Le odi di Orazio/Libro secondo/XI
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XI.
Ciò che il guerriero Cantabro mediti,
Irpino Quinto, ciò che dall’Adria
Frapposto lo Scita diviso,
4Non cercar, non tremare al pensiero
D’angustíosa vita: s’involano
Gioventù fresca e beltà all’arida
Canizie, che amori lascivi
8Ed agevoli sonni discaccia.
Non sempre i fiori d’april pompeggiano;
Non sempre a un modo rosseggia nitida
La luna: in propositi eterni
12A che l’anima breve affatichi?
O perchè, all’ombra d’un alto platano
Ovver di questo pino sdrajandoci,
Odorati di rose il crin bianco,
16E di nardo d’Assiria soffusi,
Finchè ci è dato, non bere? Dissipa
Evio l’edaci cure. Qual celere
Garzon dell’ardente falerno
20Tempra i nappi nell’onda fugace?
Chi fuor di casa trarrà la dèvia
Ragazza Lide? Su, di’ che affrettisi
Con cetra d’avorio ed incolta
24Chioma attorta alla foggia spartana.