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A te che giova, o misero,
Torcer da quest’amena isola il corso?
T’addenterà ne’ rigidi
Anni d’ogni tua vana opra il rimorso;
Nè ti varrà, che un vivido
Raggio di gloria il tuo sepolcro allegri,
Se or nebuloso e torbido
Pende il ciel su’ tuoi dì vedovi ed egri;
Se nel tuo petto ambiguo
Del dubbio il tenebroso arbore alligna;
Se a le tue ciglia in lacrime
Una Sfinge marmorea sogghigna.
Qui no: poi che lo spirito
Tutto succhiò dall’uman sangue amore,
Senza paure ed ansie,
O d’inferno o di ciel, tutti si muore! —
Ode il nocchier, ma intrepido
Dalla riva funesta oltre si caccia,
E il ciel sfida e l’oceano,
Non sa di qual raggiante idolo in traccia.