Le avventure di Saffo/Libro II/Capitolo VI
Questo testo è completo. |
◄ | Libro II - Capitolo V | Libro II - Capitolo VII | ► |
CAPITOLO VI.
La navigazione.
Spirava il vento orientale fedele precursore del giorno sereno, e gli anelanti destrieri trasportavano colle chiome a quello disciolte il sonante carro. Ma quant’era piacevole il vivace muovere de’ passi loro, ed il maestoso ondeggiamento, con cui progredivano, altrettanta era la mestizia delle due donne taciturne, che giacevano nel carro. Degna certamente era quella vista della considerazione di un intelletto bramoso di filosofia, perchè due animali nati e nutriti nella schiavitù, guidati col rigore della sferza, e col tormento de’ morsi, in tutto soggetti al tiranno capriccio d’un plebeo monarca, nondimeno erano felicissimi in paragone della sventurata loro signora, la quale traevano semiviva, non per inedia, per sete o corporeo dolore o violenta ferita, ma per un solo amarissimo pensiero.
Fu diretto il loro cammino al non lontano porto di Mitilene, dove giunte scesero trattenendo il carro, finchè non ritrovarono, come subito loro avvenne, un legno pronto a spiegar le vele verso la Sicilia; sopra del quale salirono prestamente, pattuita la mercede, insieme coll’arca, e con ClitoFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15. Spirava propizio il vento, e già appariva il cielo tinto in oriente di roseo splendore. Le acque s’increspavano al soffio dell’aure leggiere, e languiva la luna all’apparire de’ prepotenti raggi di Febo; onde a’ consueti segni de’ nocchieri, furono distese le vele, e uscì la nave nella vastità del pelago. Vanne pure scortato dalle aure seconde, o legno rapitore, che teco trasporti un core più tempestoso del mare, e la tua rapida prora solchi gli umidi sentieri delle onde pericolose, così felicemente, come lieta rondine nel cielo sereno, senza incontrare le insidiose sirti, o gli scoglj crudeli.
Intanto il Sole illuminava le più alte vette de’ monti, e a poco a poco da quelle scendeva l’ampia luce lungo le falde; e gli augelli volavano destandosi a rivedere avidamente il giorno, quando Scamandronimo risorse all’ora consueta dal placido sonno, e scese a respirare la fresca aura negli ombrosi sentieri del domestico giardino. Mirò in quelli non mai compressi, se non dalle orme umane, i segni delle volubili rote, e delle ferrate orme de’ destrieri; onde in prima sdegnosamente chiamò i servi desideroso di scoprire quell’arrogante che avesse così deturpata l’amenità del luogo. Risposero timidamente i primi, trasmettendo dall’uno all’altro i rimproveri dell’irritato signore, finchè ritornando il cocchiere dal porto la tristissima avventura fu manifesta. Scamandronimo seguendo gli stimoli dell’aspro dolore, avrebbegli tolta la vita come complice della fuga, se Cleide non accorreva, ed altri parlando in di lui difesa con ragionevoli scuse, delle quali la più efficace era il suo ritorno, ingenua prova della di lui innocenza. Per la qual cosa, sedati alquanto gl’impeti dello sdegno, volle Scamandronimo intendere con ogni specialità quanto era avvenuto, il che essendogli narrato ingenuamente, furono spediti fedeli messi al porto, i quali per varie direzioni ricercarono nell’ampiezza de’ mari, nella estensione de’ lidi, e nella fama degli uomini la regione e la via, a cui fosse rivolta la disperata fanciulla. Acerbo in verità, e celebrato dalle storie fu il dolore di Menelao allorchè trovò deserto l’ancor tiepido talamo, nè più vide la rapita sposa, cagione funesta di sanguinosa guerra; terribile fu l’ira del valoroso figlio di Peléo, maraviglioso argomento di versi immortali; ma quella non meno di Scamandronimo fu acerba ira, e lagrimevole cordoglio in così infelice aurora, la più tetra che recasse a’ suoi provetti e fino allora placidi giorni, il non preveduto destino. Conciossiachè se mai con dispiacevole uso della paterna autorità si fosse opposto agli infelici disordini della figlia, avrebbe pure, se non consolato se medesimo, trovata almeno qualche probabile cagione di fuga tanto ignominiosa; laddove avendola anzi ammonita con amichevoli ed affettuose insinuazioni, la di lei segreta partenza era un dispiacevole indizio di cuore ripugnante alle leggi de’ costumi, e sciolto da ogni vincolo di verecondia con deplorabile corruttela. Quindi il misero maledicendo la propria credulità, e mansuetudine, abbracciando la domestica ara, fu sul punto di consacrare con orrende imprecazioni alle furie vendicatrici dell’averno la ingrata figlia, se non giungeva a tempo la buona Cleide, la quale incapace di eloquenti persuasive o di artifiziosi raziocinj, ma con parole affettuose e moderate (efficacissima medicina degli animi irati) invocando l’antica amicizia del talamo, le leggi della benevolenza naturale, e proponendo la benignità de’ Numi, la miseria degli uomini, gli errori degli intelletti vinti dagli amorosi delirj, trattenne quell’atto non lodevole dello sdegno paterno. Risonavano gli atrj di femminili strida, perocchè le serve con voci immoderate, deploravano la perduta signora; ma taciti e mesti avevano i servi sospesi i consueti ufficj, ed i più provetti erravano negli alberghi in silenzio, volgendo gli occhi al cielo, ed invocando i domestici Numi. Pregava Dorilla tutte le divinità del cielo e della terra, perchè nascondessero agli uomini così obbrobrioso viaggio furtivo; Cleide confortava il marito, e quindi ella medesima chiedeva conforto a Dorilla, e quell’albergo poc’anzi lieto, in cui susurravano piacevoli colloquj, o risonavano giulivi canti, divenne ripieno di tumulto e di strida compassionevoli. Intanto placido e propizio il vento empiva le vele del legno, in cui giaceva Saffo, la quale con sospiri rivolta sempre al lido, da cui miseramente era partita, immaginava con animo presago quanto accadeva in quell’istante nelle da lei abbandonate stanze domestiche. Finchè la forza delle pupille potè distinguere la sommità de’ templi e delle torri di Mitilene, non lasciò mai di tenervele intente e lagrimose; ma poichè sparve agli occhi ogni lido, e nient’altro, che vastissimi flutti, e interminabile cielo, furono gli oggetti visibili agli avidi sguardi di lei ognora colà rivolti, si raccolse nel largo manto, e tacita giacendo, lasciò il suo destino all’arbitrio della instabile fortuna.