e a dare addosso ai berberi.

Il barone con una strappata si liberò dalla corda che lo teneva legato all'anello, si fece sciogliere le braccia e vedendo a breve distanza delle manovelle, ne afferrò una, facendo segno agli altri d'imitarlo.

— Fuggiamo signore? — chiese Testa di Ferro che non aveva compreso ancora nulla.

— Sì e se ti preme salvare la pelle, non risparmiare colpi.

In quell'istante un uomo comparve, tenendo in mano un pugnale che grondava ancora sangue.

— Salite tutti — disse con voce imperiosa. — Culchelubi è stato scannato. Chi rimane è perduto!

— Culchelubi morto! — esclamò Testa di Ferro, diventando livido.

— Taci, — disse il barone, — e sali con noi.

Tutti si erano slanciati su per la scala, preceduti dall'uomo armato di pugnale. Erano tutti pallidi, in preda ad una profonda emozione, anzi ad un vero senso di sbigottimento.

Erano già giunti nel frapponte, quando sulla tolda scoppiò improvvisamente un urlo spaventevole:

— Hanno assassinato il capitano generale! Alle armi! Alle armi! I rinnegati fuggono!1

Poi si udirono alcuni colpi d'archibugio seguiti da grida, da imprecazioni, da un fragore di scimitarre e di yatagan percosse le une contro gli altri.

La lotta era cominciata sul ponte della galera, una lotta disperata, terribile, senza quartiere, fra i venti rinnegati da una parte, decisi ad aprirsi il passo a costo della vita e l'equipaggio del terribile capitano generale. Il colpo, già da lunga mano preparato dai rinnegati, i quali avevano deciso di vendicarsi del persecutore dei cristiani prima di tentare la fuga, era riuscito pienamente, al di là d'ogni speranza.

I congiurati, approfittando della poca sorveglianza esercitata dagli uomini di guardia, i quali non avevano il menomo sospetto su quei rinnegati che da lunga pezza erano ai servigi di Culchelubi, e che credevano fedeli, avevano sorpreso il loro feroce padrone e lo avevano scannato nel suo letto. Disgraziatamente, nel momento in cui s'impadronivano delle armi che si trovavano nella cabina attigua, erano stati sorpresi da un quartiermastro e questi, messo in sospetto, aveva subito dato l'allarme.

L'equipaggio della galera, quattro o cinque volte più numeroso, al grido: Hanno assassinato Culchelubi! si era slanciato in coperta, afferrando le prime armi che erano capitate sotto mano e si era rovesciato contro i rinnegati che stavano già calando in acqua una scialuppa precedentemente fornita di remi.

Una mischia terribile si era impegnata fra i congiurati ed i marinai del capitano generale, fra la più profonda oscurità, perché il primo pensiero dei rinnegati era stato quello di fracassare le grosse lanterne onde gli equipaggi delle vicine galere non potessero far fuoco.

Quando il barone, Testa di Ferro ed i loro due compagni comparvero sulla tolda, il sangue aveva cominciato a scorrere.

Rinnegati e barbareschi, lottavano col furore delle tigri, a colpi di pistola, di scimitarre, di yatagan, di scuri, ma la peggio era subito toccata ai secondi, i quali, investiti con impeto irrefrenabile, erano stati quasi subito ributtati, non ostante l'immensa superiorità del loro numero.

Il barone ed i suoi compagni si erano slanciati nella mischia a corpo perduto, prendendo l'equipaggio alle spalle. Tempestando legnate formidabili a destra ed a manca, s'aprono il passo rovesciando ad ogni colpo di manovella gruppi d'uomini e gridando a squarciagola, per non venire colpiti dai rinnegati che combattono furiosamente di fronte:

— Largo ai cristiani!

Il barone è dinanzi a tutti. Ha gettato la sua manovella e strappato ad un morente uno spadone, tempesta quelli che cercano di contrastargli il passo, abbattendoli uno dietro l'altro. Anche Testa di Ferro, che ha finalmente compreso che lottavano per la salvezza, non si tiene indietro e accarezza poderosamente le spalle ai berberi, urlando ad ogni colpo:

— Questo per le vergate! Questo per le vostre infamie! E questo perché siete maomettani! Prendete e mettete via!

I marinai, privi del loro capo, demoralizzati per la sua morte e pel vigore straordinario che spiegano i rinnegati, retrocedono confusamente da tutte le parti; tuttavia, altro grave pericolo minaccia i congiurati.

Dalle galere vicine partono dei colpi di fucile sparati bensì a casaccio, ma che possono diventare micidiali e si odono gli ufficiali a dare il comando di mettere in acqua le scialuppe e di accorrere in aiuto della nave capitana, mentre sulla riva si vedono accorrere drappelli di giannizzeri, attirati da tutti quei clamori e da quegli spari.

— In acqua! — grida il barone.

La scialuppa era stata già calata e si dondolava presso la scala di corda.

I rinnegati con una carica disperata, irresistibile, sgominano le file dell'equipaggio, poi si precipitano all'impazzata giù dalla murata, cadendo uno addosso all'altro.

Il barone, che ha conservato il suo ammirabile sangue freddo, è il primo che guadagna la scialuppa.

— Presto! — grida. — Stiamo per venire presi fra due fuochi. Ai remi! Ai remi! Ecco le ronde del porto che corrono su di noi!

I congiurati, che per loro fortuna non hanno abbandonate le armi, si aggrappano ai bordi della scialuppa e aiutandosi l'un l'altro vi salgono, mentre dalle galere vicine e dalla capitana partono scariche d'archibugi che fanno più rumore che danno, stante la profonda oscurità che avvolge i fuggiaschi.

— Arranca! — tuona il barone, che è riuscito, col soccorso di un rinnegato, a issare Testa di Ferro.

La scialuppa prende il largo colla velocità d'una freccia. I venti rinnegati, quantunque in gran parte feriti, si sono accomodati sui banchi e remano con furore verso l'uscita della rada, risoluti a guadagnare l'alto mare.

Il pericolo però è ben lungi dall'essere cessato, anzi diventa di momento in momento più grave.

L'annuncio dell'assassinio di Culchelubi si è già sparso su tutte le galere vicine e gli equipaggi, assetati di vendetta, calano le scialuppe per dare la caccia ai fuggiaschi, mentre gli ufficiali, con razzi, segnalano alle navi che sono in crociera fuori del porto per impedire l'entrata degli audaci fregatari, di sbarrare tutti i passi.

Colpi di fucile partono dalle galere assieme a qualche colpo di colubrina o di caronada per far accorrere le ronde del porto.

— Signor barone — disse il rinnegato che lo aveva liberato, balzando verso di lui. — È forse troppo tardi per pensare a guadagnare il largo. Ecco le navi della crociera che entrano e che si preparano a darci addosso.

— Le vedo — rispose il gentiluomo. — Abbiamo perduto troppo tempo.

— Che cosa ci consigliate di fare?

— Di tornare verso la gettata e di salvarci nelle vie della città. Tenteremo di guadagnare la campagna.

— Siamo pronti a obbedirvi.

— Viriamo!

La scialuppa girò quasi sul posto e prese la corsa verso la città passando al largo dalle galere dai cui fianchi si staccavano ormai numerose imbarcazioni cariche d'uomini.

— Signor barone — disse Testa di Ferro. — Io credo che abbiamo fatto un pessimo affare ad unirci con questi uomini. Fra poco noi saremo presi.

— Sapremo morire da forti — rispose il giovane. — Meglio cadere colle armi in pugno che finire sulla punta d'un arpione o legati alla bocca d'un cannone. Forza, amici! Abbassate le teste! Si fa fuoco dalle scialuppe e dalle galere. Non temete! Iddio ci proteggerà!


Note

  1. Questo assassinio che doveva poi costare agli autori atroci martiri che inorridirono perfino gli stessi berberi, fu commesso la notte del 20 gennaio del 1630.