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58 lauda xxvii


     Crudelemente — m’hanno ferita
ed eschirnita — ed espogliata;
la mia potenza — veggio perita
perch’è ’nfragidita; — la piaga endurata
or briga tagliare — e poi medecare;
porraio sperare — che so en liberanza.
     Ora m’aiuta — me liberare,
ch’io possa campare — dal falso Nemico;
fasse da lunga — a balestrare
ed assegnare — al cor ch’è pudico;
la man che me fere — non posso vedere;
tal cose patere — me dánno gravanza.
     Gravame forte — lo balestrire
lo qual vol ferire — a l’alma polita;
fatto ha balestro — del mondo aversire
lo qual en bellire — me mostra sua vita;
per gli occhi me mette — al core sagette,
l’orecchie so aperte, — me recan turbanza.
     Turbarne ’l naso — che vol odorato,
la bocca assagiato — per dar conforto;
e lo pegiore — che per me sia stato,
lo qual m’ha guidato — ad uno mal porto,
se be’ gliei do mangiare, — me fa calciare,
de l’amesurare — si fa lamentanza.
Lamentase el tatto — e dice: — Eo so oso
d’aver reposo — en mio delettare;
or lo m’hai tolto, — sarò rampognoso
e corroccioso — en mio vivitare;
s’allento lo frino — al corpo tapino,
so preso a l’oncino — de la tristanza.