Capo XXXV

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Cap XXXIV Cap XXXVI


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Capo XXXV.

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Fui agitato tutta sera, non chiusi occhio la notte, e fra tante incertezze non sapea che risolvere.

Balzai dal letto prima dell’alba, salii sul finestrone, e pregai. Nei casi ardui bisogna consultarsi fiducialmente con Dio, ascoltare le sue ispirazioni, e attenervisi.

Così feci, e dopo lunga preghiera, discesi, scossi le zanzare, m’accarezzai colle mani le guance morsicate, ed il partito era preso: esporre a Tremerello il mio timore, che da quel carteggio potesse a lui tornar danno; rinunciarvi, s’egli ondeggiava; accettare, se i terrori non vinceano lui.

Passeggiai, finchè intesi canterellare: Sognai, mi gera an gato, E ti me carezzevi. Tremerello mi portava il caffè.

Gli dissi il mio scrupolo, non risparmiai parola per mettergli paura. Lo trovai saldo nella volontà di servire, diceva egli, due così compiti [p. 117 modifica]signori. Ciò era assai in opposizione colla faccia di coniglio ch’egli aveva e col nome di Tremerello che gli davamo. Ebbene, fui saldo anch’io.

— Io vi lascerò il mio vino, gli dissi; fornitemi la carta necessaria a questa corrispondenza, e fidatevi che se odo sonare le chiavi senza la cantilena vostra, distruggerò sempre in un attimo qualunque oggetto clandestino.

— Eccole appunto un foglio di carta; gliene darò sempre, finchè vuole, e riposo perfettamente sulla sua accortezza.

Mi bruciai il palato per ingoiar presto il caffè, Tremerello se ne andò, e mi posi a scrivere.

Faceva io bene? Era, la risoluzione ch’io prendeva, ispirata veramente da Dio? Non era piuttosto un trionfo del mio naturale ardimento, del mio anteporre ciò che mi piace a penosi sacrifizi? un misto d’orgogliosa compiacenza per la stima che l’incognito m’attestava e di timore di parere un pusillanime, s’io preferissi un prudente silenzio ad una corrispondenza alquanto rischiosa?

Come sciogliere questi dubbi? Io li esposi candidamente al concaptivo rispondendogli, e soggiunsi nondimeno essere mio avviso, che [p. 118 modifica]quando sembra a taluno d’operare con buone ragioni e senza manifesta ripugnanza della coscienza, ei non debba più paventare di colpa. Egli tuttavia riflettesse parimente con tutta la serietà all’assunto che imprendevamo, e mi dicesse schietto con qual grado di tranquillità o d’inquietudine vi si determinasse. Che, se per nuove riflessioni, ei giudicava l’assunto troppo temerario, facessimo lo sforzo di rinunciare al conforto promessoci dal carteggio, e ci contentassimo d’esserci conosciuti collo scambio di poche parole, ma indelebili e mallevadrici di alta amicizia.

Scrissi quattro pagine caldissime del più sincero affetto, accennai brevemente il soggetto della mia prigionia, parlai con effusione di cuore della mia famiglia e d’alcuni altri miei particolari, e mirai a farmi conoscere nel fondo dell’anima.

A sera la mia lettera fu portata. Non avendo dormito la notte precedente, era stanchissimo; il sonno non si fece invocare, e mi svegliai la mattina seguente ristorato, lieto, palpitante al dolce pensiero d’aver forse a momenti la risposta dell’amico.