Le mie prigioni/Cap XXXIV
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Capo XXXIV.
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Ogni lettore che abbia un po’ d’immaginativa capirà agevolmente, quanto un foglio simile debba essere elettrico per un povero prigioniero, massimamente per un prigioniero d’indole niente affatto selvatica, e di cuore amante. Il mio primo sentimento fu d’affezionarmi a quell’incognito, di commuovermi sulle sue sventure, d’esser pieno di gratitudine per la benevolenza ch’ei mi dimostrava. — Sì, sclamai, accetto la tua proposizione, o generoso. Possano le mie lettere darti egual conforto a quel che mi daranno le tue, a quel che già traggo dalla tua prima! —
E lessi e rilessi quella lettera con un giubilo da ragazzo, e benedissi cento volte chi l’avea scritta, e pareami ch’ogni sua espressione rivelasse un’anima schietta e nobile.
Il sole tramontava; era l’ora della mia preghiera. Oh come io sentiva Dio! com’io lo ringraziava di trovar sempre nuovo modo di non lasciar languire le potenze della mia mente e del mio cuore! Come mi si ravvivava la memoria di tutti i preziosi suoi doni!
Io era ritto sul finestrone, le braccia tra le sbarre, le mani incrocicchiate: la chiesa di San Marco era sotto di me, una moltitudine prodigiosa di colombi indipendenti amoreggiava, svolazzava, nidificava su quel tetto di piombo: il più magnifico cielo mi stava dinanzi: io dominava tutta quella parte di Venezia ch’era visibile dal mio carcere: un romore lontano di voci umane mi feriva dolcemente l’orecchio. In quel luogo infelice ma stupendo, io conversava con Colui, gli occhi soli del quale mi vedeano, gli raccomandava mio padre, mia madre, e ad una ad una tutte le persone a me care e sembravami ch’ei mi rispondesse: «T’affidi la mia bontà!» ed io esclamava: «Sì, la tua bontà m’affida!».
E chiudea la mia orazione intenerito, confortato, e poco curante delle morsicature che frattanto m’aveano allegramente dato le zanzare.
Quella sera, dopo tanta esaltazione, la fantasia cominciando a calmarsi, le zanzare cominciando a divenirmi insoffribili, il bisogno d’avvolgermi faccia e mani tornando a farmisi sentire un pensiero volgare e maligno m’entrò ad un tratto nel capo, mi fece ribrezzo, volli cacciarlo e non potei.
Tremerello m’aveva accennato un infame sospetto, intorno la Zanze: che fosse un’esploratrice de’ miei secreti, ella! quell’anima candida! che nulla sapeva di politica! che nulla volea saperne!
Di lei m’era impossibile dubitare; ma mi chiesi: Ho io la stessa certezza intorno Tremerello? E se quel mariuolo fosse stromento d’indagini subdole? Se la lettera fosse fabbricata da chi sa chi, per indurmi a fare importanti confidenze al novello amico? Forse il preteso prigione che mi scrive, non esiste neppure; — forse esiste, ed è un perfido che cerca d’acquistare secreti, per far la sua salute rivelandoli; — forse è un galantuomo, sì, ma il perfido è Tremerello, che vuol rovinarci tutti e due per guadagnare un’appendice al suo salario.
Oh brutta cosa, ma troppo naturale a chi geme in carcere, il temere dappertutto inimicizia e frode!
Tai dubbi m’angustiavano, m’avvilivano. No; per la Zanze io non avea mai potuto averli un momento! Tuttavia, dacchè Tremerello avea scagliata quella parola riguardo a lei, un mezzo dubbio pur mi crucciava, non sovr’essa, ma su coloro che la lasciavano venire nella mia stanza. Le avessero, per proprio zelo o per volontà superiore, dato l’incarico di esploratrice? Oh, se ciò fosse stato, come furono mal serviti!
Ma circa la lettera dell’incognito, che fare? Appigliarsi ai severi, gretti consigli della paura che s’intitola prudenza? Rendere la lettera a Tremerello, e dirgli: Non voglio rischiare la mia pace? — E se non vi fosse alcuna frode? E se l’incognito fosse un uomo degnissimo della mia amicizia, degnissimo ch’io rischiassi alcun che, per temprargli le angosce della solitudine? Vile! tu stai forse a due passi dalla morte, la feral sentenza può pronunciarsi da un giorno all’altro, e ricuseresti di fare ancora un atto d’amore? Rispondere, rispondere io debbo! — Ma venendo per disgrazia a scoprirsi questo carteggio, e nessuno potesse pure in coscienza farcene delitto, non è egli vero tuttavia che un fiero castigo cadrebbe sul povero Tremerello? Questa considerazione non è ella bastante ad impormi come assoluto dovere il non imprendere carteggio clandestino?