Le baruffe chiozzotte/L'autore a chi legge

L’autore a chi legge

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Le baruffe chiozzotte Personaggi
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L'AUTORE

A CHI LEGGE1.


I
L termine Baruffa è lo stesso in linguaggio Chiozzotto Veneziano, e Toscano. Significa confusione, una mischia, un azzuffamento d’uomini, o di donne, che gridano, o si battono insieme. Queste baruffe sono comuni fra il popolo minuto, e abbondano a Chiozza più che altrove; poiché di sessanta mila abitanti di quel Paese2 ve ne sono almeno cinquanta mila di estrazione povera e bassa, tutti per lo più Pescatori o gente di marina.

Chiozza è una bella e ricca Città venticinque miglia distante da Venezia, piantata anch’essa nelle Lagune e isolata, ma resa Penisola per via di un lunghissimo ponte di legno, che comunica colla Terraferma. Ha un Governatore con titolo di Podestà, ch’è sempre di una delle prime Case Patrizie della Repubblica di Venezia, a cui appartiene. Ha un Vescovo, colà trasportato dall’antica sede di Malamocco. Ha un Porto vastissimo, e comodo, e bene fortificato. Evvi il ceto nobile, il civile ed il mercantile. Vi sono delle persone di merito e di distinzione. Il Cavaliere della città ha il titolo di Cancelier Grande, ed ha il privilegio di portare la veste colle maniche lunghe e larghe, come i Procuratori di San Marco. Ella in somma è una Città rispettabile; e non intendo parlare in questa Commedia che della gente volgare, che forma, come diceva, i cinque sesti di quella vasta popolazione.

Il fondo del linguaggio di quella Città è veneziano; ma la gente bassa principalmente ha de’ termini particolari, ed una maniera di pronunziare assai differente. I Veneziani pronunziando i verbi dicono, per esempio, andar, star, vegnir (per venire), voler ecc. ed i [p. 12 modifica]Chiozzotti dicono: andare, stare, vegnire, volere ecc. Pare perciò che pronunzino i verbi come i Toscani, terminandoli colla vocale senza troncarli; ma non è vero, poiché allungano talmente la finale, che diviene una caricatura. Io ho appreso un poco quel linguaggio e quella pronunzia nel tempo ch’io era colà impiegato nell’uffizio di Coadiutore del Cancelliere Criminale, come accennai nella prefazione del Tomo Ottavo3 di questa edizione, ed ho fatto una fatica grandissima ad instruire i miei Comici, affine di ridurli ad imitare la cantilena e l'appoggiatura delle finali, terminando i verbi, per così dire, con tre o quattro e, come se dicessero andareeee, sentireeee, stareeee ecc. Quando4il verbo è sdrucciolo, come ridere, perdere, frìgere ecc.,5: rider, perder, friger ecc. ed i Chiozzotti, che non potrebbero pronunziare, come negli altri verbi, ridereeee, perdereeee, frigereeee, perchè ciò sarebbe troppo duro anche alle loro orecchie, troncano la parola ancora di più, e dicono: ride, perde, frize ecc. Ma io non intendo qui voler dare una grammatica chiozzotta: accenno qualche cosa della differenza che passa fra questa pronunzia e la veneziana, perchè ciò ha formato nella rappresentazione una parte di quel giocoso, che ha fatto piacer moltissimo la Commedia. Il personaggio principalmente di Padron Vicenzo6 è stato de’ più gustati. È un uomo grossolano, parla presto, e non dice la metà delle parole, di maniera che gli stessi suoi compatrioti lo capiscono con difficoltà. Come mai sarà egli compreso dai Leggitori? E come potrà mettersi in chiaro colle note in pié di pagina quel che dice e quel che intende di dire? La cosa è un poco difficile. I Veneziani capiranno un poco più; gli esteri, o indovineranno, o avranno pazienza. Io non ho voluto cambiar niente né in questo, né in altri Personaggi; poiché credo e sostengo, che sia un merito della Commedia l’esatta imitazione della natura. Diranno forse taluni, che gli Autori Comici devono bensì imitar la natura; ma la bella natura, e non la bassa e la difettosa, lo dico all’incontro, che tutto è suscettibile di commedia, fuorché i [p. 13 modifica] difetti che rattristano, ed i vizj che offendono. Un uomo che parla presto, e mangia le parole parlando, ha un difetto ridicolo, che diviene comico, quando è adoperato con parsimonia, come il balbuziente e il tartaglia. Lo stesso non sarebbe d’un zoppo, d’un cieco, d’un paralitico: questi sono difetti ch’esigono compassione, e non si deggiono esporre sulla scena, se non se il carattere particolare della persona difettosa valesse a render giocoso il suo difetto medesimo.

Altri condanneranno, può essere, ch’io abbia troppo moltiplicato sopra le scene questa sorta di soggetti e di argomenti bassi e volgari. I Pettegolezzi delle donne, le Massere, il Campiello e le Baruffe Chiozzotte, ecco (diranno codesti tali) quattro commedie popolari, tratte da quanto vi è di più basso nel genere umano, le quali disgustano, o almeno non interessano le colte e delicate persone. Se questi Critici fossero per avventura gli stessi che si doleano un tempo di me, perchè io osava mettere in iscena i Conti, i Marchesi ed i Cavalieri, direi che probabilmente non amano le Commedie, se intendono di limitare sì strettamente il campo degli Autori. Ma chiunque siano, dirò lor francamente che la natura e l’esempio mi hanno consigliato a tentarlo; e la riuscita delle prime Commedie mi ha autorizzato a produrre le altre.

Questo è quel genere di Commedie, che diconsi dai Latini Tabernaria, e dai Francesi Poissardes. De’ buoni Autori antichi e moderni ne hanno prodotto con merito e con applauso; e ardisco dire, le mie non sono state men fortunate.

L’editore delle Opere di Monsieur Vadé, in quattro volumi in ottavo, così si spiega nella prefazione, parlando dell’autore francese.

Il est createur du genre Poissard, que des pretendus grands esprits se font un point d’honneur de mépriser, mais qui cependant n'est point méprisable. Il peint la nature, basse, si l'on veut, mais tres-agreable à voir, parcequ'elle est rendue dans les ouvrages de notre Auteur avec les traits et les coloris agreables, qui la font d’abord reconnoître. Il y a dans le monde bien de sortes d’esprits: ceux-ci, misanthropes froids, sont fachés qu’on les amuse, et mesurent leur estime sur le degré de chagrin et d’humeur qu’il trouvent dans les autres; ceux-là, censeurs perpetuels, mettent de la [p. 14 modifica]vanité à blamer tout; quelques uns d’un rang elevé regardent la plaisanterie comme indigne de leur qualité, et se croiroient degradés, si elle leur arrachoit un sourire. Des autres enfin, singes maladroits, affectent par air une gravité ridicule, et resistent par vanité au plaisir qu'ils sentent naturellement. Tous ces differents esprits blament, ou feignent de blamer le genre Poissard; mais tous on vû avec un plaisir singulier etc....

E in un altro luogo:

Tout ce qui est vrai, a droit de plaire, tout ce qui est plaisant, a droit de faire rire etc.

Supplico i signori Critici ad osservare, che l’Autor Francese suddetto erasi dato a questo genere di componimenti, e con questo solo piaceva.

Io all’incontro ho fatto le mie Tabernarie, le mie Poissardes, dopo la Pamela, il Terenzio, il Tasso, le Persiane, e tant’altre che potevano soddisfare gli spiriti più seriosi e più delicati. Un’altra ragione potrebbe ancora giustificarmi. I Teatri d’Italia sono frequentati da tutti gli ordini di persone; e la spesa è sì mediocre, che il bottegaio, il servitore ed il povero pescatore possono partecipare di questo pubblico divertimento, alla differenza de’ Teatri Francesi, ne’ quali si paga dodici paoli in circa per un solo posto nell’ordine nobile, e due per istare in piedi nella platea. Io aveva levato al popolo minuto la frequenza dell’Arlecchino; sentivano parlare della riforma delle Commedie, voleano gustarle; ma tutti i caratteri non erano adattati alla loro intelligenza: ed era ben giusto, che per piacere a quest’ordine di persone, che pagano come i Nobili e come i Ricchi, facessi delle Commedie, nelle quali riconoscessero i loro costumi e i loro difetti, e, mi sia permesso di dirlo, le loro virtù.

Ma quest’ultima giustificazione è affatto inutile; poiché a tali Commedie le persone le più nobili, le più gravi e le più delicate si sono divertite egualmente, per la ragione allegata di sopra in francese, che: tutto quello che è vero, ha il diritto di piacere, e tutto quello ch’è piacevole, ha il diritto di far ridere.

  1. Questa prefazione usci in testa alla commedia nel t. XV dell" ed. Pasquali di Venezia, l’anno 1774. Non esiste lettera di dedica.
  2. Nella sc. 2, atto II, della commedia e nelle Memorie (v. vol. I della presente ed., p. 15) l'autore dice 40 mila. Certo confonde la città con l'intero distretto. Chioggia contava ai tempi del Goldoni circa 20 mila abitanti.
  3. Si corregga: Tomo Quinto.
  4. Nel testo è stampato quando, con lettera minuscola.
  5. Nel testo si va a capo con le parole / Veneziani troncano ecc.
  6. Così nel testo, ma il Goldoni doveva dire Padron Fortunato.