Lamentabili sane exitu (edizione Asti 1907)
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DECRETO
della Sacra Romana ed Universale Inquisizione
Feria IV, il 3 luglio 1907.
Con lamentevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità dell’uman genere, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più perniciosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei precipui misteri della Fede.
È da dolersi poi grandemente che, anche fra i cattolici, si trovino non pochi scrittori, che, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano tale un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi.
Acciocchè adunque, errori siffatti, che ogni giorno si spargono fra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore nostro PIO per divina Provvidenza Papa X, che per questo ufficio della Sacra Romana e Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui.
Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:
1. — La legge ecclesiastica prescrivente di sottoporre a previa censura i libri concernenti le divine scritture non si estende ai cultori della critica o esegesi scientifica dei libri del Vecchio e Nuovo Testamento.
2. — L’interpretazione dei sacri libri della Chiesa non deve, è vero, essere disprezzata; essa però soggiace al giudizio più accurato ed alle correzioni degli esegeti.
3. — Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche emanate contro l’esegesi libera e superiore si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice alla storia e che i dommi della Chiesa in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.
4. — Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre scritture nemmeno con definizioni dommatiche.
5. — Siccome nel deposito della fede si contengono solamente le verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa di sentenziare sulle asserzioni delle discipline umane.
6. — Nella definizione delle verità la Chiesa ascoltante (discens) e la Chiesa docente collaborano in tal maniera, che alla Chiesa docente non resti altro se non di sanzionare le comuni opinioni di quella ascoltante.
7. — La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli verun assentimento interno, perchè abbraccino le sentenze da lei date.
8. — Son da stimarsi immuni da qualunque colpa coloro che non tengono in verun conto le riprovazioni fatte dalla Sacra Congregazione dell’Indice e da altre Sacre Congregazioni romane.
9. — Di troppa semplicità o ignoranza danno segno coloro che credono che Dio veramente è l’autore della Sacra Scrittura.
10. — L’ispirazione dei libri del Vecchio Testamento consiste in ciò che gli scrittori israeliti esposero le dottrine religiose sotto un aspetto peculiare poco o affatto noto ai pagani.
11. — L’ispirazione divina non così si estende a tutta la Sacra Scrittura, che essa preservi da qualunque errore tutte le singole sue parti.
12. — L’esegeta, se voglia utilmente darsi agli studi biblici, deve prima di tutto mettere da parte qualunque opinione preconcetta sulla origine soprannaturale della Sacra Scrittura, e non interpretare questa altrimenti che gli altri documenti puramente umani.
13. — Le parabole evangeliche furono redatte artificiosamente dagli stessi Evangelisti e dai cristiani della seconda e terza generazione, i quali così spiegarono la ragione del poco frutto della predicazione di Cristo presso gli ebrei.
14. — In parecchie narrazioni gli evangelisti riferirono non tanto quello che era vero, quanto quello che, sebbene falso, stimavano più proficuo ai lettori.
15. — Gli Evangeli furono accresciuti di continue addizioni e correzioni fino alla difinitiva costituzione del canone, perciò nei medesimi della dottrina di Cristo non rimase altro se non tenue ed incerta traccia.
16. — Le narrazioni di Giovanni non sono storia propriamente, ma una mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche intorno al mistero della salute, prive di verità storica.
17. — Il quarto Vangelo esagerò i miracoli non solamente perchè apparissero più straordinarii, ma perchè fossero piú adatti a significare l’opera e la gloria del Verbo incarnato.
18. — Giovanni rivendica bensì per sè la qualità di testimone di Cristo; in verità non è se non un testimone esimio della vita cristiana nella Chiesa allo scorcio del primo secolo.
19. — Gli esegeti eterodossi espressero più fedelmente il vero senso delle Scritture che gli esegeti cattolici.
20. — La rivelazione non potrebbe essere altro che la coscienza della sua relazione a Dio acquistata dall’uomo.
21. — La rivelazione costituente l’oggetto della Fede cattolica non fu terminata con gli apostoli.
22. — I dogmi che la Chiesa propone come rivelati non sono verità cadute dal Cielo, ma sono interpretazioni di fatti religiosi che la umana mente si acquistò con laborioso conato.
23. — Può esistere in realtà un’opposizione tra i fatti raccontati nella santa scrittura e i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi, sicchè il critico può rigettare come falsi alcuni fatti che la Chiesa crede certissimi.
24. — Non è da riprovarsi l’esegeta che costruisce delle premesse dalle quali segue che i dogmi sono storicamente falsi o dubbii, purchè non neghi direttamente i dogmi stessi.
25. — L’assentimento della fede poggia in ultima analisi su una congerie di probabilità.
26. — I dogmi della fede sono da ritenersi solamente secondo il senso pratico, cioé come norma obbligatoria dell’agire, non però come norma del credere.
27. — La divinità di Gesù Cristo non si prova dai vangeli, ma è un dogma che la coscienza cristiana dedusse dalla nozione del Messia.
28. — Gesù, quando esercitò il suo ministero, non parlava allo scopo di insegnare che egli era il Messia; nè i suoi miracoli erano intenti a dimostrarlo.
29. — Si può concedere che il Cristo che ci presenta la storia è molto inferiore al Cristo che è oggetto della fede.
30. — In tutti i testi evangelici il nome «figlio di Dio» equivale solamente al nome: «Messia»: non però significa Cristo esser vero e naturale figlio di Dio.
31. — La dottrina che Paolo, Giovanni e i Concilii di Nicea, di Efeso e di Calcedonia insegnano intorno a Cristo, non è quella che insegnò Gesù, ma quella che di Gesù concepí la coscienza cristiana.
32. — Non può conciliarsi il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano sulla coscienza e scienza infallibile di Gesù Cristo.
33. — È evidente, per chiunque non segua opinioni preconcette, che Gesù o ha professato l’errore sulla prossima venuta messianica o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta nei vangeli sinottici, manca di autenticità.
34. — Il critico non può attribuire a Cristo una scienza illimitata se non facendo l’ipotesi — che è storicamente inconcepibile e che ripugna al senso morale — che, cioè, Cristo come uomo abbia avuto la scienza di Dio e, nondimeno, non abbia voluto comunicare ai suoi discepoli ed alla posterità la cognizione di tante cose.
35. — Cristo non sempre ha avuto la coscienza della sua dignità messianica.
36. — La risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente soprannaturale, nè dimostrato, nè dimostrabile (un fatto che la coscienza cristiana ha dedotto sensibilmente da altri fatti).
37. — La fede nella risurrezione di Cristo in principio non versava tanto sul fatto stesso della risurrezione quanto sulla vita di Cristo, immortale appo Dio.
38. — La dottrina della morte espiatoria di Cristo non è evangelica, ma solamente paolina.
39. — Le opinioni sull’origine dei Sacramenti, delle quali erano imbevuti i padri tridentini e che, senza dubbio, influirono sui loro canoni dommatici, sono distanti molto da quelle che oggi meritamente dominano presso gli storici ricercatori del cristianesimo.
40. — I Sacramenti ebbero origine in ciò: che gli Apostoli e i loro successori hanno interpretato una qualche idea ed una qualche intenzione di Cristo, indottivi dalle circostanze e dai fatti.
41. — I Sacramenti hanno il solo scopo di richiamare alla mente dell’uomo la presenza sempre benefica del Creatore.
42. — La comunità cristiana introdusse la necessità del battesimo, adottandolo come rito necessario ed annettendogli gli obblighi della professione cristiana.
43. — L’uso di conferire il battesimo ai bambini fu una evoluzione disciplinare, la quale divenne una delle cause che il Sacramento si dividesse in due, cioè: nel battesimo e nella penitenza.
44. — Nulla prova che il rito del Sacramento della cresima fosse usato dagli apostoli; la formale distinzione, poi, dei due Sacramenti — del battesimo, cioè, e della cresima — non appartiene alla storia del cristianesimo primitivo.
45. — Non tutto ciò che Paolo narra dell’istituzione dell’eucaristia (I Cor. XI, 23 fino a 25), deve prendersi storicamente.
46. — Non fuvvi nella primitiva chiesa il concetto del peccatore cristiano riconciliato per l’autorità della Chiesa; ma la Chiesa, soltanto molto lentamente, si assuefece a simile concetto; anzi, anche dopo che la penitenza fu riconosciuta come istituzione della Chiesa, non chiamavasi col nome di Sacramento, perchè era riguardata come un Sacramento ignominioso.
47. — Le parole del Signore: «Ricevete lo Spirito Santo: A coloro ai quali avrete rimessi i peccati saranno rimessi, ed a coloro ai quali li avrete ritenuti, saranno ritenuti» (Jo. XX, 22 e 23) non si riferiscono al Sacramento della penitenza, checchè abbiano voluto asserire i padri tridentini.
48. — Giacomo, nella sua epistola (V. 14 e 15), non ebbe intenzione di promulgare un Sacramento di Cristo, ma di raccomandare qualche pia usanza e, se in questa usanza vede forse un mezzo di grazia, ciò egli non prende in quel senso rigoroso, in cui lo presero i teologi, che stabilirono le nozioni ed il numero dei Sacramenti.
49. — La cena cristiana, assumendo poco a poco l’indole di un’azione liturgica, quelli che solevano presiedere alla cena ebbero il carattere sacerdotale.
50. Gli anziani che, nelle adunanze dei cristiani, esercitavano l’ufficio di vigilare, furono dagli apostoli istituiti preti o vescovi per provvedere all’ordinamento necessario della crescente comunità, non propriamente per perpetuare la missione e la potestà apostolica.
51. — Il matrimonio non potè diventare sacramento della nuova legge se non tardi nella Chiesa, dappoichè, perchè il matrimonio si riguardasse come Sacramento, era necessario che precedesse la piena evoluzione teologica della dottrina sulla grazia e sui Sacramenti.
52. — Era alieno dalla mente di Cristo di costituire la Chiesa sulla terra, come società duratura per lunga serie di secoli, anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.
53. — La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.
54. — I dommi, i sacramenti, la gerarchia, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali ingrandirono e perfezionarono il picciol germe latente nel Vangelo con esterni incrementi.
55. — Simon Pietro non ha sospettato mai che da Cristo gli fosse affidato il primato della Chiesa.
56. — La Chiesa romana diventò capo di tutte le Chiese, non per ordinazione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.
57. — La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.
58. — La verità non è più immutabile dell’uomo stesso giacchè essa si evolve con lui, in lui e per lui.
59. — Cristo non insegnò un determinato corso di dottrina applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini; invece principiò piuttosto un certo movimento religioso adattato e da adattarsi ai diversi tempi e luoghi.
60. — La dottrina cristiana nei suoi esordii fu giudaica, però con successive evoluzioni divenne prima paolina, poi giovannèa, finalmente ellenica ed universale.
61. — Si può dire senza paradosso che nessun capitolo della Scrittura dal primo della Genesi all’ultimo dell’Apocalisse, contiene una dottrina onninamente identica a quella che la Chiesa insegna sulla medesima cosa, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.
62. — I principali articoli del simbolo apostolico non avevano lo stesso significato per i cristiani dei primi tempi come per i cristiani del nostro tempo.
63. — La Chiesa si addimostra incapace a tutelare efficacemente l’etica evangelica, perchè ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con gli odierni progressi.
64. — Il progresso delle scienze richiede che si riformino i concetti della dottrina cristiana intorno a Dio, alla creazione, alla rivelazione, alla persona del Verbo incarnato, alla redenzione.
65. — Il cattolicismo odierno non potrà accordarsi con la vera scienza se non si trasforma in un cristianesimo adommatico, cioè in un protestantesimo latitudinario e liberale.
Nella seguente feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X., Sua Santità approvò e confermò il decreto degli Eminentissimi Padri e ordinò che tutte singole le sopra enumerate proposizioni si debbano da tutti ritenere per riprovate e condannate.
«Firmato: Pietro Palombelli S. U. R. I., notaio»