Le nostre fanciulle/Parte Seconda/Due fanno uno
Questo testo è completo. |
◄ | Parte Seconda - Il lusso | Parte Seconda - Le piccole virtù | ► |
DUE FANNO UNO
È il titolo di un simpatico articolo di Charles Wagner, l’autore conosciutissimo di Jeunesse, di Vie Simple, ecc., il quale ha tanto contribuito al risveglio dell’anima in Francia, parlando alla gioventù con semplice e calda eloquenza, di giustizia, di verità, di solidarietà; svegliando volontà addormentate e rivelando una meta alle inquiete aspirazioni di molti. Già in Vie Simple vi sono pagine mirabili sulla bellezza semplice e sulla vita domestica, ma le pagine scritte per giovinette alla vigilia di avere una famiglia loro, mi suscitano uno sciame d’idee che sento il bisogno di formulare e raccogliere.
Due fanno uno: il giovane e la fanciulla che si uniscono per formare il loro nido, e confondono i loro destini. I loro destini sì, ma purtroppo, non sempre i loro desideri, le loro volontà, tutti i loro interessi.
Non bisogna però essere pessimisti: vi sono molti, e soprattutto molte — donne oneste — che par si compiacciano di credere il mondo peggiore di quel che non sia. Quante volte accade di sentire: «Oh al giorno d’oggi è così difficile trovare un matrimonio felice! Aver delle figliole oggi è uno spavento! meglio non maritarle!» Ogni volta io stupisco di queste esclamazioni.
È una mia fortuna particolare di vedermi intorno tanti matrimoni fortunati? La statistica di Paola Lombroso sulla felicità delle donne mi suggerì di fare io pure la mia statistica, e la conclusione della esperienza mia è appunto questa: che la società è piena di brave donnine e che il mondo promette di migliorare sempre più.
La così detta buona borghesia, che è diventata quasi un’aristocrazia dove l’onestà femminile è tramandata di madre in figlia da parecchie generazioni — come la vita agiata ma semplice, nella quale i godimenti intimi e intellettuali non lasciano posto nè desiderio a divertimenti chiassosi — mi sembra un vero vivaio di donne sane moralmente, cresciute a quell’equilibrio delle facoltà intellettuali e morali che dà sicuramente la felicità. Badate, per felicità intendo non l’ebbrezza, ma quella serenità in cui l’animo, non turbato dalle esaltazioni, pare così ben preparato a ricevere e gustare ogni più delicata bellezza, ogni più lieve armonia, ogni più sottile profumo, sia della natura, sia dello spirito e degli affetti.
La felicità coniugale è così preziosa cosa che bisogna che la donna sia o molto depravata o molto sciocca se non fa di tutto per ottenerla e conservarla: e se dissi ch’io penso elle le donne oneste e quindi felici, aumenteranno sempre più, è perchè sono convinta che la coltura dello spirito, diffondendosi, non può che illuminare ed elevare.
Certo, la prima cosa da esigere è l’affinità di educazione. Dopo, lo studio reciproco deve essere di comprendersi in tutte le sfumature del carattere e in tutti i giorni della vita che non si vissero insieme.
Certe abitudini, certi dolori, certe felicità infantili spiegano l’indole del carattere presente, e ci fanno compatire certi difetti, ci inteneriscono sino nel profondo dell’animo e ce li rendono interessanti. Le intolleranze sono causa di discussioni e di malumori che possono essere la rovina della felicità domestica. Il saper dire a tempo: sì sì, hai ragione! chiudendo la bocca severa con un bacio, oh come raddolcisce l’uomo più irritato! come subitamente nell’animo suo la questione prende un nuovo aspetto! E se è leale e buono, otto volte su dieci egli troverà modo di dire quel giorno, o forse il giorno dopo: «vedi, tu mi devi compatire, ieri mi ero irritato...»
Oh, non afferrate però al volo quel ravvedimento per insuperbirne: il vostro amore palpita gioioso, ma la vostra generosità non deve permettervi che egli, il compagno vostro, faccia intero un atto di pentimento... Oh la dolcissima ora che è questa per due che si amano: come davvero sentono che due fanno uno!
Il difficile, — voi direte — è che bisogna essere in due a conoscere queste verità; ma io dico che, come persona a cui fu mutilata la destra acquista maggior agilità nell’altra mano e si abitua a servirsene perfettamente, così l’amore vero, grande, intelligente può reggere e guidare quel complicato meccanismo che è la pace coniugale, anche quando uno dei suoi membri, il più forte, non se ne cura.
Ho conosciuto più di un matrimonio in cui la donna, con una inalterabile festosità, con un amore incrollabile, generoso, affinato al punto da indovinare a un movimento, al suono del passo, l’umore del marito, e da studiare in ogni ora del giorno ogni propria parola, ogni atto, tutta intesa a rendere la casa e sè stessa piacevole a lui, è giunta a conquistare, a gioventù finita, quel cuore che non era stato tutto suo; a mutare e trasformare quel carattere che aveva avuto molte durezze e malumori. Una di queste creature sante — che il mondo non capisce e non sa — mi rispondeva: «Dici che ho sofferto? che sono stata brava? non ricordo. Mi pare, ora, di essere sempre stata così felice...»
E un’altra disse a me, fanciulla, queste parole che non ho mai dimenticate: «Per conquistare la felicità domestica, occorre illudere sempre sè stessi e il mondo che si è felici; allora, molte contrarietà non le rileviamo perchè non vogliamo rilevarle e scopriamo centomila piccole soddisfazioni che ci sfuggirebbero».
Questo ho sempre pensato: che vi dev’essere nell’abnegazione qualche cosa di grandemente confortante, se noi vediamo intorno a noi delle unioni tranquille malgrado i disinganni: ma è curioso anche, che, mentre molte donne sarebbero pronte ad affrontare una vita di sacrifici per estranei, sanno poi così difficilmente sottomettersi e rassegnarsi all’infelicità domestica!
* * *
Parecchie di voi diranno, turbate: «Come! la felicità è dunque uno studio? Ma quando si ama, tutto vien da sè; è naturale il compatimento, perchè tutto ci appare bello in lui, come lui trova tutto da lodare in noi».
«Credo che si rende un cattivo servizio alla gioventù nascondendole la vita vera. Questa vita con tutte le sue complicazioni è più bella e meno insipida dell’idillio fantastico» fu scritto.
Io penso però che il bisogno d’illudersi è istintivo e invincibile nella gioventù; tutte le fanciulle sognano, anche se hanno nella loro casa, nel loro babbo e nella loro mamma lo spettacolo quotidiano di una vita coniugale infelice. Se l’esempio non è edificante esse sperano d’esser più fortunate. Ma anche quando la pace e la serenità regnano nella casa loro, esse non si possono figurare babbo e mamma giovani, e dal loro tranquillo carattere presente, giudicano impossibile che siano stati come saranno lei... e lui.
Ma non togliamo alle fanciulle le illusioni e i sogni; sarebbe come tagliar le ali alla farfalla; badiamo invece di coltivar nel nostro giardino i fiori più belli e profumati perchè le sue ali non s’insudicino, perchè le sue papille non succhino veleni, e non sia tentata d’andar vagando di là del muro.
Noi siamo destinati a troppo alta dimora perchè ci si tolgano le ali: non riducete la donna eccessivamente pratica e positiva: la vita del sentimento è ancora la nostra più grande felicità, ed essa s’alimenta soprattutto di poesia. Illuminiamo le fanciulle sulla verità della vita, ma educhiamole anche a dare più che a ricevere, a non esiger troppo dagli altri, a tener calcolo anche delle briciole di felicità, a mantenersi serene e forti nelle burrasche... e soprattutto a non abbandonarsi alla viziosa abitudine di veder nero.
Paola Lombroso giudica necessario alla felicità il maritarsi giovani. A me pare che appunto perchè è l’età in cui si ha cieca fede nell’eternità della luna di miele, si corre maggiormente il rischio di essere infelici; e l’impreparazione alle difficoltà, la scarsa conoscenza dei caratteri maschili, fanno spesso di una giovane donna — se è innamorata — una vittima sottomessa o una ribelle disgraziata.
Alla fanciulla che ha passato i vent’anni, cui il cuore sfiorato da una simpatia portò a sognare una casa sua, e che in un giorno malinconico pensa con rimpianto: — Eppure lo avrei reso felice! — a quella, il velo delle illusioni lentamente si squarcia da sè, e questa aurora della conoscenza della vita, ancora tanto misteriosa da certi lati, ma così illuminata in altri, ha la bellezza delle aurore della natura, quando il primo raggio di sole mette in fuga in un lampo le tinte lievemente azzurre dell’alba e accende di rosa i picchi immacolati, mentre ancora giù la valle è avvolta nell’ombra fredda.
La realtà appare in particolari che erano sfuggiti, e la fanciulla si sorprende a studiare il modo di superare e vincere le difficoltà di una vita domestica che ancora non vive. La maggior occasione di conoscere caratteri di uomini, la rende avvertita come le differenze d’abitudini, di lavoro, di pensiero, devono nella convivenza creare ostacoli alla vita ideale che aveva sognata a sedici anni, e obbligare a reciproche indulgenze, a concessioni, a condiscendenze. Wagner lo dice nel suo articolo che ha ispirato queste mie pagine: «L’accordo di due volontà non è facile, nè rapido. Non si dà coll’anello di fidanzata, nè coi doni di sposa; si impara e si conquista come tutto ciò che ha qualche valore. Come le facoltà artistiche e l’energia morale, esso richiede d’essere costantemente coltivato e, in mancanza di cure, può diminuire e perdersi anche presso quelli che l’hanno una volta posseduto».
E in altro punto: «La vita in due s’alimenta nella larghezza di spirito e nel perpetuo dono di sè stesso. Dopo aver detto io dal principio della vita, bisogna imparare a dire noi. Dopo aver camminato sola con un’andatura personale, bisogna abituarsi a camminare al passo di un altro».