Le Laude (1915)/XXXVIII. Como è difficile passare per el meglio virtuoso

XXXVIII. Como è difficile passare per el meglio virtuoso

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XXXVIII. Como è difficile passare per el meglio virtuoso
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XXXVIII

Como è difficile passare per el megio virtuoso

     O megio virtuoso, — retenuta bataglia!
non è senza travaglia — per lo megio passare.
L’amor me costrenge — d’amare le cose amante,
ne l’amore è l’odio — de le cose blasmante.
amare ed odiare — en un coragio stante,
socce battaglie tante, — non le porría stimare.
     L’amore quello che ama — desidera d’avere,
lo ’mpedimento nascece — e gli è gran dispiacere;
piacere e dispiacere — en un cor convenire
la lengua nol sa dire — quanta pena è portare.
     La speranza enflammame — d’aver salvazione,
’nestante è desperanza — de mia condizione;
sperare e desperare, — star en una magione,
tanta contenzione — nolla porría narrare.
     Giogneme una audacia — sprezar pena e morte,
’nestante lo temore — vede cadute forte,
securtá e temore, — demorare en una corte,
tant’è le capevolte, — chi le porria stimare?
     So preso d’iracundia — contro lo mio defetto,
la pace mostra, ensegname — che so de mal enfetto,
pacifico ed iroso — contra lo mio respetto,
gran cosa è de star retto — a nulla parte piegare.
     Lo delettar abracciame — gustando el desiato,
lo tristore abatteme,— sottratto m’è ’l prestato,
tristare e delettare — nello suo comitato,
lo cor è passionato — en tal pugna abitare.

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     Se io mostro al prossimo — la mia condizione,
scandalizo e turbolo — de mala opinione;
s’io vo coperto, vendoglme — e turbo mia magione;
questa vessazione — non la posso mucciare.
     Despiaceme nel prossimo — se vive sciordenato,
e piacerne el suo essere — buono da Dio creato,
de stare en lui innoxio — grande è filosofato,
lo core è vulnerato — en passionato amare.
     L’odio mio legame — a deverme punire,
diserezion contrastali — che non deggia perire;
de farme bene en odio — or chi l’odí mai dire?
altro è lo patire — che l’udir parlare.
     Lo degiunare piaceme — e far grande astinenza
per macerar mio asino — che non me dia encrescenza;
ed esser forte arpiaceme — a portar la gravenza
che dá la penitenza — nello perseverare.
     Lo desprezare piaceme — e de gir mal vestito;
la fama surge, enalzame — de vanitá ferito;
da qual parte volvome, — parme d’esser intuíto;
aiuta, Dio infinito! — e chi porrá scampare?
     Lo contemplare vetame — d’essere occupato,
lo tempo a non perderlo — famme enfacendato;
or vedete el prelio — ch’ha l’omo nel suo stato!
a chi non l’ha provato — non lo pò imaginare.
     Piaceme el silenzio, — báilo de la quiete;
lo bene de Dio arlegame — e tolleme silete;
demoro infra le prelia, — non ce saccio schirmete,
a non sentir ferete — alta cosa me pare.
     La pietá del prossimo — vuol cose a sovenire,
l’amor de povertate — gli è ordo ad udire,
l’estremitate veggiole — viziose a tenire,
per lo megio transire — non è don da giullare.
     L’offesa de Dio legame — ad amar la vendetta,
la pietá del prossimo — la perdonanza affetta,
demoro enfia le forfece, — ciascun coltel m’affetta;
abbrevio miei detta — en questo loco finare.