Le idee di una donna/La donna e la cultura
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LA DONNA E LA CULTURA
Sopra un punto importante della questione occorre insistere e non deve arrestarci la considerazione che le cose le quali stiamo per dire possano per avventura essere già state dette, perchè il bene morale consiste, piuttosto che nella ricerca del nuovo, nella ripetizione costante di due o tre verità immutabili; persuadiamoci di questo: “Importa poco che un’idea sia vecchia e recente. È vera? È falsa? Ecco ciò che interessa„.
Falso senza alcun dubbio è il modo col quale i femministi presentano la questione, imperniandola sopra un criterio di inferiorità della donna che nessuno seriamente si sogna di ammettere, ma che offre loro buon gioco per schierarsi a paladini di una causa che non esiste. Incominciando a dire che la donna è ritenuta inferiore, si preparano la scala per slanciarsi a liberarla da cotesta prigionia ipotetica ed arrivano alla conclusione che inferiore veramente è, ma per colpa dell’uomo il quale l’ha sempre dominata ed oppressa.
Ora la verità vera è che da quando l’umanità uscì dai limiti sconosciuti ed ebbe una storia, quando sulla inconsulta brutalità del selvaggio si vennero delineando i primi albori della coscienza, e via via che la sostanza psichica quale sprigionata farfalla si librò dalla conquista animale alle conquiste del pensiero, si vide la donna salire lentamente insieme al suo compagno, assurgere, entrare con esso nei nuovi mondi conquistati, così che mai, in nessun periodo del lungo cammino percorso l’uomo si trovò solo — e quando occorse il sacrificio, quando occorse l’eroismo, quando bisognò lottare, soffrire, morire, la donna lottò, sofferse, morì con lui; morì con lui nell’esilio, sui campi di battaglia, nelle prigioni, nella tortura, sotto la mannaia, sulla forca.
Si può immaginare che le donne della storia antica, le donne romane, le donne dei tempi di mezzo, le donne del Rinascimento, le donne della Rivoluzione francese, le donne del Risorgimento italiano, sieno messe tutte a fascio come un batufoletto di cenci vecchi e mandate alla cartiera dalla quale deve uscire sotto altra forma la donna nuova? la donna forte cioè, la donna superiore? — poichè quelle altre che dormono ora così serenamente nei loro sudari di martiri, nelle loro vesti insanguinate o nei miti veli della loro spirituale bellezza — esse che ispirarono poemi immortali, non furono che larve di donna? No, non voi troppo lontane sotto la polvere dei secoli, eroine antiche; ma voi dalle ceneri ancora calde, Teresa Confalonieri, Anita Garibaldi, Adelaide Cairoli — e la interminabile falange di quelle senza nome e senza storia, oh! benedette, la di cui immagine passò come ultimo raggio all’ora estrema nelle pupille dei nostri Grandi, mirate la povertà delle anime nostre; un diploma vogliono, un titolo accademico.... E voi non eravate neppure maestre!
Ma lasciamo stare i morti o almeno quelli fra i morti che noi non abbiamo conosciuti e guardiamoci attorno; cerchiamo nella nostra memoria, fra i parenti, fra gli amici. Sono così disgraziati i femministi da non trovare nelle loro famiglie, che donne senza coscienza e senza dignità? Non hanno essi mai osservato nell’ambiente della borghesia, e fra i piccoli artigiani e fra i contadini, dove i mezzi sono scarsi, la cultura nulla, dove spesso l’uomo è accasciato dal lavoro e dalla responsabilità, quale posto importante vi occupa la donna? Non le hanno viste proprie mai le donne econome, laboriose, serie, prudenti, amorose, pazienti e magari analfabete, ma ricche a dovizia di quel sentimento tutto femminile che è l’abnegazione e l’amore della casa? Non conoscono gli infiniti matrimoni nei quali il valore intimo della donna supera di gran lunga quello dell’uomo e lo supera precisamente in condizioni dove la cultura non ha nulla a vedere? E nei negozi, negli affari, nelle contese, nelle questioni di interesse, di opportunità, di convenienza, quante volte la moglie vede meglio e più lontano del marito? Quante fortune pericolanti furono salvate da una donna? Quante donne rimaste vedove, provvidero colla maggiore saviezza al buon avviamento dei figli mentre nessun uomo potrebbe fare altrettanto? E con una tale corona di meriti, con un campo così fertile dischiuso alla sua operosità e già coperto di sì ricca messe, dovrà la donna aspettare che la propria coscienza e la propria dignità le vengano bandite da appositi Comitati? Ma sono cose dell’altro mondo!
Sta bene che si combatta la frivolezza della donna, la civetteria, la maldicenza, tale e quale come si possono combattere la grossolanità ed altri difetti degli uomini e meglio ancora fare una guerra leale alle colpe che i due sessi hanno in comune e che sono senza dubbio le più numerose, ma pretendere che dopo diciannove secoli si debba tornare a levare un’altra costola all’uomo per rifare la donna, ah! è troppo.
La singolare confusione che si fa ora tra senno e scienza, fra criterio e cultura, contribuisce a spargere l’erronea credenza che tanto maggiori saranno gli studi della donna e meglio soddisferà i suoi obblighi di madre e di educatrice; modo questo assolutamente ristretto e materiale di considerare una questione dove l’essenza spirituale è tutto. Qualcuno che vale un po’ più di me ha già detto che la fede nel libro scolastico è uno dei grandi pregiudizi del secolo; (Spencer) ma si continua a credere che lo studio delle lingue sviluppa l’intelligenza e tutto porta a temere che si continuerà per un pezzo. Piccole famiglie di mezzi limitati vanno incontro a spese ed a sacrifici gravi perchè si reputerebbero disonorate se non mandassero le loro figliuole all’estero per educarsi e quando ritornano, sviate dalla casa, lontane dalla madre, ricche di nozioni e povere di esempi, povere di quel sentimento domestico che è la forza della donna e la base della famiglia, che cosa volete mai che facciano se non ricercare affannosamente fuori delle lor quattro mura il perchè della vita che si sono lasciate sfuggire di mano?
Le parole hanno un destino crudele; le più nobili, le più sante fra di esse, goccie preziose di un liquore che si dovrebbe conservare nel più profondo sacrario della coscienza, sparpagliate da fanciulli pazzi e crudeli corrono per il mondo, si infiammano, accendono voglie inconsulte, vanità latenti, e sotto il bel nome sonoro di amore vanno distruggendo e soffocando la radice stessa dell’amore che è la donna. Vuole la donna riescire utile e compiere fino in fondo la sua missione? Si alzi e tenda le braccia; nel breve cerchio della sua persona troverà tanto bene da fare, silenziosamente, quanto le trombe di cento Comitati non faranno mai. Ogni donna faccia così, e sarà per tutta la terra come un onda propagata di piccoli cerchi armonici, come una rete di sottile incanto dove si acquieteranno le ire degli uomini.
Quello che io domando non è facile, lo so, ma quello che propongono i femministi è inutile, ed è peggio. Essi vogliono offrire alla donna il posto della mosca che si immaginava di guidare il carro. Sanno bene che il lento passo dei buoi e il sudore che gronda dai loro fianchi e la preoccupazione del bifolco inteso a scrutare i solchi sono i soli fattori del maestoso lavoro, ma la mosca, ronza, ronza, ronza e c’è pur qualcuno che la prende sul serio.
Io l’ho già detto altrove, però questa è appunto una di quelle verità che conviene ripetere. Se si potessero aprire scuole di criterio, di rettitudine, di senso morale, e si fosse sicuri di vederle frequentate con profitto, varrebbe la pena di sopprimere una buona metà degli edifici cittadini per convertirli a questo scopo; ma finchè le scuole sono quelle che sono, cioè una fredda e indigesta distribuzione di sapere in pillole e i maestri dei disgraziati obbligati a insegnare le origini del Missisipì e la fondazione dei gonfaloni a fanciulli in cui la coscienza è già guasta molte volte e la dignità già offesa, perchè sventolare continuamente la bandiera malamente dipinta dell’istruzione che tante magagne nasconde e nessuna risana? Cos’è mai l’istruzione impartita così se non un abito di gala messo sopra a una persona senza camicia? Che i ministri nel tracciare i loro programmi si allontanino affatto dal criterio educativo, hanno torto, ma si capiscono; essi sono oggi ministri dell’istruzione come ieri erano avvocati e domani chi sa che cosa. Ma le donne, le educatrici nate, se perdono in tal modo la bussola dove anderemo a finire? Esse hanno in mano la coscienza del fanciullo, che è la sola cosa necessaria, e non se ne curano; ed hanno l’istruzione della quale si può fare a meno, che forma tutto il loro tripudio. Esse difatti vi parleranno sempre dell’intelligenza dei loro figli, dimenticando che l’intelligenza non è che una impugnatura sulla quale bisogna innestare una punta di ben terso acciaio se si vuole che l’opera sua nel mondo sia profittevole.
Vi sono, certo, donne colte che hanno sentimento, passione, buon senso, amore della casa e della vita intima; ma queste belle qualità femminili le conservano ad onta della cultura, non per essa. Essa, la cultura impartita a donne vane, leggere, superficiali, senz’anima e senza criterio le lascia tali e quali colla saccenteria in più. Non è dunque solamente inutile; è in molti casi anche dannosa.
Nè basta. La voce della scienza ha già avvertito che tutto lo sperpero di forze fatto dalla donna per contendere all’uomo le occupazioni della mente diminuisce il tesoro di energie intatte di cui la donna è per così dire il serbatoio; forze eguali a quelle dell’uomo, ripetiamolo, senz’ombra di inferiorità, ma destinate a diverso impiego; impiego dopo tutto che alla natura preme assai più di ogni altro.
Mettiamoci bene in mente che una donna la quale porta con pazienza per nove mesi un bambino e dolorando lo mette alla luce, indi lo cura con intelligenza, lo circonda di soavità, lo cresce sano, gli forma il carattere, gli fa amare la bellezza, lo educa alla morale, questa donna ha dato al mondo un uomo giusto e sfido chiunque a fare opera più grande.
Provvedere poi alle donne che non possono essere madri coll’insultarle tutte e traviarne la missione, equivale al rizzare un ospedale e scrivervi sopra: casa per i sani. Fate l’ospedale, se occorre, ma abbiate il coraggio di chiamarlo ospedale. Per me tutto il movimento femminista si riduce a ciò. E non credo che un corso di storia o una dissertazione letteraria possano mai consolare una donna della sua vita mancata; ma ancora più illogico mi sembra educare le fanciulle col preconcetto che debbano restare zitelle; tanto varrebbe privarle appena nate degli organi della maternità.
Noi le vediamo queste povere fanciulle trotterellare, cariche di quaderni, dalla scuola alle accademie intanto che la madre se ne sta in casa sola, oppure le segue docilmente facendo la spola innanzi e indietro — necessariamente divise d’anima e di pensiero. Le vediamo nella fresca età delle illusioni anemizzarsi sui banchi delle scuole, piegare la morbidezza istintiva verso un rigido ideale cattedratico, correre, affannarsi, profanare la loro femminilità in una gara che sarebbe grottesca se non fosse sommamente dolorosa. Non i baci impallidiscono le loro labbra, non le ansie misteriose del sesso ricercano le loro membra: sono stanche, sono affrante, sono anemiche senza avere compiuto nessuno dei loro doveri, senza avere affermato nessuno dei loro diritti, povere tradite cui attende la nevrastenia.
Eppure non mancano le persone di buona fede che dicono ingenuamente: Ma bisogna pur fare qualche cosa per le donne che non trovano marito! Ora in tale circostanza una sola cosa potrebbe veramente riescire efficace: trovare il marito. Se questo non si può, tutto il resto è fumo e rumore vano; perchè mi vorrete concedere che isterilire sopra un calamaio piuttosto che sopra una calza come si faceva una volta non muta affatto la questione; e che l’infermo voltandosi sull’altro fianco si illuda di diminuire le proprie sofferenze, come ragionamento da infermo si può compatire, ma non sarà mai il ragionamento della scienza. Non serve proprio dar fiato alle trombe e stendere dei programmi per cambiare semplicemente di doglia, col pericolo già avvertito che la doglia futura sia anche maggiore e di più gravi conseguenze che non l’antica.
So che i femministi citano volontieri le donne d’altri paesi. Piano a ma’ passi — rispondo con una sentenza di casa nostra. Piuttosto che uno studio profondo e un vero convincimento, io vedo in codesta mania quella medesima che fa preferire le maniche a pallone quando è troppo tempo che si portano le maniche piatte. Faccio una sola domanda: È maggiore la moralità e l’idealità di quelle donne? Chi le ha conosciute dice di no e dicono di no anche i fatti diversi delle gazzette di quei paesi. Dove dunque non è progresso morale non è vero progresso. Quanto all’essere felici, torniamo da capo. Le spintster che tengono conferenze e presiedono meeting sono davvero più felici delle nostre parenti che coltivano i loro gerani sul davanzale della finestra e preparano delle trine all’uncinetto per il salotto domestico? Tutto dipende dal punto di vista, ma anche questo non bisogna forzarlo. La vita naturale fisiologica della donna è nella casa: se qualcuna crede di battere altre vie, le ha sempre battute da che mondo è mondo e nessuno impedirà di farlo anche adesso; ma erigere l’eccezione a sistema, la medicina a pane quotidiano e propinarla alle giovani creature che non chiedono altro che di vivere secondo i diritti naturali, e far loro un torto di essere così, questo è l’errore funesto delle nuove teorie.
Riassumendo la mia povera opinione domando: Che cosa vuole il così detto movimento femminista? Migliorare la donna? ma se vediamo colla storia alla mano e col solo nostro ricordo mirabili creature riguardando le quali ogni donna deve umiliarsi e imparare! Provvedere meglio all’educazione dei fanciulli? Ma se l’educazione non ha nulla a fare coll’istruzione, tanto intima, raccolta, personale è quella, tanto questa è parolaia, piazzaiola e pubblicamente infeconda! Contendere all’uomo le sue funzioni? Ma perchè? Per aiutarlo no; egli non ne ha bisogno. L’aiuto che egli ci domanda è di ben altra importanza e noi affannandoci a volergli dare quello che non gli occorre lo verremo gradatamente privando del solo bene che gli possiamo realmente offrire, essendo primissima tra le leggi naturali quella che non permette la concentrazione di forze in un punto senza affievolire le altre parti. Variare l’occupazione delle donne che non avendo figli si annoiano in casa?... Alla buon ora; questa piccola ragione potrebbe essere la vera; ma è ben piccola per interessare ad essa tutto il mondo. Proprio non vale la pena di una alzata di scudi. Basterebbe che quelle donne se la intendessero tra loro senza gettare tanto biasimo e tanto disprezzo sulle altre, senza pretendere di voler innalzare la loro piccola idea più o meno pratica alle grandiose proporzioni di un ideale umano.
Resta la questione economica che si può dividere in due programmi, uno finanziario l’altro morale. Quanto possa essere giovevole in tempi di difficile impiego per l’uomo la concorrenza della donna, cioè la moltiplicazione in tutte le carriere della già enorme falange degli aspiranti è un quesito assai più che problematico. È dunque una guerra che le donne vogliono muovere all’uomo, una specie di arena dove i combattenti si contenderanno il pezzo di pane. Dicono che per la donna questa attitudine è più nobile che non quella di ricevere il pane dal padre, dal marito o dal fratello. Ora che due cani incontrandosi intorno ad un osso giudichino in tal senso non mi fa meraviglia; ma che l’uomo e la donna dopo tante lotte insieme combattute, dopo tanto sangue e tante lagrime versate insieme, debbano ritrovarsi in quella medesima attitudine animalesca è cosa che rattrista e che impensierisce.