Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte terza/Tentazione
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TENTAZIONE
Dorme tranquillo e nitido
Intorno all’incantata isola il mare;
D’oro e di rose splendido
Si riproduce il ciel nell’onde chiare.
Come bruni fantasimi
Tremano i capovolti alberi al fondo;
Guizza fra l’ombre argenteo
Gregge di pesci per l’umor fecondo.
D’inebbrianti balsami,
Come la terra e il mar, l’aure son piene;
Sul verde lido siedono
Le allevatrici dive alme Sirene.
Qual tutto ignudo il roseo
Dorso, qual mostra al Sol l’eburneo petto;
Chi sparge fiori al zefiro,
Chi de la radiosa onda fa letto.
Là su l’erbette roride
L’auree membra lascive una distende,
Altra le braccia candide
Al fuggitivo marinar protende;
E dolce canta: — È splendida,
O ingegnoso mortai, questa dimora:
Qui Amor sorride all’anime
Come l’aprile a questi prati, ognora.
Per queste piagge ei libero
Vaga, bello e infedel sì come il mare;
A lui che i Numi soggioga,
Nume è il piacer, le nostre membra altare.
Quindi la pace ingenua
La sua gioconda compagnia non sdegna,
Ma a’ nostri varj talami
Pronuba ride, e nuovi riti insegna.
A te che giova, o misero,
Torcer da quest’amena isola il corso?
T’addenterà ne’ rigidi
Anni d’ogni tua vana opra il rimorso;
Nè ti varrà, che un vivido
Raggio di gloria il tuo sepolcro allegri,
Se or nebuloso e torbido
Pende il ciel su’ tuoi dì vedovi ed egri;
Se nel tuo petto ambiguo
Del dubbio il tenebroso arbore alligna;
Se a le tue ciglia in lacrime
Una Sfinge marmorea sogghigna.
Qui no: poi che lo spirito
Tutto succhiò dall’uman sangue amore,
Senza paure ed ansie,
O d’inferno o di ciel, tutti si muore! —
Ode il nocchier, ma intrepido
Dalla riva funesta oltre si caccia,
E il ciel sfida e l’oceano,
Non sa di qual raggiante idolo in traccia.
Chi è mai? Da qual’inospite
Proda qui mosse e quale all’ultim’ora
L’accoglierà? Qual demone,
Qual dio lo sprona a ramingar? L’ignora.
Pur voga; e mentre interroga
Lontan lontano il sordo etera, e geme,
Sotto la cimba fragile
Il dissonnato mar tumido freme.
Saltan mugghiando, ammontansi
Le perse onde, or s’incela or s’inabissa
Il tenue guscio, in vortice
Rota: infranto è il timon, la vela scissa.
Avviticchiato a un’ultima
Doga, oltre il mare e il ciel guarda il morente;
L’onde su lui gavazzano;
Per l’aria un cupo sghignazzar si sente.