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mo combattuto da mille crudeli pensieri, ed i miei sentimenti svaniscono appena concepiti, per dar luogo ad altri. Mentre il mio corpo risente ancora le impressioni dell’anima, come potrò tenere la carta e guidar la cannuccia (1) per formar le lettere? —

«Così parlando, cavò da un piccolo scrittoio, che gli stava vicino, un foglio di carta, una cannuccia temperata ed il calamaio...»

Scheherazade, scorgendo l’alba, interruppe qui la sua narrazione, riprendendola come segue alla domane:


NOTTE CXCVII


— Sire, il principe di Persia, prima di scrivere, porse la lettera di Schemselnihar ad Ebn Thaher, pregandolo di tenergliela aperta davanti mentre scriveva, affinchè, gettandovi sopra gli occhi, potesse veder meglio cosa dovesse rispondere. Cominciò lo scritto; ma le lagrime che degli occhi piovevano sulla carta, lo costrinsero varie volte a fermarsi per lasciarle scorrere liberamente. Terminata infine la sua lettera, la consegnò ad Ebn Thaher, e: — Leggetela, ve ne prego,» gli disse, «e fatemi la grazia di osservare se il disordine del mio spirito m’abbia concesso di scrivere una risposta conveniente.» La prese Ebn Thaher, e lesse ciò che segue:

  1. Gli Arabi, i Persiani ed i Turchi, quando scrivono, tengono la carta colla mano sinistra, appoggiata solamente sul ginocchio e scrivono colla destra con una cannuccia temperata e fessa come le nostre penne. Quella specie di cannuccia è vuota, e somiglia ai nostri giunchi; ha però maggior consistenza.