Le Danaidi/Libro secondo/La danza dello Scheletro
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LA DANZA DELLO SCHELETRO
Sotto un cielo schietto e nitido
Di zaffiro vivo,
Nella vampa e nel silenzio
Del meriggio estivo;
Cinto in giro d'olmi taciti
Bolle il campo infervorato,
Folto d'erbe e di selvatici
Fiori tutto screzïato.
Quivi, in mezzo al verde schiudesi
Una buca oscura,
Quasi covo sbieco d'istrice,
O di volpe fura:
Poco lungi, dalle viscere
terra scaturita.
Una spera d’acqua lucida
Dorme al sol, profonda, unita.
Non un moto, non un crepito:
Solo in quella buca
Non so che, furtivo, incognito,
Raspa, tenta, fruca
Oh portento! un vivo scheletro,
Cauto a guisa di segugio,
Striscia su dal fondo e il teschio
Mette fuori del pertugio.
Con le occhiaje vote e torbide
Guata a destra, a manca;
Sbircia il sol che in alto sfolgora
E l’azzurro sbianca;
Poi repente, con un ringhio
Di libidine novizza,
Fuor del covo si divincola
E nell’aria schizza e sguizza.
E festoso balla: i gracili
Stinchi in alto vibra;
Gira tondo come trottola,
Sovra un piè si libra:
Diguazzando le mandibole
Ghigna al sol, civetta e scricchia;
L'irte man converse in nacchere,
La cadenza scande e picchia.
Scosci, strisci alterna e doppia,
Volte e capriole,
Tutto forza e tutto grazia,
Come l'arte vuole:
S'aggroviglia, si dinoccola,
Si fa in pezzi, eppur non suda:
Che maestro! e che disgrazia
Che nol vegga la sua druda!
Dà la caccia a una libellula
Che di man gli sguscia;
Scavallando, l'erbe tenere
Pesta e i fiori struscia:
A quell'acqua cheta e lucida
Giunge a caso e vi s'affaccia,
E ad un tratto resta immobile,
Curvo il teschio, erte le braccia.
Delle dita fassi all'orbite
Per guardar solecchio,
E laggiù la propria imagine
Vede in quello specchio:
Guata torvo e non dà un crollo;
Poi d'un balzo scatta e sbratta,
E fuggendo a rompicollo
Nel suo covo si rimpiatta.