Le odi di Orazio/Libro quarto/XV
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XV.
Me, che battaglie volea descrivere
E città vinte, riprese Apolline
Con la lira, perchè al Tirreno
4La tenue vela non dèssi. Il tuo
Secolo a’ campi ridiede, o Cesare,
Le pingui messi; tolte agli stipiti
Superbi de’ Parti, le insegne
8Al nostro Giove rese; di guerre
Vacuo di Giano Quirino il tempio
Chiuse; all’errante Licenza un termine
Impose e un fren giusto; le Colpe
12Discacciò; richiamò le vetuste
Arti, onde il nome latino e l’itala
Virtù e la fama crebbe, e la gloria
Dell’Imperio agli orti del sole
16E agli esperici letti si sparse.
Custode Augusto, non civil furia,
Non violenza turberà gli ozj,
Non ira che fabbrica spade
20E città miserande inimica.
Non quei che il cupo Danubio bevono,
Non Geti e Seri, non Persi perfidi
Romperan di Giulio gli editti,
24Non quei nati del Tana alla riva.
E noi ne’ sacri giorni e ne’ liberi,
Lieti fra’ doni di Bacco amabile
Con le spose nostre e co’ figli,
28Pria di rito invocati gli Dei,
A mo’ dei padri, co’ lidj flauti
Mescendo i versi, canterem gl’incliti
Condottieri ed Ilio ed Anchise
32E la prole di Venere altrice.