Le nostre fanciulle/Parte Prima/Serenità

Serenità

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SERENITÀ

«Tutti abbiamo delle parole preferite, che ci ritornano sulle labbra senza che noi lo avvertiamo. Tu hai, per esempio, la parola serenità che usi con evidente predilezione», dice il mio compagno.

E ha ragione. Ma quando inconsciamente si prende una via piuttosto che un’altra è perchè il cuore ci attira.

Quand’ero ragazza dicevo: «Se diventassi mamma vorrei chiamare mio figlio Franco; mia figlia Serena». Due qualità, la franchezza e la serenità, che mi sembravano allora, e mi sembrano ancora, indispensabili per compiere nel miglior modo la propria missione d’uomo o di donna.

Come accade, riguardi di famiglia mi obbligarono poi a scegliere altri nomi i quali, ora che i cari vecchi sono scomparsi, mi divennero [p. 73 modifica]sacri e doppiamente cari, ma attraverso gli anni, i dolori e le difficoltà non mutò l’opinione germogliata nella mia vita di fanciulla, la più serena, la più felice che si possa immaginare.

Qui veramente sta il segreto. Solamente una allegra fanciullezza può mettere le radici dell’albero magico che perpetuamente fiorisce malgrado il gelo delle sventure: l’albero della gioia. Solamente un’infanzia felice può far scaturire la linfa sana del buonumore, che non inaridisce che con la morte.

«L’umor giocondo è il bel tempo del cuore» disse lo Smiles.

Il bel tempo! Nulla di più incostante, diranno alcune. Quante giornate piovose o nebbiose nell’animo, quanti uragani nella stagione più bella e più calda! Fin gli alberi più robusti si piegano e si spezzano, fino i monti ruinano.

Sì, ma il sole ritorna, ma là dove tutto è sgretolato il vento porta semi, e crescono piccoli arbusti che diventano alberi ancora.

Pur troppo però, molte anime si rifiutano a questo rinnovamento che la natura vuole, a [p. 74 modifica]questo inevitabile rigermogliare. Si ribellano alla nuova energia, al bisogno istintivo di lottare e di sperare.

La già pigra e chiusa
mente, le porte dell’avvenir spalanca,

dice anche Severino Ferrari nella sua Primavera.

Ma vi è chi, serrata la porta della gioia, dice: «Non si riapre più!» E non s’accorge di tenersi rigido con le spalle contro di essa perchè non si riapra.

La tristezza perenne è spesso un’inerzia dello spirito e del corpo. Osservate se prima che il dolore le colpisse, quelle persone così accasciate oggi, non fossero lente nell’operare, poco disposte alla gioia, facili a veder nubi e a sgomentarsene. Il dolore le butta a terra e ad esse non trovano la forza di rialzarsi.

Eppure ne’ momenti più difficili e paurosi, chi lotta prova quasi un’intima, inconfessata allegrezza. Non vi è accaduto di provar l’impressione d’ingannare gli amici quand’essi vi circondano della loro pietà? Quando siete sole [p. 75 modifica]e guardate sinceramente nella vostra anima, vi chiedete: «Perchè lascio che si abbia una così grande pietà di me? Non sento io, nel mio profondo, una ribellione contro questo dolore che mi vorrebbe schiacciare?» E già in Voi s’agita un’impazienza di vita nuova, la coscienza di una forza dapprima ignota. Ed è di laggiù che viene; da quella provvista di piccole gioie sane, accumulate nella lontana fanciullezza felice.

«Noi pensiamo — mi diceva un’educatrice straniera — che è dovere di procurare ai bambini una vita felice: quand’essi hanno conosciuto la felicità crescono forti, coraggiosi e fiduciosi: sanno che essa esiste nel mondo e, se verranno giorni tristi, potranno sperare che torneranno i lieti; mentre chi soffre nell’infanzia e non conosce amore e allegrezze, cresce pauroso, timido o scettico: non sa che cosa sia la felicità e non può pensare di ritrovarla nella vita».

Oh, se sapeste come l’anima mia consentì a quest’idea che ebbi sempre dentro di me, e che l’esperienza della vita non fece che rendere sempre più tenace! Quando io sento dire [p. 76 modifica]che bisogna abituare i fanciulli alle lotte, ai disinganni, ai dolori che li aspettano poi, con un’educazione severa e rigida, io osservo che non è mai una madre quella che lo dice. Oh, una madre sente il bisogno di mettersi lei fra il dolore e suo figlio perchè non troppo presto egli lo conosca, perchè non troppo presto la sua bella serenità, la sua fiducia nella vita e negli uomini si appanni.

Conobbi una madre che, cresciuta in una famiglia di principi rigidi, un po’ fredda di natura essa stessa, allevò le sue prime due figlie con un’inflessibilità e un’austerità di cui intorno a lei si parlava con ammirazione.

«Vedeste come sa educare le sue bambine! Non si sentono! tutto cammina nella sua casa con un orario infrangibile: sono due donnine di un giudizio e di un’ubbidienza meravigliosa...»

Il fatto è che crebbero silenziose, timide, quasi spaurite come alberetti cresciuti senza sole. Dopo dieci anni Dio mandò a quella madre altri due figliuoli: una bambina e un bambino; e, fosse che gli anni le avessero tolta la primitiva energia, fosse, io penso, l’aver [p. 77 modifica]riflettuto sinceramente sulla riuscita degli altri, il vero è che ella mutò affatto sistema d’educazione; e non vi so dire che simpatici figlioli riuscirono quei due ultimi: aperti, espansivi, vivaci d’intelligenza, caldi di cuore, persino più robusti di corpo. fisiologicamente non c’era nessuna ragione che riuscissero così diversi, questi figli di un padre e di una madre quasi cinquantenni; ma io sono persuasa che essi lo dovettero all’aver trovata una mamma sorridente, pronta alla fiducia, tollerante delle vivacità infantili, che lasciò liberi corpo ed anima di muoversi e di espandersi.

La figlia maggiore, ora maritata da parecchi anni e con figlioli, è sempre una povera creatura senza energia e senza volontà, incapace di rendere felice suo marito, di dar gaiezza alla sua casa; senza facoltà di godere di nulla essa stessa, perchè sempre stanca e sfiduciata.

Un’altra, la seconda, è in casa con un’aria di vecchia a trent’anni, senza aver mai avuto un barlume di simpatia per nessuno, senza amiche. Una nullità nella sua casa, e, quel che è peggio, un’infelice.

L’ultima nata è lì a provare che cosa voglia [p. 78 modifica]dire un’infanzia, allegra: se si mariterà sarà certo per amore: ma se anche rimanesse in casa, ella non sarà certo un peso per nessuno, perchè la sua anima è aperta ad ogni gioia. Essa è la compagna di studio di suo fratello che le somiglia; e tutti e due sono l’allegrezza del vecchio babbo e della vecchia mamma, che non si crucciano pensando che possano rimanere presto soli perchè li sanno robusti in tutti i sensi e ben agguerriti per la vita.

Così è: la serenità è la buona salute dello spirito. Si possono fare delle gravi malattie, ma se ne guarisce, e la convalescenza è una pace deliziosa, nella quale tutto si rigusta come nuovo, tutto sembra rinfrescato, si scoprono bellezze nella vita, che prima s’ignoravano.

La tristezza rovina il corpo, avvelena l’organismo, e coltivarla con amore come alcuni fanno, è davvero una colpa. Se guardiamo bene, l’eccesso del dolore ha una sorgente non buona: è un rancore, dopo tutto. Non si sa perdonare, non si sa rassegnarsi alla sventura. È un veleno che fa la bocca amara.

Chi rimpiange senza tregua una felicità perduta, invidia, senza accorgersi, chi la possiede [p. 79 modifica]ancora, trova ingiusto di non averla più, rinnega affetti e altre consolazioni nella vita, non riconosce altri doveri, chiude il perchè della vita nel proprio io. Il mondo s’impietosisce per queste infelici... e spesso le chiama virtuose.

Misera virtù, inutile a tutti, che fa più male agli altri, a mio avviso, di quanto ne possa fare una spensieratezza schiettamente colpevole. Pensiamo quanto sia più dignitoso sollevare la testa al di sopra delle sciagure e guardar coraggiosamente a tutto il lavoro che rimane a fare. Quanta più sincera fede nel ricordare i cari perduti come se fossero ancora fra noi, nell’essere forti e coraggiosi come essi volevano, come sapevano essere quando soffrivano e non volevano turbare colla loro tristezza la pace di chi avevano vicino.

La serenità è energia. Quando si soffre profondamente, quando ci si sente straziati, quando l’avvenire ci si presenta inaspettatamente pauroso, buttarsi coraggiosamente nella lotta, lavorare fino alla stanchezza, abbandonarsi con tutte le forze dell’intelligenza e del cuore ai nuovi doveri, tremare di non aver tempo e [p. 80 modifica]cuore e forze a tutto, invocar Dio e sentire il suo aiuto, è provare un senso così gaudioso di liberazione dalle catene dolorose, che sembra, non già di aver trascurato il proprio dolore, ma di avergli reso onore ed eretto un altare.

Io immagino, io so quanto l’ora del tramonto sia triste per la giovinezza che ancora non sa che cosa l’aspetta nell’avvenire, e come in quell’ora, scoraggiamenti, sogni, paure, assalgano il vostro spirito. Ma l’abbandonarsi a pensare a una povera famiglia che ci interessa, che ha bisogno d’aiuto, che manca spesso di tutto; studiando di procurarle in modo delicato oggi un oggetto, domani un altro; di raccomandarla a un personaggio per ottenere lavoro al capo di casa, di dare una gioia a un bimbo, di far un lavoro per l’altro... oh, come rende luminosa quell’ora buia, che gioiosa impazienza del giorno che succederà a quella notte di sogno per il bene altrui! Auguro a ognuna di voi la fortuna che io ebbi d’incontrare alla vostra età un’amica come io l’incontrai: l’anima più pura e più nobile che mente umana possa pensare, la quale, caduta dall’agiatezza nella miseria, seppe, direi quasi, [p. 81 modifica]poetizzarla. Ella diede alla mia giovinezza una visione nuova che influì su tutta la mia vita.

Noi tutti ci si impietosisce della gente crucciosa, che piange e si lamenta e recrimina, io dovetti persuadermi che l’abbattersi nelle sventure è una debolezza, è anzi una colpa; e che tutto si può sopportare con la forza d’animo quando ci lasciamo portare sulle ali della fede. Io vidi quella madre, con una bambina al petto, lasciarsi succhiare le ultime gocce di latte, con due altre creaturine sedute accanto a lei — suo marito senza lavoro — mancanti di tutto. Ma la finestra era aperta su un gran giardino, e sui folti alberi cinguettavano gli uccelli; il cielo era sereno e l’aria fresca dava brividi al seno nudo; a un tratto ella ruppe il racconto delle loro sofferenze e gli occhi e la bocca le si riempirono di una dolcezza che non si può descrivere: «Senti gli uccelli!» E rivolto il viso a quel verde, alzati gli occhi a quel cielo sereno: «È possibile, dimmi, lamentarsi, quando Dio ci dà questo cielo, tutta questa bellezza di primavera?... Zitto! come canta l’usignolo!... tu lo sentissi la mattina: io apro la finestra, tutti dormono, e [p. 82 modifica]giungo le mani. Non prego, sai, prega l’usignolo per me... oh come Dio ci è vicino, come lo sento in quell’ora!»

E tutte le pene erano sparite: non parlava più che di pace, di gioia, cercava e ritrovava nella sua vita dolcezze che la facevano dire: «dopo tutto...» e mille ragioni di speranza per l’avvenire.

Oh figliole mie, aveste sentito il tono allegro con cui ella diceva, per esempio: «Se tu sapessi che cosa vuol dire essere abituati allo spazzolino da denti e dover contentarsi di fregarseli con un lembo dell’asciugamani!» O ritrovarla nell’inverno intenta a far il bucato con tutta la roba distesa nella stanza ad asciugare, al tenue calore di una piccola stufa, e sentirla dire sorridendo: «Quante cose s’imparano ad essere poveri! ecco qua, noi rimproveriamo ai poveri il loro sudiciume. Come se la pulizia non costasse! ma la pulizia è un lusso anch’essa, sai? Guarda come sono signora oggi! colla lezione che ho dato, ho preso mezzo chilo di sapone, e due chili di legna, abbastanza da fare un bucatino delle cose più necessarie: per il resto, Dio ci penserà». [p. 83 modifica]

Sì, quell’anima buona dell’amica mia, che il tenace lavoro e il sereno coraggio riportarono al benessere, m’insegnò anche di quale aiuto sia l’educazione per sopportare con energia, con serenità, con dignità una posizione che parrebbe disprezzante e degradante!

«Non pensate continuamente a voi, e voi non sarete mai solo al mondo» dice il Lubbock.

«Non pensate a voi». Come dirlo a certe poseuses del dolore? Anche felici avrebbero sempre trovato modo di lagnarsi: colpite da un disinganno se ne fanno una voluttà, portano intorno per tutta la vita il loro malinconico, pallido sorriso che attira sempre l’interesse di qualcuno: dei nuovi conoscenti quando i vecchi ne sono stanchi.

Io penso sempre quale pesante catena esse trascinano; io ho l’impressione di veder dei ciechi che brancolano nel buio. Oh aprir loro gli occhi, mostrar loro tutta questa bella natura, queste cime azzurre; portarle sulla spiaggia, là davanti al sonante mare! Quale anima resiste davanti alla bellezza gioconda della natura? come non rizzarsi con un grido di gioia [p. 84 modifica]e di benedizione? E l’arte! quanti e quali puri e schietti godimenti ci dà! E i bambini, la gioventù che s’avanza così baldanzosa e serena verso la vita! E il lavoro! il lavoro non è esso solo una felicità?