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80 | lauda xxxviii |
Se io mostro al prossimo — la mia condizione,
scandalizo e turbolo — de mala opinione;
s’io vo coperto, vendoglme — e turbo mia magione;
questa vessazione — non la posso mucciare.
Despiaceme nel prossimo — se vive sciordenato,
e piacerne el suo essere — buono da Dio creato,
de stare en lui innoxio — grande è filosofato,
lo core è vulnerato — en passionato amare.
L’odio mio legame — a deverme punire,
diserezion contrastali — che non deggia perire;
de farme bene en odio — or chi l’odí mai dire?
altro è lo patire — che l’udir parlare.
Lo degiunare piaceme — e far grande astinenza
per macerar mio asino — che non me dia encrescenza;
ed esser forte arpiaceme — a portar la gravenza
che dá la penitenza — nello perseverare.
Lo desprezare piaceme — e de gir mal vestito;
la fama surge, enalzame — de vanitá ferito;
da qual parte volvome, — parme d’esser intuíto;
aiuta, Dio infinito! — e chi porrá scampare?
Lo contemplare vetame — d’essere occupato,
lo tempo a non perderlo — famme enfacendato;
or vedete el prelio — ch’ha l’omo nel suo stato!
a chi non l’ha provato — non lo pò imaginare.
Piaceme el silenzio, — báilo de la quiete;
lo bene de Dio arlegame — e tolleme silete;
demoro infra le prelia, — non ce saccio schirmete,
a non sentir ferete — alta cosa me pare.
La pietá del prossimo — vuol cose a sovenire,
l’amor de povertate — gli è ordo ad udire,
l’estremitate veggiole — viziose a tenire,
per lo megio transire — non è don da giullare.
L’offesa de Dio legame — ad amar la vendetta,
la pietá del prossimo — la perdonanza affetta,
demoro enfia le forfece, — ciascun coltel m’affetta;
abbrevio miei detta — en questo loco finare.