Le Laude (1915)/XXVII. Como l'anima domanda aiuto contra la battaglia de li sensi corporali

XXVII. Como l'anima domanda aiuto contra la battaglia de li sensi corporali

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XXVII. Como l'anima domanda aiuto contra la battaglia de li sensi corporali
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XXVII

Como l’anima domanda aiuto
contra la battaglia de li sensi corporali

     Amor diletto, — Cristo beato,
de me desolato — agge pietanza.
     Agge piatanza — de me peccatore,
che so stato en errore — longo tempo passato;
a gran deritto — ne vo a l’ardore,
ca te, Signore, — síi ho abandonato
per lo mondo tapino, — lo qual m’è venino,
e dato m’ha en pino — de pena abundanza.
     Abundame dentro — la grande pena,
la qual me mena — l’amor del peccato;
l’alma dolente — a peccar s’enchina;
dev’esser serina, — or ha ’l volto scurato;
perché a lei non luce — la chiara luce
la quale adduce — la tua diritanza.
     Ma s’io me voglio — ad te dirizare
e non peccare, — credo per certo
che da te luce — verrá speregiare
ch’allumenare — farrá lo mio petto;
ma so acecato — en un fondo scurato
nel qual m’ha menato — la mia cattivanza.
     La mia cattivanza — l’alma ha menata
lá ’v’è predata — da tre nemici;
e lo piú forte — la tene abracciata
ed encatenata — e mostranse amici;
dánno ferite — nascoste e coprite,
le qual voi vedite — che me metton en erranza.

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     Crudelemente — m’hanno ferita
ed eschirnita — ed espogliata;
la mia potenza — veggio perita
perch’è ’nfragidita; — la piaga endurata
or briga tagliare — e poi medecare;
porraio sperare — che so en liberanza.
     Ora m’aiuta — me liberare,
ch’io possa campare — dal falso Nemico;
fasse da lunga — a balestrare
ed assegnare — al cor ch’è pudico;
la man che me fere — non posso vedere;
tal cose patere — me dánno gravanza.
     Gravame forte — lo balestrire
lo qual vol ferire — a l’alma polita;
fatto ha balestro — del mondo aversire
lo qual en bellire — me mostra sua vita;
per gli occhi me mette — al core sagette,
l’orecchie so aperte, — me recan turbanza.
     Turbarne ’l naso — che vol odorato,
la bocca assagiato — per dar conforto;
e lo pegiore — che per me sia stato,
lo qual m’ha guidato — ad uno mal porto,
se be’ gliei do mangiare, — me fa calciare,
de l’amesurare — si fa lamentanza.
Lamentase el tatto — e dice: — Eo so oso
d’aver reposo — en mio delettare;
or lo m’hai tolto, — sarò rampognoso
e corroccioso — en mio vivitare;
s’allento lo frino — al corpo tapino,
so preso a l’oncino — de la tristanza.