Le donne di casa Savoia/XXVI. Maria Luisa Gabriella di Savoia

XXVI. Maria Luisa Gabriella di Savoia

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XXVI. Maria Luisa Gabriella di Savoia
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[p. - modifica] Maria Luisa Gabriella di Savoia

Regina di Spagna

1688-1714.

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XXVI.

MARIA LUISA GABRIELLA DI SAVOIA

Regina di Spagna

n. 1688 — m. 1714



L’ anima eletta, alla falena eguale,
Prepone ore di luce ad anni oscuri,
E ben sa che l’ardor le abbruccia l’ale,

Maffei



C
arlo II, quarto ed ultimo successore di Casa di Austria sul trono di Spagna, morendo senza figli il I.° novembre 1700, invece di far testamento, come era la generale aspettativa, in favore di un arciduca della famiglia, chiamò a succedergli il nipote della propria sorella Maria Teresa, moglie di Luigi XIV, cioè Filippo d’Angiò, fratello del Duca di Borgogna.

Il Re francese accettò, senza frapporre indugio, pel nipote la corona (ci è anzi chi dice che avesse lui stesso indotto Carlo a tale testamento), lusingato assai da un tal fatto, nella sua avidità e nella sua ambizione, e il 25 gennaio 1701, neppur tre mesi dopo la morte di Carlo, il giovine successore prendeva possesso del regno. [p. 300 modifica]Questi avvenimenti originarono la famosa, lunga e sanguinosa guerra detta della Successione, dove tutta l’Europa, divisa in due partiti, era, per così dire, impegnata; nondimeno Luigi XIV, senza troppo, preoccuparsene, pensava a porre al fianco del Re diciottenne una Regina; e fosse la buona riuscita della sorella, la Duchessa di Borgogna, fosse la speranza di farsi partigiano ed amico Vittorio Amedeo, gli fece porre gli occhi sulla secondogenita dì lui.

Vittorio Amedeo non fu così sollecito a dare il suo sì, perchè cercava di rimaner libero, onde unirsi a quello dei due avversi partiti che più gli convenisse, e perchè era contrario a quella politica francese, burbanzosa ed invadente, che, ispirata dal genio terribile di Luvois, dovette poi soccombere nel 1706 sotto le mura di Torino.

Ma finalmente si venne alla conclusione desiderata da Luigi XIV, e il giorno 11 settembre 1701, il vecchio principe Emanuele Filiberto di Carignano, il sordomuto, sposava in nome di Filippo V, in Torino, la sua tredicenne cugina.

Maria Luisa Gabriella contava appena tredici anni nel giorno del suo matrimonio; un matrimonio triste oltre ogni dire: la Corte era in lutto per la morte del padre della Duchessa Anna, ed avo della sposa; Vittorio Amedeo era assente, partito pel campo il giorno avanti, e la fanciulla molto addolorata di dover lasciar la madre che amava teneramente, e la nonna, di cui essa, Louison, era l’idolo. Pur troppo Maria Luisa [p. 301 modifica]non ebbe un’ora di letizia nella sua vita, neppure il giorno del suo matrimonio!

Dopo essere stata festeggiata dal vecchio cugino nella sua dimora di Racconigi, essa lasciò piangente la sua terra natale, accompagnata da esso, dalla madre e dalla nonna, fino a pie del Colle di Tenda, d’onde poi, soltanto col seguito, si recò a Nizza per imbarcarsi sulla flotta spagnuola, dove attendevala il seguito spagnuolo, con a capo la celebre principessa degli Orsini, futura sua Camerera Mayor, che alcuni dicono fosse anche l’Egeria del nuovo Re.

Sebbene quasi bambina, la novella Regina era assai franca e disinvolta; e quantunque non molto alta, nè bella, aveva un personale svelto ed elegante, ed una espressione di fisonomia così graziosa e piccante, che piaceva. Negli occhi, quasi neri e vivacissimi, aveva, scrive la contessa Della Rocca Castiglione, «un non so che di furbescamente sincero, se così si può dire, che sembrava esprimere questo pensiero: — Guardatemi bene in faccia; sono sincera, ma a me non mi si fa».

E che a lei non si faceva, lo dimostrò subito; giacché la villania delle dame spagnuole, alle mani delle quali era rimasta, giunta a Figuères, ove si rinnovò la cerimonia del matrimonio, fu causa ch’ella si crucciasse col marito la sera stessa delle nozze, e che si tenessero il broncio per due giorni. Ciò non impedì peraltro che Filippo e Maria Luisa si amassero in seguito sinceramente; e nei dodici anni della loro unione essa non fu soltanto moglie innamorata e fedele, [p. 302 modifica]ma fu anche un aiuto efficace e sicuro nelle difficili circostanze che accompagnarono i primi anni del loro regno. Essa non gli rimproverò mai altro che la sua perpetua indecisione e la sua grande taciturnità con gli altri; e fino nel primo anno del matrimonio, essa così scriveva di quella sua indecisione al Re di Francia: «Supplico V. M. di usare dell’autorità che sì giustamente e a tanti titoli Ella ha su suo nipote, per persuaderlo a dire: voglio o non voglio, ed imitare così la M. V.». E non aveva che quattordici anni!

Maria Luisa fu superiore alla sorella per serietà ed elevatezza di carattere e di pensieri; e lo dimostrano, fra le altre, le sue lettere alla madre, nelle quali talora esprime i suoi timori per la leggerezza della sorella; e le fu del pari superiore per sagacia ed energia, tanto che, posta quasi subito in condizione di provare queste sue qualità, si mostrò all’altezza di quelle funzioni che era chiamata ad esercitare. Del resto, nel dotare queste due sorelle, la Provvidenza era stata oltre ogni dire sagace, giacché ognuna possedeva le qualità e le virtù che dovevano esserle necessarie.

I novelli sposi eransi fermati alcuni giorni a Barcellona, dove il Re aveva da presiedere i Consigli di Stato, detti Cortes, allochè egli si ammalò. Per aiutarlo e risparmiarlo. Maria Luisa lo rappresentò qualche volta, e così imparò per tempissimo a disimpegnare quelle funzioni che dovè esercitare più volte nelle sue reggenze.

Dopo appena un anno di matrimonio, Filippo dove [p. 303 modifica]recarsi a visitare i suoi stati d’Italia, e veder di sedare in quelli del Napoletano una piccola rivoluzione. Maria Luisa desiderò vivamente di accompagnarlo, nella speranza di rivedere così la sua amata famiglia, ma Luigi XIV osservò che essa doveva rimanere a capo dello Stato, quasi come un ostaggio, ed ella, rassegnandosi, procurò di fare del suo meglio per ben rappresentare il Re.

E siccome Maria Luisa ebbe un’intelligenza superiore, ebbe saviezza, fermezza e coraggio in dose tale che più di un principe non volgare avrebbe potuto contentarsene, così riuscì perfettamente nel suo intento, appagando tutti, tanto che Louville, nelle sue memorie segrete, disse: «Era una di quelle principesse che costituiscono un eterno rimprovero contro la legge salica».

E la Saredo:

«Maria Luisa aveva un’attitudine particolare ad occuparsi di cose gravi e poco confacenti, per l’ordinario, al carattere femminile, mentre una dolcezza «tutta femminea dava una seduzione irresistibile ai suoi modi e alle sue parole. Ella assisteva ai consigli col Re, e quando era Reggente, presiedeva gli Stati delle varie provincie (specie di Parlamento), e presiedeva sì bene che la prima volta, a Saragozza, dopo aver destato un poco di diffidenza, nella sua qualità di donna e di giovinetta, entusiasmò talmente gli Aragonesi che votarono per lei un dono di 10.000 scudi. Ella si affrettò di mandarli allo sposo in Italia, ecc., ecc.,» e dal suo canto s’indirizzò alla capitale. [p. 304 modifica]Maria Luisa non conosceva Madrid se non per quanto ne aveva inteso raccontare, e quello non era davvero né bello né bene. Vi arrivò dunque mal prevenuta, ma con la ferma risoluzione di giudicare da sé stessa, prima di condannare.

La capitale fece alla giovine Regina, che le era già simpatica per quanto se ne diceva, un’accoglienza addirittura entusiastica. Essa, fin dal suo primo giungervi, si persuase che non era nè brutta nè sudicia come le avevano detto, e nel palazzo reale seppe condurre vita semplice e tranquilla, decisa a non prestar mano ad intrighi, né orecchio a pettegolezzi.

Il Re tornò a Madrid nel 1703, ma per ripartirne ben presto e recarsi alla frontiera, perché l’arciduca Carlo di Lorena, riconosciuto col nome di Carlo III di Spagna da molti potenti, e da essi protetto e spalleggiato, ripigliava piede nel regno. Dopo la battaglia di Saragozza lo scompiglio entrò nelle truppe spagnuole, e ciò rendeva agevole la marcia di lui sopra Madrid, che Filippo non poteva difendere, aperta come era da tutte le parti, e dovè decidersi ad abbandonarla. Maria Luisa si presentò, prima di partire, al popolo col figliuoletto Luigi in collo, e parlò alla gente accorsa da tutte le parti, con tanta grazia (dice ancora la Saredo), tanta forza e tanto coraggio, che il successo da lei ottenuto parve incredibile. L’impressione che il popolo ne ebbe si comunicò dovunque, e giunse immediatamente fino alle più lontane provincie risvegliandole in favore di Filippo V. [p. 305 modifica]Ma l’entusiasmo popolare non valse ad impedire che la famiglia reale lasciasse la capitale, e andasse errabonda per qualche tempo, fino che non si rifugiò a Vittoria.

Quando poi il Re tornò a Madrid, perchè Carlo III era rientrato in Catalogna, la Regina, sofferente già della malattia che doveva spegnerla, non potè seguirlo. Le angosce, i disagi dell’esilio, le avevano cacciata indosso una febbre continua che lentamente la consumava, e che si aggravò ancor più alla notizia della morte di sua sorella, la Duchessa di Borgogna. Andò più tardi a Corella, dove è aria buona e acque maravigliose, e non tornò alla capitale che in novembre.

Una delle cose che recava maggior dolore a Maria Luisa, si era quella di non poter rivedere la patria e la famiglia, e nelle sue lettere alla madre e alla nonna, con cara ingenuità, rammenta sempre tutti i suoi diletti d’Italia, le cose, i luoghi, i costumi, le abitudini. Dopo la pace di Utrecht, che separava Francia da Spagna, e in forza della quale Filippo cedeva la Sicilia a Vittorio Amedeo, Maria Luisa sperò di nuovo di tornare in Italia, e ne esultava, come esultava al pensiero di vedere i genitori incoronati Re e Regina, per la quale cerimonia, e per la visita in Sicilia, dove vigeva sempre l’etichetta spagnuola, mandò, richiesta, precise spiegazioni e norme alla madre. Ma se sua sorella, Maria Adelaide, non giunse a vedere e godere la pace per la quale tanto si era affannata. Maria Luisa non [p. 306 modifica]vide quell’incoronazione che era il suo più ardente desiderio.

La Regina aveva da soli tre mesi dato alla luce il suo terzo figlio, l’infante Ferdinando, quando la sua salute sempre vacillante peggiorò d’un tratto rapidamente, e la tisi s’impadronì di lei. Era il gennaio 1714. Ma essa, tanto abituata a soffrire e a doversene stare in letto, quasi non si accorse del suo aggravarsi. Ad istanza del medico, il Re dovè decidersi a dirglielo, e lo fece la sera dell’11 febbraio, ultima domenica di carnevale, dopo tornato vano il tentativo fatto dal famoso medico Helvetius, inviato di Francia da Luigi XIV.

Filippo entrò nella camera insieme alla principessa Orsini, stata durante quei dodici anni l’intima amica di Maria Luisa, e le fece un lungo discorso circa la gratitudine che essi dovevano a Dio per la protezione che aveva sempre loro accordata, e per le consolazioni loro concesse nei figli. «Poi — e qui cito la contessa Della Rocca Castiglione, che ha fatto uno studio accurato su Maria Luisa — disse come convenisse ora, che ambedue ricorressero a Lui per ottenere una grandissima grazia, cioè il ristabilimento della salute di lei, e che perciò egli aveva deciso di confessarsi e di fare la comunione quella sera stessa. La pregava di unirsi con lui, affinchè le loro orazioni salissero insieme a impetrare la grazia tanto desiderata.

«La Regina capi da queste parole come il suo stato fosse più grave che non avesse creduto; la poveretta [p. 307 modifica]molto se ne addolorò, e rivolgendo verso la principessa Orsini il viso inondato di lacrime — Vedete, mia cara — le disse — quanto sono debole e poco rassegnata al volere di Dio? Sono però da compatire, considerando quanto sia cosa dolorosa dovere abbandonare il Re e i cari figliuoletti nostri!

«Disse poi che non si era punto preparata a sì vicino e sì grande sacrifizio; commosse con le sue parole tutti gli astanti che avevano gli occhi pieni di lacrime. Era il lunedì; la sera stessa vide il suo confessore spirituale, un padre gesuita, e subito dopo la mezzanotte, insieme col Re, ricevette la comunione. Il martedì chiese del padre Bianco, domenicano, predicatore di Corte; dopo si dimostrò più calma e rassegnata; disse alla Orsini di essere stata da lui molto più consolata che dal suo confessore.

«Chiamò a sé i figli, che per ordine del medico non baciò e non toccò. Li tenne una mezz’ora in camera guardandoli amorosamente, si raccolse in sé, e quasi più non parlò.

«Rese l’ultimo sospiro la mattina verso le otto, il mercoledì delle Ceneri, 14 febbraio 1714; morì portando seco la dolce illusione di avere ispirato un forte e costante affetto allo sposo, una profonda amicizia all’Orsini, e invece quanto fragili erano i loro sentimenti! Il Re riprese subito la sua calma abituale, andò a caccia il giorno dopo, e vedendo passare, attraverso pia foresta, la bara di Maria Luisa che veniva trasportata all’Escuriale, si fermò e la guardò ad occhi [p. 308 modifica]asciutti! La principessa Orsini, per un puntiglio di vanità, non comparve nemmeno al funerale della Regina; e chiusi che ebbe gli occhi Maria Luisa, non si occupò d’altro che di mantenere il suo credito presso il Re.»

Che almeno i suoi figli le abbiano consacrato un culto eterno! Ma essi erano sì piccolini quando li lasciò! Essa, oltre all’essere Regina valorosa e intrepida, fu pure moglie tenera e affettuosa madre. Dalle sue lettere alla madre e alla nonna, in quei dettagliati particolari che essa dà dei suoi piccini, si scorge tutta la cura che ne aveva, e qual soddisfazione provasse a vederseli d’intorno. Se Maria Luisa ebbe qualche istante di felicità nella sua fuggevole vita, essi furono quelli passati all’ombra, nei vasti giardini del Buen Retiro (magnifica residenza reale allora fuori di Madrid), circondata dai figliuoletti, dal marito e dall’amica. Quei figliuoletti erano tre, Luigi e Ferdinando che furono entrambi successivamente Re di Spagna, e Maria Antonietta Ferdinanda, che tornò Regina là d’onde sua madre era partita lacrimando, moglie al cugino Vittorio Amedeo III.

Alle molte virtù di Maria Luisa si è qui brevemente accennato; come politica era degna figlia di Vittorio Amedeo II La sua vita fu breve e nobile: la salutare influenza che vivente esercitò sul marito, e sulle popolazioni a lui soggette, è nota a tutti. In Spagna, anche dopo la sua morte, se ne parlò sempre con entusiasmo, e come di persona che possedeva ogni [p. 309 modifica]qualità per farsi adorare. Gli spagnuoli la consideravano come una specie di divinità; e nessuno colà si consolò tanto presto della sua morte, tranne il marito, che contrasse subito un secondo matrimonio. L’affetto però del popolo spagnuolo, che salvò più di una volta la corona a Filippo V, era per la massima parte dovuto a lei, e se lo portò seco nella tomba, tanto che la nuova sposa, odiata anzi che no, non poteva mostrarsi in pubblico col Re senza udir gridare: «Viva il Re e la Savoiarda! e la Savoiarda!»