Prologo

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Euripide - Le Baccanti (406 a.C./405 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Prologo
Personaggi Parodo
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Entra Diòniso, e rivolge lo sguardo alle rovine della casa di Semele.
dioniso
Suol di Tebe, a te giungo. Io son Dïòniso,
generato da Giove, e da Semèle
figlia di Cadmo, a cui disciolse il grembo
del folgore la fiamma. Ora, mutate
le sembianze celesti in forma umana,
di Dirce all’acqua, ai flutti ismenî vengo.
Dell’arsa madre a questa reggia presso
veggo la tomba: le rovine veggo
della sua casa, ove il celeste fuoco
fumiga, vivo ancor, della vendetta
d’Era contro mia madre eterno segno.
Do lode a Cadmo, che inaccesso volle
questo recinto, e sacro alla sua figlia;
ed io lo ascosi sotto tralci e grappoli.
Abbandonati i lidî solchi e i frigi,
feraci d’oro, e i persïani campi
saettati dal sole, e le città
di Battria, e il gelo della nuda terra,
all’Arabia Felice e all’Asia giunto,

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che presso giace al salso mare, e vanta
città belle turrite, popolose
d’Ellèni e insiem di barbari, e le danze
quivi introdotte e i riti miei, ché chiaro
fosse ai mortali ch’io son Nume, a questa
città d’Ellèni primamente io giunsi.
E l’urlo eccitatore in Tebe, prima
che in ogni altra città d’Ellade, alzai,
e le addossai del daino il vello, e in pugno
le posi il tirso, il giavellotto d’ellera,
perché le suore di mia madre, quelle
che meno lo dovean, disser che mai
figlio non fu Dïòniso di Giove,
e che Semèle, da un mortale incinta,
a Giove attribuita avea la colpa,
per consiglio di Cadmo: onde l’Iddio
per le nozze mentite a lei die’ morte.
Però fuor dalle case io le cacciai
in preda alla follia. Prive di senno
han per dimora il monte; e le costrinsi
ad indossar dell’orge mie le spoglie.
E quante donne ha la città di Cadmo,
fuor dalle case, a delirare, io spinsi;
e donne insieme e giovinette corrono
a ciel sereno sotto i verdi abeti.
Voglia o non voglia, deve Tebe intendere
che priva è ancor dei riti miei, che deve
me per mia madre celebrar, ch’io sono
figlio di Giove, e Nume apparvi agli uomini.
Cadmo il regio poter diede a Pentèo
che di sua figlia nacque, e ch’ora lotta
contro la mia divinità, m’esclude
dai sacrifici, e nelle preci oblia.

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Dunque, a lui mostrerò che Nume io sono,
ed a tutti i Tebani. E stabilite
qui tali cose, il piede volgerò
ad altra terra, a rivelarmi. E se
Tebe, salita in ira, le Baccanti
tenti dal monte discacciar con l’armi,
contro essa a pugna io guiderò le Mènadi.
Venni perciò, mortal parvenza assunsi,
e mutai la mia forma in forma umana.
Si volge verso l’interno della scena.
Or voi, che, abbandonato il propugnacolo
di Lidia, il Tmolo, o mie seguaci, o femmine
che della via compagne e dell’impresa
dalle barbare terre io meco addussi,
levate i frigi timpani, che insieme
Rea madre ed io trovammo, e, circondata
la reggia di Pentèo, forte vibrateli,
ché la città di Cadmo oda. Frattanto
del Citerone fra le gole io muovo,
e danze intreccerò con le Baccanti.
Esce.
Quasi súbito dalle due pàrodoi irrompe il Coro delle Baccanti.