Le pantere di Algeri/Capitolo 23 - Nella cuba del mirab

Capitolo 23 — Nella cuba del mirab

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Capitolo 23 — Nella cuba del mirab
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23.

NELLA CUBA DEL MIRAB


Sei ore dopo, ossia un po' prima che spuntasse l'alba, il fregatario giungeva felicemente dietro la Kasbah, e si fermava dinanzi alla cuba dell'ex-templario.

Vedendo trapelare attraverso le fessure della porta un filo di luce, s'affrettò a bussare, dopo d'aver legato il muletto al tronco della quercia che cresceva a fianco della piccola costruzione.

La voce del vecchio aveva risposto subito.

— Chi mi cerca?

— Il Normanno.

La porta si era aperta.

— Ti aspettavo — disse il mirab, traendolo entro e rinchiudendo subito. — Tu mi rechi brutte nuove, è vero Michele?

— Che cosa ne sapete voi, signore?

— Ieri ho veduto entrare in città Zuleik che conduceva prigioniero il barone di Sant'Elmo, scortato da alcuni mori.

— Allora è inutile che vi racconti...

— Anzi, devi narrarmi tutto — disse il mirab.

Il Normanno non se lo fece dire due volte. Il vecchio lo ascoltò attentamente, senza interromperlo, poi quando il fregatario ebbe terminato il racconto di quella disgraziata spedizione, disse:

— Lo avevo previsto.

— Siamo stati sfortunati, signore, ecco tutto. Vorrei sapere ora che cosa farà Zuleik di quel povero barone. Che lo denuncia a Culchelubi?

— Ne dubito.

— E perché?

— Perché vi è una persona che tutta Algeri rispetta e che lo protegge.

— Quella dama mora?

— Sì, ed ho saputo quest'oggi chi è — disse il mirab, sorridendo. — Tu sai che ho molte relazioni e anche una specie di polizia segreta che mi aiuta nelle evasioni dei poveri cristiani.

— Non è una novità per me.

— E sai chi è quella dama?

— Non riuscirei ad indovinarlo.

— La principessa Amina Ben-Abad, la giovane vedova di Sid-Ali-Manu, il famoso scorridore del Mediterraneo, la sorella di Zuleik infine.

— Corpo d'una bombarda! — esclamò il fregatario. — Quale strana combinazione! La sorella di Zuleik protettrice del barone! Allora egli è salvo a menoché il fratello non riesca a forzarle la mano.

— Non oserà tener fronte ad Amina, una donna che ha dell'energia da vendere e una volontà che non si piega.

— Signore, che Amina lo ami?

— Può darsi — rispose il mirab.

— E se il barone, che ama la contessa, respingesse l'amore della principessa?

— Qui sta tutto il pericolo. Amina non gli perdonerebbe giammai e si vendicherebbe senza misericordia.

— E probabilmente se la prenderebbe anche colla contessa.

— Se non si trovasse al sicuro fra le mura della Kasbah.

— Che cosa mi narrate?

— È stata scelta dagli agenti del bey e condotta schiava alla Kasbah.

— Allora è perduta sia per Zuleik che pel barone.

— Liberarla dalla Kasbah non sarà cosa facile, è vero — rispose il mirab. — Tuttavia preferisco che si trovi schiava del bey che nelle mani di Zuleik. Io ho entrata libera alla corte, nella mia qualità di capo dei dervis e non mi sarà impossibile di vederla e anche di parlarle, se non è stata ammessa nell'harem, ciò che non potrebbe avvenire che fra alcuni mesi.

— Perché non prima, signore?

— Dovrà apprendere la lingua araba, innanzi a tutto, imparare a suonare la tiorba ed a cantare, trasformarsi insomma in una vera dama mussulmana ed in due o tre mesi molte cose possono accadere, è vero Michele?

— Non ho mai chiesto più di quindici giorni di tempo per salvare un cristiano e farlo fuggire dai bagni.

— La Kasbah non è però un bagno e dovremo affrontare difficoltà enormi per rapire la contessa. Ecco l'alba. Devo andarmene alla moschea. Vuoi attendermi qui? Spero di recarti qualche nuova del barone.

— Desidererei vedere i miei uomini.

— La tua feluca è sempre nel porto e nessuno si occupa di essa. Farò avvertire i marinai del tuo ritorno. Non è prudente, dopo quanto è avvenuto, mostrarti nelle vie d'Algeri, ora che Zuleik ed i suoi mori ti hanno veduto. Qui hai un buon letto, dei viveri, del tabacco e anche qualche vecchia bottiglia non manca. Come vedi hai di che scacciare la noia.

— Non domando di più, signore — rispose il Normanno. — Una buona dormita la farò volentieri. Quando tornerete?

— Dopo il mezzodì.

Si gettò sulle spalle il mantello di lana oscura, prese il bastone e uscì. Il Normanno, chiusa la porta, si gettò sul divano e riprese senz'altro il sonno, interrotto da quella lunga trottata.

Quando riaperse gli occhi, il mezzodì era trascorso da parecchie ore, eppure il mirab non si era fatto vedere. Quella tardanza non lo inquietò affatto, sapendo che il vecchio non aveva nulla da temere da parte dei barbareschi, fra i quali godeva molta considerazione nella sua qualità di capo di uno degli ordini religiosi più rispettati.

Si allestì un pranzo piuttosto magro colle provviste trovate nella cuba e si rifece a usura con certe bottiglie che il vecchio templario teneva nascoste nella tomba dove un tempo doveva essere stato sepolto il santo mussulmano e con dell'eccellente tabacco greco. Trascorse l'intera giornata in una vana attesa. Che cosa poteva essere accaduto al mirab? Uscì più volte sperando di vederlo salire pei sentieri che costeggiavano la Kasbah e sempre nulla. Un po' inquieto, stava per staccare il muletto, deciso a spingersi fino alla casa del rinnegato, allorquando lo vide comparire. Non ostante la sua tarda età, l'ex-templario saliva con passo abbastanza rapido, appoggiandosi al suo bastone. Doveva avere qualche grossa novità per affrettare il passo in quel modo.

— Non mi aspettavi forse più, è vero Michele? — disse il vecchio entrando e lasciandosi cadere sul divano.

— Ero angustiato pel vostro ritardo, signore, e stavo per venirvi a cercare — rispose il fregatario.

— Ho molte cose da raccontarti.

— Buone almeno?

Il mirab bevette due dita di vino che il Normanno gli porgeva, poi riprese con un certo malumore: — non troppo. La sorella di Zuleik ha compromesso gravemente il barone, in modo che dubito possa sfuggire alle ire di quel mostro di Culchelubi. Tradito non so da chi, ma probabilmente dai mori o dai falconieri che accompagnavano Zuleik alla caccia o da qualche parente dell'uomo ucciso dal barone, è stato denunciato al capitano generale.

— Ed è stato arrestato? — chiese il fregatario impallidendo.

— Non ancora. La principessa ha fatto ricevere i giannizzeri del capitano generale a colpi di mazza, mettendoli in fuga ed uccidendone non so quanti e poi ha messo in salvo il gentiluomo.

— E dove?

— Lo si ignora per ora, ma Culchelubi finirà per trovarlo e allora si vendicherà di certo, quantunque sia noto che la principessa eserciti una certa influenza su quel massacratore di cristiani.

— Se riescono a prenderlo, sarò travolto anch'io nella catastrofe. Lo sottoporranno alla tortura per sapere chi lo ha condotto in Algeri.

— Quel gentiluomo si lascerà uccidere piuttosto di tradirti — rispose il mirab. — È l'altro che forse non resisterà.

— Chi l'altro?

— Il suo servo.

— Testa di Ferro! Anche lui è stato preso?

— Purtroppo, mio povero Michele.

— Mi pare già di sentirmi un rampone entrare nel petto — disse il fregatario, che era diventato livido. — Quello spaccone di catalano rovinerà tutti pur di salvare la sua pelle.

— Non si trovano ancora fra i giannizzeri di Culchelubi — disse il mirab. — Chissà dove li avrà nascosti la principessa e se riusciranno a scovarli. D'altronde noi sapremo tutto ciò che succederà nel palazzo del capitano generale. Uno schiavo cristiano mi informerà di tutto.

— E della contessa nessuna nuova?

— Mi è stato impossibile entrare nella Kasbah per oggi, dovendo il bey ricevere un'ambasciata francese. Sarà per domani. Sei contento della mia giornata?

— Sì, ed i miei uomini?

— Sanno già che tu sei tornato e che non corri alcun pericolo. Ceniamo e poi andiamo a coricarci. Non sono più giovane io e gli anni cominciano a pesarmi assai.

La cena però fu triste. Entrambi erano preoccupati ed il loro pensiero correva sempre a Culchelubi che ormai prendeva parte a quella pericolosa partita e che temevano, con ragione, più dello stesso bey e di tutti i barbareschi uniti. L'indomani le loro apprensioni erano raddoppiate. Un cristiano, travestito da arabo, aveva recate le gravissime notizie che ormai conosciamo: la cattura del barone nel castello delle principessa mora, da parte dei giannizzeri, il suo interrogatorio e le sue confessioni strappategli nel delirio causato dalle gocce gelate e quindi la sua relegazione, assieme a Testa di Ferro, nel bagno di Zidi-Hassam.

— La catastrofe non poteva essere più completa — disse il Normanno, quando si ritrovò solo col mirab. — Comincio a dubitare dell'esito finale della nostra impresa, signore e mi sento prendere da un profondo scoramento.

— Hai torto — rispose l'ex-templario. — Il bagno di Zidi-Hassam non è la Kasbah e giacché Culchelubi ha risparmiato il barone, ciò che io non credevo, io non dubito di poter riuscire a farlo fuggire. Non sarebbe già il primo.

— I giannizzeri veglieranno rigorosamente su di lui. Mi sorprende che il capitano generale, così feroce coi cristiani, non abbia fatto per lo meno impalare quel povero giovane.

— Infatti ciò mi stupisce — disse il mirab. — Tutti i cristiani sorpresi in Algeri non hanno trovato grazia presso quella pantera e li ha fatti morire fra i più atroci tormenti. Qui sotto ci deve essere la mano della principessa. Culchelubi non ha osato uccidere un uomo a cui una Ben-Abad ha accordata la sua protezione.

— Che non cerchi la principessa di strapparlo dal bagno? — chiese il Normanno.

— Era quello che mi stavo chiedendo in questo momento e anche...

— Che cosa, signore?

— Di tentare un colpo di testa.

— E quale.

— Recandomi da Amina.

— E vi compromettereste. Un capo dei dervis intromettersi nella liberazione d'un cristiano! Pensateci bene, signore.

— Ti dico che andrò a trovarla — rispose il vecchio, con accento risoluto. — Questa generosità in Culchelubi mi fa paura.

— Perché?

— Io temo che egli abbia risparmiato il barone ed il catalano colla speranza di poter strappare loro altre confessioni che potrebbero costare la vita a me, a te e anche al tuo equipaggio.

«Egli ha giurato la distruzione dei fregatari che ogni anno rapiscono un bel numero di schiavi e sono convinto che farà di tutto per scoprire coloro che hanno qui condotto il barone.

«Se ieri, per un caso provvidenziale, non ha potuto ottenerlo, potrebbe riuscire un altro giorno. Oh! Conosco l'astuzia e la ferocia di quell'uomo e se noi non ci affrettiamo a togliergli di mano quei due prigionieri, nessun di noi potrebbe essere sicuro di riveder l'alba del giorno seguente od il tramonto.»

— Voi mi atterrite, signore! — esclamò il Normanno.

— Vedi bene che dobbiamo agire. Se riesco a tirare dalla nostra anche la principessa, Culchelubi finirà per perdere la partita. I Ben-Abad sono potenti.

— E Zuleik.

— Ci guarderemo da lui. Abbiamo interesse che nulla sappia, giacché non ci aiuterebbe certo a salvare il barone che rappresenta per lui un pericoloso rivale. Non perdiamo tempo.

— Siete deciso?

— Più che mai.

— Pensate alla mossa che state per fare, signore.

— Ho già riflettuto.

— Potrei esservi utile?

— Ti recherai nei dintorni del bagno. Chissà, potresti raccogliere qualche notizia sul barone. Evita però le vie frequentate e cambia costume: le vesti non mancano qui.

— Volete approfittare del mio muletto?

— È quello che farò — rispose il mirab. — Questa sera ci rivedremo qui o dal rinnegato.

Il Normanno lo aiutò a salire sull'animale, poi il vecchio si mise in cammino, scendendo verso la città.

Da moltissimi anni si trovava in Algeri, quindi gli erano noti i più grandi palazzi appartenenti alla nobiltà moresca e anche quello di Amina, uno dei più splendidi e dei più grandiosi che rivaleggiava per sfarzo, con quello del capitano generale e dei pascià più potenti.

Percorrendo vie fuor di mano, per non farsi notare, verso le undici del mattino s'arrestava nel cortile dei Ben-Abad, salutato devotamente dalle guardie e dagli schiavi mussulmani accorsi da tutte le parti a ossequiarlo. La carica d'altronde di capo dei dervis che gli apriva tutte le porte, e gli dava il diritto di poter entrare anche nella Kasbah, imponeva rispetto a tutti, anche ai ferocissimi e crudeli giannizzeri di Culchelubi.

— Avvertite la vostra signora del mio arrivo — aveva detto ai servi, dopo di essere disceso dal muletto.

Il maggiordomo del palazzo era già accorso, seguito da numerosi schiavi recanti, come era d'uso, vassoi contenenti sorbetti, caffè e dolciumi d'ogni sorta e fiale colme di acque odorose.

Il mirab sorseggiò una tazza di moka, poi seguì il maggiordomo che lo precedeva, salendo un superbo scalone di marmo, lo scalone d'onore, e fu fatto subito entrare in un gabinetto bellissimo, dove i divanetti, i tappeti, i mobili, i tendaggi e le tappezzerie erano tutte color di rosa a larghi ricami d'argento Su una profumiera dorata, della polvere d'aloè bruciava lentamente, spandendo intorno quell'odore delizioso, tanto caro alle popolazioni dell'Africa settentrionale.

Amina vi era già, semicoricata su un divano, avvolta in una specie di accappatoio pure color di rosa, a larghe maniche, con ricami d'oro, in quella posa languida e così seducente che solo le donne arabe e moresche sanno assumere. Era bellissima come sempre, però una leggera contrazione delle labbra e una sottile increspatura della fronte, tradivano una interna agitazione. Vedendo entrare il mirab si era alzata a metà, levando il leggerissimo velo di mussolina fino all'altezza degli occhi.

— Salam aleikun1 Amina Ben-Abad — disse il vecchio, inchinandosi.

— È con voi sant'uomo — rispose la principessa. — A quale onore debbo la visita del capo dei dervis giranti? Se si tratta di erigere qualche nuova moschea o qualche cuba, la borsa dei Ben-Abad è aperta e potete attingervi liberamente, mirab.

— La mia venuta non ha nulla da fare colla nostra religione — disse il vecchio, sedendosi di fronte alla principessa. — Si tratta della salvezza d'un uomo che forse vi interessa, Amina Ben-Abad.

La mora aveva fatto un gesto di stupore e aveva lasciato cadere il velo per meglio guardare il mirab. — Non vi comprendo, sant'uomo — disse poi.

— Allora mi direte perché voi siete diventata pallida. Voi sapete già di quale persona io intendo parlare.

La principessa era rimasta muta, interrogandolo cogli occhi. — È pel barone di Sant'Elmo, di quel giovane che voi avete disputato coraggiosamente ai giannizzeri di Culchelubi, che sono venuto qui.

Amina si era alzata in preda ad una visibile commozione, guardando il vecchio con uno stupore impossibile a descriversi. Un'ondata di sangue le era montata sul viso, imporporandole la bianchissima pelle.

— Voi! — esclamò. — Voi, un mirab, un fanatico mussulmano che s'interessa d'un cristiano, d'un infedele! O mi sono ingannata sulle vostre intenzioni?

— No, signora, non vi siete ingannata — rispose il vecchio con voce lenta. — Io, capo d'una delle più potenti corporazioni religiose, ho preso sotto la mia protezione il barone di Sant'Elmo. Vi stupite?

— Non vi sembra che vi sia abbastanza di che sorprendere una vostra correligionaria? Finora ho udito gli ulema, ed i muezin, ed i dervis, tuonare contro gl'infedeli e predicare l'esterminio dei cristiani.

— Gli altri sì, io no — rispose l'ex-templario. — Il cristiano per me è un uomo simile ad un mussulmano e sia l'uno che l'altro sono stati creati da Dio.

— Ecco veramente un sant'uomo! — esclamò la principessa, con ammirazione. Poi, guardandolo fisso:

— Voi avete conosciuto il barone? — gli chiese.

— Lui no, suo padre sì.

— Suo padre! Quando?

— Sono trascorsi molti anni e allora non ero vecchio, né ero mirab.

— E perché v'interessate ora del figlio?

— Desidero pagare un debito di riconoscenza che ho contratto verso suo padre. Un giorno egli mi salvò la vita; ora io cercherò di salvare quella del figlio ed è perciò che io sono venuto da voi, signora. Sapete che egli è nelle mani di Culchelubi?

— Lo so — mormorò Amina, con voce quasi tremula.

— Bisognerà strapparglielo, e voi, non ne dubito, mi aiuterete in questa difficile impresa.

— Voi dunque ignorate che sono stata io stessa a consegnarlo al capitano generale? — chiese la principessa.

— Voi! — esclamò il mirab, con accento di rimprovero.

— Sì io, folle che fui — disse la giovane donna, torcendosi i polsi. — Io che, invasa dal demone della gelosia, non ho più saputo che cosa mi facessi. Ah! Sciagurata che sono! E Culchelubi non me lo renderà più, il miserabile corsaro!

— Gelosa di chi? — chiese il vecchio.

— Della giovane cristiana che il barone ama, della contessa di Santafiora.

— Della sua fidanzata!

— Fidanzata, avete detto! — esclamò Amina, con accento di dolore. — Egli è impegnato colla contessa di Santafiora! Allora è perduto per me!

Si era alzata di scatto, facendo il giro del gabinetto con passo agitato, poi, tornando rapidamente verso il mirab, disse con voce concitata:

— Sono stata folle a lasciarmi dominare dalla gelosia, ma che cosa volete? Io cominciava ad amare quel giovane che me ne ricordava un altro che immensamente adorai nella mia gioventù, quando con mio padre viaggiava l'Italia cercando mio fratello, rapito da un corsaro maltese.

«Io ho commesso un'infamia, ma vi giuro sul Corano, mirab, che la strapperò questa passione che m'aveva acceso il cuore e che metterò le mie forze e le mie ricchezze a vostra disposizione per togliere il barone di Sant'Elmo a Culchelubi.»

— Sapevo che non avrei fatto invano appello alla generosità d'una Ben-Abad — disse il mirab.

Due lagrime scendevano lentamente sulle belle gote della giovane donna.

— È stata una follia, — disse con voce triste, — di cui non ho misurato le conseguenze. Una discendente dei califfi non può sperare di diventare la moglie d'un gentiluomo cristiano e avrei gettato, se non il disonore, almeno il disprezzo sulla mia casa e tutti i seguaci dell'Islam mi avrebbero maledetta. L'odio di religione non avrebbe perdonato alla passione di Amina Ben-Abad.

Stette silenziosa un momento, senza curarsi di tergere le lagrime, poi riprese con profonda amarezza:

— Eppure io lo amavo quel giovane gentiluomo dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, lo amavo per la sua bellezza e per la sua audacia, prima ancora che lo avessi conosciuto. Quando mio fratello mi parlava di lui, del suo coraggio disperato, della sua valentia nel maneggio delle armi, del terribile combattimento dato ai predatori di San Pietro colla sua galera, sentivo per lui una profonda ammirazione e nell'animo un vivo turbamento ed una voce misteriosa che mi diceva che un giorno il destino me lo avrebbe fatto incontrare. Mi rammentava quel giovane un idillio cominciato in Italia, con un altro cavaliere e finito tragicamente qui, in questa nefasta Algeri, covo di pantere assetate di sangue cristiano.

«Oh giorni felici della mia giovinezza, trascorsi sotto il bel cielo d'Italia, quanto vi rimpiango! E li avrei forse ritrovati ancora, avrei provato ancora quelle dolci emozioni se il barone di Sant'Elmo lo avesse voluto e se non fosse esistita quella cristiana che ha stregato il cuore di lui e anche quello di Zuleik. Voi non sapete, mirab, quali sogni di vendetta abbiano turbata la mia mente, quando io ho appreso che l'affetto del barone mi veniva disputato da un'altra! Se l'avessi scoperta ancora ieri, l'avrei uccisa colle mie istesse mani. Orvia, la follia è finita, il sogno ancora una volta è sfumato, la calma tornerà a poco a poco nel mio cuore e Amina rimarrà mussulmana, e non rinnegherà come non macchierà la fede dei suoi padri.

«Mirab, che cosa posso fare per il barone? Parlate prima che non sopraggiunga il pentimento.»

— Noi dobbiamo salvarlo, strappandolo dal bagno.

— Non sarà un'impresa superiore alle nostre forze, Culchelubi lo farà ben sorvegliare. Nondimeno non dispero.

— Che cosa farete?

— Ho degli schiavi d'una fedeltà a tutta prova e forti come leoni, e oro finché vorrete e che metto a vostra disposizione. Io credo che con tutto ciò si possa fare un tentativo.

— Ossia?

— Corrompere i guardiani del bagno e rapire il barone — rispose Amina. — Volete lasciare a me l'incarico di preparare ogni cosa? Non mi rincrescerebbe giuocare un buon tiro a Culchelubi.

— Io posso mettere a vostra disposizione dodici marinai condotti da un fregatario, che non ha paura dei giannizzeri.

— Quello che ha condotto qui il barone? — chiese Amina.

— Lo conoscete forse?

— I miei schiavi mi avevano informato che il gentiluomo era giunto a bordo d'una feluca condotta da un fregatario.

— Mi stupisco come voi, mussulmana, non abbiate denunciato quel marinaio.

— Io non odio i cristiani e deploro le orribili atrocità che commettono i nostri contro quei disgraziati — rispose la principessa. — Direte a quegli uomini di tenersi pronti per prestare mano forte ai miei negri.

— Quando agiremo?

— Il più presto che sarà possibile, temo che Culchelubi abbia qualche sinistro progetto sul barone. Quest'oggi io saprò in quale cella sono rinchiusi i prigionieri e domani sera noi tenteremo il colpo.

— E poi?

— Che cosa volete ancora?

— E la cristiana?

Una vampa d'ira salì sul viso della mora.

— La cristiana — disse con un sorriso cattivo. — No, mai, per parte mia... a quella ci penserete voi, mirab.

— Sia — disse il vecchio, alzandosi. — A domani signora e fate assegnamento sugli uomini del fregatario.

  1. La salute sia con te.