Le feste di San Giovanni in Firenze/Parte seconda/Capitolo II
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§ II
Nella mattina del 24 giugno, da un uomo della Gluardaroha Generale, veniva posta sopra la testa del leone di pietra che era sulla ringhiera di Palazzo Vecchio una corona d’ottone dorato fatta a punte e gigli, nel cerchio della medesima erano incastonate diverse gioie false, qual corona vi si teneva tutto il giorno. Il Leone, detto anche Marzocco, stava assiso sulle gambe di dietro e su quelle davanti, con una delle quali reggeva lo scudo col giglio fiorentino. Al tempo della repubblica, nella fascia della corona in luogo delle gemme erano incisi i seguenti versi:
«Corona porto per la patria degna
Acciocché libertà ciascun mantegna.»
Sembra che l'uso d’incoronare il leone risalisse fino a remoti tempi, poiché essendo questo l’arme della città, si voleva con ciò significare la sovranità di essa: si considerava il leone anche come il talismano della repubblica, poiché essa, non solo nutriva vivi a spese pubbliche i leoni nel serraglio presso il Palazzo, ma ancora scolpiti in pietra ed in marmo, i leoni stavano eretti per tutte le città e castelli soggetti al dominio fiorentino.
Nell'anno 1564 il leone di pietra che era sopra la cantonata della ringhiera fu per ordine di Cosimo I trasferito nel mezzo di essa, poiché una parte della ringhiera stessa si dovè demolire per erigere la fontana del Nettuno, col disegno dell’Ammannati. Questa ringhiera fu demolita anche dalla parte di ponente nel 1812, per ordine del Groverno sotto la direzione del prof. Del Rosso, che gli sostituì la scalinata che vedesi di presente, alla estremità della quale fece collocare un leone scolpito da Donatello, inalzato sopra un imbasamento di marmo intagliato con gli emblemi della repubblica, che aveva fin allora servito di base all'antico leone conosciuto sotto il nome di Marzocco.
Anche a tempo di Cosimo I si continuò a ricevere da detta ringhiera gli omaggi per le feste di S. Giovanni, come usavasi al tempo della repubblica.
Agli antichi tributi ed ai paliotti che offrivano le terre e castelli dello Stato fiorentino, se ne aggiunsero quasi altrettanti, dopo che da Cosimo fu conquistata la città e lo Stato di Siena. I paliotti dello Stato senese furono fatti a spese del Monte Comune, e per distinguerli dagli altri avevano una striscia di seta bianca e nera. I marchesi, conti, ed altri signori senesi mandavano a offerta un loro domestico a cavallo con tazza d’argento legata al braccio in segno di tributo; e più uno staffiere con la livrea della casa. Talora in luogo della tazza pagavano per censo dei loro fondi alla Depositeria Generale una libbra, ovvero mezza libbra d’argento. Era costune anche anticamente che in tal festività un gentiluomo senese portasse lettere della città di Siena, con espressioni di fedeltà e vassallaggio, insieme con esso venivano diversi cavalieri, però quest’uso fu tolto per diminuire la spesa e fu incaricato invece di tal cerimonia qualche gentiluomo senese che si trovasse in Firenze.
La chiamata delle città e castelli che dovevano presentarsi a questa rassegna, veniva fatta dal Banditore; e quando era chiamata la città di Siena si avanzava alla testa dei paliotti della città stessa un uomo a cavallo vestito di velluto bianco e nero, tutto trinato con bardatura simile, nella quale erano quattro armi della città di Siena, due con la lupa, e due in campo bianco e nero. Il cavallo aveva un cappuccio pure di velluto bianco e nero, con arme del Granduca in fronte e rosa bianca e nera. L’uomo a cavallo portava una gran tazza d’argento ov’era cesel- lata una lupa che allatta Romolo e Remo, a piedi poi stava un servitore vestito degli stessi colori; dopo che anche da questi era reso l’omaggio, seguiva il Banditore a chiamare le altre città.
Alle feste eseguite nell’anno 1541, intervenne per la prima volta la Guardia alemanna, fatta venire da Cosimo I, in Firenze, composta di numero 200 soldati che erano alloggiati in Fortezza da Basso, e che tenevano il corpo di guardia nel palazzo dei Medici in via Larga ove abitava Cosimo, ed anche al palazzo della Signoria. Tre anni dopo, cioè nel 1544, vennero anche 60 Cavalleggieri spagnoli per guardia di Cosimo I, che furono alloggiati nel Corso dei Tintori nei locali del Convento di S. Croce.
Alla solenne funzione degli omaggi in Piazza della Si- gnoria intervenivano pure tutti i Magistrati, non che il Potestà e Giudici, preceduti dai Trombettieri e Mazzieri, e da un fanciullo vestito in abito di lana di color turchino guarnito di giallo, e calzoni larghi legati sopra il ginocchio.
Portava questo fanciullo un cappello di beverò coperto di perle e di ermellini, legato sulle spalle, e una grande spada all’antica con la punta all’insù, tenendola con ambe le mani per l’impugnatura. Questa spada era l’insegna della Giustizia, e si crede che questa unitamente al cappello fosse donata da Eugenio IV alla Signoria, in segno di onore e di stima, allorchè detto Pontefice venne in Firenze nell’anno 1434. Questo dono fu fatto da detto Pontefice nella circostanza di aver tenuta una solenne funzione nella cappella papale in S. Maria Novella. A perpetua memoria di cosiffatta onoranza fu ordinato che questi doni fossero portati innanzi ai Signori, quando facevano il loro ingresso in palazzo, in altra solenne festività.
Interveniva pure il Console dell’Accademia fiorentina, come rettore generale dello studio fiorentino, qual Console, a forma di un Decreto di Cosimo I del 26 settembre 1553, aveva il primo posto fra i Collegi.
Dopo venivano i Capitani di parte, il Magistrato dei nove, gli otto di Guardia e Balìa, gli Ufiziali del Monte e Conservatori di legge e di archivio, preceduto ogni Magistrato da due Donzelli con mazze ed insegne.