Giovanni di Bernardo Rucellai

XVI secolo Indice:Alamanni - La coltivazione.djvu Poesie Le api Intestazione 4 ottobre 2017 25% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta La coltivazione di Luigi Alamanni ed altre opere


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LE API

DI

GIOVANNI RUCELLAI.

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EDIZIONE

Formata sopra quella di Comino

del 1718.

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NOTIZIE

INTORNO ALLA VITA

DI GIOVANNI RUCELLAI,

DEL CAV. GIROLAMO TIRABOSCHI.

★★★★★★★★★


Primachè l'Alamanni col suo poema, tutto spiegasse il sistema della Coltivazione; una parte aveane già descritta in un leggiadro suo Poemetto Giovanni Rucellai fiorentino, cioè il magistero delle Api. Era egli figlio di quel Bernardo Rucellai di cui altrove abbiam detto, e da esso nato nel 1475. I soli oggetti che gli si offrivano all'occhio nella casa paterna ch’era il teatro in cui tutti i più dotti e i più colti ingegni che fiorivano allora in Firenze, si venivano a raccogliere, potean bastare ad accender nell’animo di Giovanni un’ardente brama [p. 244 modifica]di seguirne gli esempi. Ed egli di fatto fino da’ primi anni si applicò con sommo ardore agli studj. L'innalzamento al pontificato di Leon X. che gli era cugin germano, gli fece concepir le speranze di avere un onorevole guiderdon de’ suoi studj nella dignità di cardinale; ed era opinion comune di Roma, che ad essa dovesse Giovanni esser promosso. Ma alcune considerazioni ne fecer differire al Pontefice la promozione; e frattanto ei venne a morire mentre il Rucellai era nuncio in Francia, e poco accetto a quella corte a cagion della guerra che il Pontefice avea al re dichiarata. Tornato il Rucellai a Firenze, fù dalla sua patria inviato ambasciadore a Roma a complimentare il nuovo pontefice Adriano VI.; nella qual occasione recitò l’Orazione latina ch'è stata pubblicata nel Giornale de' Letterati d'Italia, ove esattissime notizie si danno di questo scrittore. Il pontificato di Clemente VII. parve più favorevole al Rucellai il quale fù tosto nominato castellano di Castel s. Angelo, impiego che allor conduceva direttamente all’onor della porpora. Ma mentre il Rucellai lo aspetta, e Clemente, secondo il suo usato costume, va [p. 245 modifica]indugiando; quegli, assalito da mortal febbre, finì di vivere verso il 1526. Tutto ciò abbiamo da Pierio Valeriano ch’era allora in Roma. Il Poemetto delle Api, il qual pure è un de’migliori che abbia la volgar lingua, fu pubblicato da Palla di lui fratello, dopo la morte di Giovanni, nel 1539; e nel frontespizio si afferma ch'esso era stato da Giovanni composto mentre era in Castel s. Angelo. Sembra ad alcuni, che lo stesso Giovanni nel suo Poema medesimo narri di averlo scritto in Quaracchi, sua villa presso Firenze. Ma, come a lungo si pruova nel suddetto Giornale, tutt’ altro è il senso di quelle parole. Della Rosmonda del Rucellai diremo più sotto..... Dietro alla Sofonisba del Trissino venne la Rosmonda di

Giovanni Rucellai, stampata la prima volta in Siena nel 1525; il quale inoltre scrisse l’Oreste che supera ancor la Rosmonda, benchè solo nel 1723 sia stato dato alla luce. Di esse (Tragedie) si può dare il giudizio medesimo, che di quelle del Trissino; anzi il Rucellai più scrupolosamente ancora seguì le vestigia de’ Greci; perciocchè, come la Rosmonda è una imitazione dell’Ecuba di Euripide, il che era già stato avver[p. 246 modifica]tito da Gregorio Giraldi; così l'Oreste non è quasi altro che la traduzione dell’ Ifigenia in Tauri del medesimo scrittor greco. [p. 247 modifica]

LE API.

★★★★★★★★★★★


Mentr'era per cantare i vostri doni
Con alte rime, o Virginette caste,
Vaghe angelette delle erbose rive;
Preso dal sonno, in sul spuntar dell’alba
M'apparve un coro della vostra gente,
E dalla lingua onde s'accoglie il mele,
Sciolsono in chiara voce este parole:
O spirto amico, che dopo mill’anni
E cinquecento rinnovar ti piace
10E le nostre fatiche e i nostri studj;
Fuggi le rime, e 'l rimbombar sonoro.
Tu sai pur, che l’immagin della voce
Che risponde dai sassi ov’Eco alberga,
Sempre nimica fu del nostro regno:
Non sai tu, ch’ella fu conversa in pietra,
E fu inventrice delle prime rime!
E dei saper c’ove abita costei,
Null’ape abitar può per l’importuno
Ed imperfetto suo parlar loquace.
20Così diss’egli; e poi tra labbro e labbro

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