Le odi di Orazio/Libro secondo/XII
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XII.
Non dir che l’ardue guerre dell’ispida
Numanzia e Annibale diro e il mar siculo
Rosso di punico sangue si adattino
4A’ molli ritmi lirici,
E i crudi Làpiti ed Ileo immodico
Nel bere e i domiti dalla man d’Ercole
Terrestri giovani, onde in pericolo
8Tremò la casa fulgida
Del vecchio Urànide. Dirai tu in libere
Storie di Cesare le pugne, o nobile
Mecena, e i regj colli che furono
12Per le vie tratti impavidi.
Io di Licinia signora i teneri
Canti e le limpide pupille splendide
Dirò, come ordina la Musa, io l’animo
16Fido agli amori mutui.
È a lei dicevole fra danze muovere
Il piè, d’arguzie pugnare, a vergini
Gentili porgere le braccia affabile
20Nel giorno sacro a Cintia.
Ben tu d’Achèmone, tu della fertile
Frigia i migdonj tesori e l’aule
Pingui degli Arabi daresti in cambio
24D’un crine di Licinia,
Quand’ella volgeti il collo a’ fervidi
Baci, o con facile crudeltà nègati
Ciò che, rapitole, più l’è gradevole
28E ch’ella a torre affrettasi.