Le caverne dei diamanti/2. La leggenda delle caverne dei diamanti

2. La leggenda delle caverne dei diamanti

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2. La leggenda delle caverne dei diamanti
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2.

LA LEGGENDA DELLE CAVERNE DEI DIAMANTI


Dopo d'aver riaccesa la mia pipa e di essermi bagnata l'ugola con un bicchiere di whisky, ripresi la parola.

— Trent'anni or sono, un cacciatore chiamato Èvans, che s'interessava appassionatamente delle tradizioni di questi paesi, mi aveva raccontato che cacciando sulle terre dei matabeles, aveva udito da alcuni indigeni a vantare le ricchezze favolose che da secoli si trovavano raccolte in certe caverne, situate alle falde di quelle montagne, che oggi vengono chiamate di Suliman.

«Uno stregone del paese dei manicos, gli aveva inoltre narrato che attorno a quelle montagne viveva un popolo numeroso e guerresco conosciuto col nome di koukouana e che godeva d'una civiltà relativamente assai avanzata, insegnatagli da alcuni bianchi che in tempi molto lontani avevano soggiornato in quel territorio.

«Allora non si erano ancora scoperte le favolose miniere del Transvaal, sicché io aveva prestato ben poca fede alla leggenda raccontatami dal mio amico; ma vent'anni più tardi io aveva udito ancora a parlare delle ricchezze delle montagne di Suliman.

«In quell'epoca mi ero avventurato al di là del paese dei manicos, ed essendo stato colpito dalle febbri, mi ero forzatamente fermato in un miserabile villaggio chiamato il kraal di Sitanda.

«Mi trovavo colà da alcune settimane, quando un giorno vidi giungere un portoghese accompagnato da un servo sangue misto, ossia da un mulatto.

«Io, a dirvi il vero, non ho mai amato i portoghesi perché sono la piaga di questi paesi, essendo quasi tutti, dal più al meno, trafficanti di carne umana, ossia di schiavi.

«Quel portoghese però sembrava un uomo differente dai suoi compatrioti ed aveva la fisonomia d'un uomo onesto ed i modi d'una persona molto educata e molto istruita. Avendolo io interrogato, seppi che si chiamava José da Sylvestra e che aveva una fattoria sulle rive della baia di Delagoa.

«Avendo stretto con lui amicizia, alcuni giorni dopo venne a salutarmi, dicendomi:

«"Addio, senor. Se io tornerò, sarò l'uomo più ricco del mondo e mi ricorderò della vostra amicizia e della vostra ospitalità".

«Poi si allontanò dirigendosi verso l'ovest, assieme al suo servo. Io non avevo fatto gran caso alle sue parole, anzi l'aveva ritenuto per un pazzo o per un visionario.

«Una settimana più tardi, mentre stava rosicchiando la carcassa d'un pollo, abbassando gli sguardi verso le sabbie del deserto che un sole implacabile rendeva fiammeggianti, scorsi a circa trecento passi da me, sulla cima d'una collinetta, una forma umana. Si arrampicava faticosamente, cadeva e si rialzava, facendo sforzi disperati per avanzare. Guardandolo attentamente vidi che era realmente un uomo, anzi un europeo, dalle vesti che indossava.

«Quando giunse a pochi passi da me, riconobbi in lui il portoghese, che era partito promettendomi di ritornare l'uomo più ricco della terra.

«Quel povero diavolo non era più che l'ombra di se stesso. Era pallido, disfatto, sparuto, quasi irriconoscibile.

«Appena mi scorse, mi disse con voce rotta:

«"Dell'acqua!... Per l'amor di Dio!... Datemi dell'acqua".

«Mi ero alzato per corrergli incontro onde aiutarlo. Udendo quelle parole andai a prendere una fiasca d'acqua e gliela porsi, raccomandandogli però di berla a poco a poco, ma invece la vuotò senza staccarla dalle labbra tanta era la sete che aveva sofferto nel deserto.

«Fu una imprudenza senza dubbio, poiché cadde come colpito da sincope. Chiamai i miei uomini, lo feci trasportare nella mia tenda e gli prodigai le cure più affettuose, finché rinvenne.

«Il suo stato però era tale, da disperare della sua salvezza.

«Fu preso da una febbre violentissima e da accessi di delirio, durante i quali mi parlava di montagne, di deserti, di tribù di negri, di caverne di diamanti e d'un documento misterioso che possedeva.

«Quando lo vidi più calmo ed assopito, mi addormentai anch'io, non essendo ancora completamente guarito.

«L'indomani vidi il mio portoghese seduto sulla pelle che gli serviva da letto, colle braccia tese verso il grande deserto e più disfatto che mai.

«Vedendomi mi sorrise tristamente, poi additandomi le sabbie ardenti, mi disse:

«"Sono laggiù, ma nessuna persona andrà forse a raccogliere quei tesori".

«Poi facendo cenno di avvicinarmi a lui, riprese:

«"Io sto per morire, amico".

«"Non lo pensate" diss'io. "Io vi curerò e vedrete che fra poco riprenderete le vostre forze."

«"No, non guarirò più; ho troppo sofferto nel deserto e sento che mi rimane ben poco da vivere."

«Non risposi poiché ero certo anch'io che quel disgraziato non avrebbe veduto il sole a tramontare.

«Il portoghese stette alcuni minuti in silenzio, continuando a guardare il deserto, poi mi chiese:

«"Cosa avete pensato di me, quando io vi dissi che sarei ritornato l'uomo più ricco del mondo?"

«"Che andaste a raccogliere qualche colossale eredità" risposi. "Ma lasciate là i tesori e pensate a riposare."

«"Oh! Avrò tutta l'eternità per riposare" mi disse, con un amaro sorriso. "Ascoltatemi, amico: voi siete state sempre così buono con me e mi avete ospitato per due volte sotto la vostra tenda; io voglio ora confidarvi un segreto che un giorno potrebbe farvi immensamente ricco."

«"Vi ascolto."

«"Avete udito a parlare delle caverne delle montagne di Suliman?"

«"Sì" risposi, guardando vivamente il moribondo. "Ho udito a raccontare una strana leggenda."

«"Non è una leggenda, è verità. Quelle caverne esistono e contengono dei tesori favolosi, colà rinchiusi da tempi immemorabili."

«Si aprì la camicia e trasse un pezzo di stoffa che sembrava a prima vista una foglia di tabacco tanto era oscura e su cui si scorgevano delle parole e dei segni scritti con un certo inchiostro color rosso mattone.

«"Cos'è questo?" chiesi, stupito.

«"Un documento prezioso. Potete leggere ciò che vi è scritto?"

«"No, sono parole indecifrabili."

«"Sono portoghesi."

«"Non conosco quella lingua."

«"Non importa; vi farete tradurre ciò che vi è scritto su questo documento. Uno dei miei antenati che portava il mio nome, Josè da Sylvestra, nobile portoghese, per ragioni politiche era stato costretto ad emigrare al capo di Buona Speranza. Ciò accadeva, notatelo bene, trecent'anni or sono. Non so in quale modo, egli era venuto in possesso d'un papiro antichissimo ed era riuscito a decifrarlo dopo lunghi anni di pazienti studi. Quel papiro concerneva i tesori racchiusi nelle caverne che si trovano sui fianchi delle montagne di Suliman, sulle montagne che voi vedete laggiù, all'estremità del deserto, proprio di fronte alla vostra tenda. Il mio antenato, certo di poter giungere alla meta e di raccogliere quelle ricchezze, partì a quella volta accompagnato da alcuni schiavi, ma la morte lo colse quando già aveva scoperte le caverne e non tornarono che alcuni servi ai quali aveva confidato il documento onde lo rimettessero alla sua famiglia. Quella preziosa carta fu da me rinvenuta dopo tanti anni e decisi di partire per la conquista di quei tesori; però, come vedete, non sono stato più fortunato del mio antenato. Tenete questo documento e servitevene. Io non potrò farne più alcun uso, poiché la morte si avvicina a grandi passi."

«Ciò detto ricadde sul suo giaciglio, presso da accessi di delirio. Il suo stato peggiorò rapidamente e due ore dopo il disgraziato cessava di vivere.

«Feci seppellire il suo cadavere, facendolo interrare profondamente e coprire di grossi sassi per impedire agli sciacalli ed alle jene di divorarlo e pochi giorni più tardi lasciavo il kraal di Sitanda, portando con me il prezioso documento.»

— Lo avete ancora? — mi chiese il signor Falcone, che aveva ascoltato attentamente quella strana istoria.

— Sì — risposi.

— L'avete qui? — mi chiese il tenente con vivacità.

— Aspettate un momento — dissi. — Di ritorno a Durban lo feci tradurre da un vecchio portoghese che stava per imbarcarsi per l'Europa non volendo che la notizia si divulgasse nel paese e che altri approfittasse per carpirmi i tesori accumulati nelle caverne delle montagne di Suliman. L'originale del documento è a casa mia, rinchiuso in una cassetta, però ho con me una copia.

— Avreste difficoltà a mostrarcela? — mi chiese il genovese.

— Nessuna, signore. Eccola!...

Trassi dal mio portafoglio la copia del documento lasciatomi dal povero portoghese e lo mostrai ai due amici, facendo notare loro quanto vi era scritto sotto.

— Leggete — mi disse il signor Falcone.

— Ecco quanto è scritto:

«Io, Josè da Sylvestra, che sto per morire di fame nella piccola caverna ove non vi è che della neve, al nord della vetta situata fra le due grandi montagne chiamate di Sheba, scrivo questo documento nell'anno 1590, col mezzo d'un osso appuntito, adoperando un pezzo della mia veste non possedendo alcun brano di cartapecora e servendomi del mio sangue per inchiostro.

«Se i miei schiavi troveranno questo scritto lo portino al mio amico... (qui il nome era illeggibile).

«Che il mio amico faccia conoscere al re questo documento, onde possa mandare dei soldati a conquistare le caverne dei tesori. Se la spedizione potrà attraversare il deserto e vincere le tribù valorose dei koukouana e le loro arti diaboliche, il re diverrà il più ricco di tutti i monarchi dell'Europa.

«Affermo di aver veduto coi miei propri occhi i diamanti ammonticchiati nella caverna situata dietro a quella chiamata della Morte bianca e da me indicata sul disegno.

«Senza il tradimento di una strega chiamata Gagoul che mi aveva seguìto, io sarei diventato immensamente ricco, mentre fu gran ventura se potei uscire ancora vivo dalla caverna dei tesori.

«Coloro che vorranno venire qui, seguano la via tracciata su questo documento, attraversino le nevi della montagna che si erge a sinistra, finché troveranno una grande via aperta fra le vallate e che sembra opera di romani o di egizi; giunti sul capezzolo della costa settentrionale, troveranno le caverne.

«La residenza reale dei koukouana si trova a tre giornate di marcia dalle montagne.

«Che il re mi vendichi dal tradimento della Gagoul.

«Pregate per la mia anima!... Addio!... »

Allorquando ebbi terminata la lettura del documento, un profondo silenzio regnò nella cabina. Il genovese ed il tenente Good parevano entrambi immersi in profondi pensieri o che mi ascoltassero ancora.

Finalmente il tenente di marina ruppe quel silenzio.

— Io ho viaggiato assai il mondo, — disse, — ho udite tante leggende e tante istorie, ma mai una così incredibile.

— L'istoria di quel portoghese morto trecent'anni or sono, è infatti assai strana — aggiunse il genovese. — Io spero, signor Allan, che voi non ci racconterete delle frottole. Vi sono dei viaggiatori che si divertono a spacciarle grosse.

— Signore — risposi io un po' risentito e riprendendo il mio documento. — Io non sono abituato a raccontare delle cose non veritiere; d'altronde io non v'obbligo a credere a quanto avete udito e veduto.

Così dicendo mi alzai per andarmene, ma il genovese mi trattenne, mettendomi famigliarmente una mano su una spalla.

— Via, signor Quatremain — mi disse, sorridendo. — Io vi domando perdono se sono stato un po' troppo franco; però ammetterete che simile istoria sembra incredibile. Se io l'avessi raccontata a voi, mi avreste senz'altro creduto? Io lo dubito.

— Forse avete ragione — risposi io, rabbonito da quella franchezza. — Se avete però dubbi sull'autenticità di questa carta, appena giunti a Durban vi farò vedere l'originale lasciatomi dal portoghese. Quanto v'ho narrato, ve lo giuro, è scrupolosamente esatto. D'altronde vi è un altro che ha saputo qualche cosa di questa istoria e che è già partito per cercare di scoprire le famose caverne dei tesori.

— E chi?...

— Vostro fratello.

— Mio fratello?... Siete certo di questo?

— Ascoltatemi: come vi dissi, il signor Neville aveva con sé un cafro meticcio chiamato Jim, un garzone assai intelligente e molto bravo.

«Il giorno stesso in cui vostro fratello si preparava a partire, il cafro mi venne a salutare, dicendomi:

«"Prima che intraprendiamo il grande viaggio, vorreste darmi un po' di tabacco, baas? (padrone)".

«"Dove andate adunque?" gli chiesi. "Forse a cacciare gli elefanti?"

«"No, baas, noi andiamo a cercare qualche cosa di meglio."

«"Andate a scoprire qualche miniera d'oro?"

«"Oh! Qualche cosa di più prezioso ancora" mi rispose.

«Io ero curioso di sapere cosa sarebbe andato a cercare il signor Neville, ma la mia dignità non mi permetteva di mostrarmi eccessivamente seccante e rimasi silenzioso. "Baas" riprese il meticcio, dopo qualche esitazione.

«Io finsi di non udirlo e di essere assorto a contemplare i miei buoi.

«"Baas" ripeté il meticcio.

«"Ebbene, cosa vuoi ancora?" gli chiesi.

«"Baas, noi andiamo a cercare dei diamanti."

«"Dei diamanti!" esclamai. "Ma mio ragazzo voi andate in un luogo ove non ne troverete. I campi di diamanti, i digging si trovano dalla parte opposta alla via che state per prendere."

«"Noi non andiamo ai campi, baas. Non avete mai udito a parlare delle montagne di Suliman?"

«"Certo" risposi.

«"Avete mai udito a raccontare di certe caverne che si trovano lassù?"

«"Sì, ho udito quella leggenda."

«"Non è una leggenda, padrone. Io ho conosciuto una donna venuta da quei paesi assieme ad un fanciullo ed ella mi ha raccontato che su quelle montagne vi sono delle caverne ripiene di diamanti."

«Io avevo compreso perfino troppo quale era lo scopo del loro viaggio e siccome temevo che mi derubassero dei tesori che un giorno o l'altro volevo scoprire io, tentai di spaventarlo dicendogli che avrebbero lasciata la vita nel deserto e senza trovare un solo diamante.

«"Può darsi che noi non ritorniamo più mai," mi rispose, "ma il mio padrone è convinto dell'esistenza di quei tesori e non indietreggerà dinanzi a qualsiasi pericolo; d'altronde si è tutti destinati a morire e ciò avvenga prima o dopo, è tutt'uno. Andremo adunque a vedere se si potrà raccogliere qualche cosa in quei paesi."

«"Saranno gli avvoltoi che raccoglieranno le vostre carcasse per spolparle" gli dissi.

«"Voi potrete avere ragione, però noi partiremo egualmente."

«Un'ora più tardi il signor Neville si metteva in viaggio, dopo d'aver venduto i suoi buoi ed i suoi carriaggi ad un olandese. Prima che si inoltrasse nel deserto, vidi Jim ritornare verso di me.

«"Addio, baas" mi disse. "Io non potevo andarmene senza salutarvi un'ultima volta, essendovi molte probabilità che io lasci le ossa nel deserto."

«"Ma mi hai raccontato la verità, Jim?" gli chiesi.

«"Sì, noi andiamo verso le montagne di Suliman. Il mio padrone vuol cercare fortuna ed andremo ad esplorare quei paesi per scoprire i diamanti."

«"Ebbene," diss'io, "attendimi un istante. Giacché siete decisi a recarvi nel paese dei diamanti, io ti darò un biglietto che vi potrà essere molto utile, ma non lo consegnerai al tuo padrone se non quando sarete giunti a Inyati, ossia a centocinquanta chilometri da qui."

«Rientrai nella mia tenda e su di un pezzo di carta scrissi le seguenti parole che ancora ricordo perfettamente:

«"Se voi vi avventurerete fra le nevi del Suliman, ricordatevi di salire sempre a destra della montagna Sheba e di procedere finché troverete una grande via. Sarà questa che vi condurrà nel paese dei diamanti".

«"Prendi" dissi al meticcio, porgendogli il biglietto. "Tu raccomanderai al tuo padrone di seguire esattamente le mie istruzioni, però ricordati di non informarlo se non quando sarete giunti a Inyati. Se tu lo facessi prima egli ritornerebbe per interrogarmi ed io non voglio spiegarmi di più. Il segreto è mio e lo serberò."

— Ecco, signor Falcone, quanto io so di vostro fratello — conclusi, guardando il genovese. — Come vedete anche il signor Neville aveva udito a parlare delle caverne dei diamanti.»

— Credete che sia morto? — mi chiese egli.

— Io non lo so, signore. Potrebbe essere morto di sete e di stenti nel deserto e potrebbe anche essere vivo ed essersi arrestato nei paesi dei koukouana.

— Io sono venuto in Africa a cercarlo e non tornerò in Europa se non l'avrò prima trovato, o non avrò avuto le prove della sua morte.

— Ciò vi riguarda, signore — risposi. — Farete quello che crederete più opportuno.

— Signor Quatremain, siete pratico di quei luoghi? — mi chiese Good.

— Un po' sì; non conosco però le montagne di Suliman. Le ho vedute da lontano, profilarsi ad di là del deserto, durante il mio soggiorno al kraal di Sitanda.

— Sono molto lontane?

— Almeno duecento chilometri dal kraal.

— Non è molta cosa — disse il genovese.

— Eh! Ma mio caro signore, sono duecento chilometri di deserto, duecento chilometri di sabbie ardenti prive della minima goccia d'acqua. Che io sappia, dopo il portoghese Sylvestra, nessun uomo è riuscito ad attraversarli, almeno lo credo.

— Lo tenteremo noi, signor Allan — mi disse il signor Falcone con tono risoluto.

— Voi!... — esclamai, stupito.

— Vi dissi che io sono deciso a raggiungere mio fratello. Signor Quatremain, vi spaventerebbe questo viaggio, se io vi facessi la proposta di unirvi a noi?

Io non risposi e mi limitai a guardare l'italiano ed il tenente di marina. Io sono sempre stato prudente e non avevo alcuna intenzione, almeno in quel momento, d'impegnarmi in una simile spedizione, in fondo alla quale si poteva incontrare la morte.

Quando è la morte che viene a cercarci, ci si rassegna, nulla potendo fare per evitarla; ma andarle incontro a sangue freddo, senza utilità personale io l'avrei creduta una pazzia bella e buona.

— Orsù, signor Quatremain — mi disse il signor Falcone. — Cosa avete da rispondermi?

— Che io vi ringrazio, signore, e che la vostra confidenza in me mi onora, ma che io sono ormai troppo vecchio per intraprendere una spedizione così azzardata. E poi io ho un figlio e se io morissi nessuno forse più penserebbe a lui e sarebbe costretto ad interrompere i suoi studi favoriti, non avendo io potuto raccogliere nessuna fortuna da lasciargli in eredità.

I due amici si scambiarono uno sguardo di delusione.

— Signor Allan — mi disse ad un tratto il genovese. — Io sono ricchissimo e sono disposto a spendere qualsiasi somma pur di ritrovare mio fratello.

«In questo viaggio, i vostri servigi mi sarebbero preziosi; fissate un prezzo, nel limite del ragionevole ed io ve lo verserò senz'altro, anzi farò di più; io m'incaricherò dell'avvenire di vostro figlio, nel caso che voi doveste soccombere durante il viaggio.

«Pensate che noi andremo su quelle montagne dove si trovano le famose caverne dei diamanti. Col documento che possedete, voi potreste scoprirle e diventare l'uomo più ricco del mondo.

«Io nulla voglio di quelle ricchezze; se avremo la fortuna di trovarle, le dividerete fra voi ed il mio amico Good.

«Decidetevi, signore: fate le vostre condizioni e guidateci attraverso il grande deserto.»

— La vostra è una proposta vantaggiosa, — risposi, — però lì per lì io non posso decidermi. Lasciatemi riflettere e quando noi sbarcheremo a Durban vi dirò se avrò accettato o no.

— Io spero che la vostra risposta sarà favorevole — mi rispose il genovese.

— Forse — dissi.

Vuotai un ultimo bicchiere di whisky e mi ritirai. Quella notte io sognai deserti, animali feroci, caverne spaventose, diamanti a palate ed il povero Sylvestra morto di fame sui fianchi nevosi del Suliman.