Le cento novelle antiche/Novella VIII

Novella VIII

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Come un figluolo d'uno re donò a un re di Siria scacciato.


NOVELLA VIII.


Uno signore di Grecia, lo quale possedea grandissimo reame, et avea nome Aulix, avea uno suo giovane figliuolo, al quale facea nodrire et insegnare le sette arti liberali, e faceali insegnare vita morale, cioè di be’ costumi. Un giorno tolse questo re molto oro, e diello a questo suo figliuolo, e disse: dispendilo, come ti piace. E comandò a’ baroni, che non l’insegnassero spendere, ma solamente avvisassero il suo portamento, e ’l modo ch’elli tenesse. I baroni seguitando questo giovane, un giorno stavano con lui alle finestre del palagio. Il giovane stava pensoso; vide passare per lo cammino gente assai nobile, secondo l’arnese e secondo le persone. Il cammino correa a’ piè del palagio. Comandò questo giovane, che fossero tutte quelle genti menate dinanzi da lui. Fue ubbidita la sua volontade, e vennero i viandanti dinanzi da lui. E l’uno ch’avea lo cuore più ardito e la fronte più allegra si fece avanti, e disse: messere, che ne domandi? Il giovane rispose: domandoti onde se’? e di che condizione? Et elli rispose: messere, io sono d’Italia, e mercatante sono molto ricco, e quella ricchezza ch’i’ ho, noll’ho di mio patrimonio, ma tutta l’hoe guadagnata di mia sollecitudine. Il giovane domandò il seguente, il quale era di nobili fazioni, e stava [p. 22 modifica]con peritosa faccia1, e stava più indietro che l’altro; e non così arditamente quelli disse: che mi domandi, messere? Il giovane rispose: domandoti d’onde se’, e di che condizione? Et elli rispose: Io sono di Siria, e sono re, et ho sì saputo fare, che li sudditi miei m’hanno cacciato. Allora il giovane prese tutto l’oro, e diello a questo scacciato. Il grido andò per lo palagio. Li baroni e cavalieri ne tennero grande parlamento, e tutta la corte sonava della dispensagione di questo oro. Al padre furono raccontate tutte queste cose, e le domande e le risposte a motto a motto. Il re incominciò a parlare al figliuolo, udenti molti baroni, e disse: come dispensasti? che pensero ti mosse? qual ragione ci mostri, che a colui che per sua bontà avea guadagnato non desti, et a colui ch’avea perduto per sua colpa e follia tutto desti? Il giovane savio rispose: messere, non donai a chi non m’insegnoe, nè a neuno donai, ma ciò ch’io feci, fu guidardone e non dono. Il mercatante non m’insegnò neente; non li era neente tenuto. Ma quelli che era di mia condizione, figliuolo di re, e che portava corona di re, il quale per la sua follia avea sì fatto, che i sudditi suoi l’aveano cacciato, m’insegnò tanto, che i sudditi miei [p. 23 modifica]non caccieranno me. Onde picciolo dono diedi a lui di così ricco insegnamento. Udita la sentenzia del giovane, il padre e li suoi baroni il commendaro di grande sapienzia, dicendo che grande speranza ricevea della sua giovenezza, che nelli anni compiti sia di grande valore. Le lettere corsero per li paesi a’ signori et a’ baroni, e furonne grandi disputazioni tra li savi.

Note

  1. con peritosa faccia. Peritoso lo stesso che timido. Questo vocabolo non è ito in disuso affatto: l'adoperò anche Francesco Redi, il qual disse: “se vengo a palesarvi la credenza ch’io ne tengo, lo fo con animo peritoso e con temenza grandissima”. Esp. int. alla gener. degl’ins., facc. 14, ediz. 1668.