La vita sul pianeta Marte/Il pianeta Marte (1893)/IV

Il pianeta Marte
Capitolo IV

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Il pianeta Marte - III La vita sul pianeta Marte


Come le nostre carte dimostrano1, nella sua generale topografia Marte non presenta alcuna analogia colla Terra. Un terzo della sua superficie è occupato dal gran Mare Australe, che è sparso di molte isole, e spinge entro ai continenti golfi e ramificazioni di varia forma; al suo sistema appartiene un’intiera serie di piccoli mari interni, dei quali l'Adriatico ed il Tirreno comunicano con esso per ampie bocche, mentre il Cimmerio, quello delle Sirene, e il Lago del Sole non hanno con esso relazione che per mezzo di angusti canali. Si noterà nei quattro primi una disposizione parallela, che certo non è accidentale, come pure non senza ragione è la corrispondente positura delle penisole Ausonia, Esperia ed Atlantide. Il colore dei mari di Marte è generalmente bruno misto di grigio, non sempre però di uguale intensità in tutti i luoghi, nè nel medesimo luogo è uguale in ogni tempo. Dal nero completo si può scendere al grigio chiaro ed al cinereo. Tal diversità di colore può aver origine da varie cause, e non è senza analogia anche sulla Terra, dove è noto che i mari delle zone calde sogliono essere più oscuri che i mari più vicini al polo. Le acque del Baltico, per esempio, hanno un color luteo chiaro, che non si osserva nel Mediterraneo. E così pure nei mari di Marte si vede il colore farsi più cupo quando il sole si avvicina alla loro verticale e l’estate comincia a dominare in quelle regioni.

Tutto il resto del pianeta fino al polo Nord è occupato dalle masse dei continenti, nelle quali, salvo alcune aree di estensione relativamente piccola, predomina il colore aranciato, che talvolta sale al rosso più cupo, altre volte scende al giallo ed al biancastro. La varietà di questa colorazione è in parte d’origine meteorica, in parte può dipendere dalla diversa natura del suolo, e sulle sue cause ancora non è possibile appoggiare ipotesi molto fondate. Neppure è nota la causa di questo predominio delle tinte rosse e gialle sulla superficie del vecchio Pyrois. Alcuno ha creduto di attribuire questa colorazione all’atmosfera del pianeta, attraverso alla quale si vedrebbe colorata la superficie di Marte, come rosso diventa un oggetto terrestre qualsiasi, veduto a traverso vetri di tal colore. Ma a ciò si oppongono più fatti, fra gli altri questo, che le nevi polari appajono sempre del bianco più puro, benchè i raggi di luce da esse derivati attraversino due volte l’atmosfera di Marte sotto una grande obliquità. Noi dobbiamo dunque concludere che i continenti marziali ci appajono rossi e gialli, perchè tali veramente sono.

Oltre a queste regioni oscure e luminose, che noi abbiamo qualificato per mari e continenti, e la cui natura ormai non lascia luogo che a poco dubbio, alcune altre ne esistono, veramente poco estese, di natura anfibia, le quali talvolta ingialliscono e sembrano continenti, in altri tempi vestono il bruno (anche il nero in certi casi) e assumono l’apparenza dei mari; mentre in altre epoche la loro colorazione intermedia lascia dubitare a qual classe di regioni esse appartengano. Quasi tutte le isole sparse nel Mare Australe e nel Mare Eritreo appartengono a questa categoria, così pure le lunghe penisole chiamate Regioni di Deucalione e di Pirra, e in contiguità del Mare Acidalio le regioni sognate coi nomi di Baltia e di Nerigos. L’idea più naturale e più conforme all’analogia sembra quella di supporre in esse vaste lagune, su cui variando le profondità dell’acqua si produca la diversità del colore, predominando il giallo in quelle parti dove la profondità del velo liquido è ridotta a poco od anche a niente, e il colore bruno più o meno oscuro nei luoghi dove le acque sono tanto alte da assorbire molta luce e da rendere più o meno invisibile il fondo. Che l’acqua del mare o qualsiasi acqua profonda e trasparente veduta dall’alto appaja tanto più oscura quanto maggiore è l’altezza dello strato liquido, e che le terre in confronto di esse appajano chiare sotto l’illuminazione del Sole, è cosa nota e confermata da certissime ragioni fisiche. Chi viaggia nelle Alpi spesso ha occasione di convincersene, vedendo dalle cime neri come l’inchiostro stendersi sotto i suoi piedi i profondi laghetti di cui sono seminate, in confronto dei quali luminose appajono anche le rupi più nereggianti percosse dal sole2.

Non senza fondamento adunque abbiamo finora attribuito alle macchie oscure di Marte la parte di mari e quella di continenti alle aree rosseggianti che occupano quasi i due terzi di tutto il pianeta, e troveremo più tardi altre ragioni che confermano tal modo di vedere. I continenti formano nell’emisfero boreale una massa quasi unica e continua, sola eccezione importante essendo il gran lago detto Mare Acidalio, del quale l’estensione pare mutarsi secondo i tempi e connettersi in qualche modo colle inondazioni che dicemmo prodotte dallo sciogliersi delle nevi intorno al polo boreale. Al sistema del Mare Acidalio appartiene senza dubbio il lago temporario denominato Iperboreo ed il Lago Niliaco: quest’ultimo ordinariamente separato dal Mare Acidalio per mezzo di un istmo o diga regolare, la cui continuità soltanto nel 1888 fu vista interrompersi per qualche tempo. Altre macchie oscure minori si trovano qua e là nella parte continentale, le quali potrebbero rappresentare dei laghi, ma non certo laghi permanenti come i nostri; tanto sono variabili d’aspetto e di grandezza secondo le stagioni, al punto da scomparire affatto in date circostanze. Il Lago Ismenio, quello della Luna, il Trivio di Caronte e la Propontide sono i più cospicui e i più durevoli. Ve ne sono di piccolissimi, quali il Lago Meride e il Fonte di Gioventù, che nella loro maggiore appariscenza non superano i 100 o 150 chilometri di diametro e contano fra gli oggetti più difficili del pianeta.

Tutta la vasta estensione dei continenti è solcata per ogni verso da una rete di numerose linee o strisce sottili di color oscuro più o meno pronunziato, delle quali l’aspetto è molto variabile. Esse percorrono sul pianeta spazi talvolta lunghissimi con corso regolare, che in nulla rassomiglia l’andamento serpeggiante dei nostri fiumi; alcune più brevi non arrivano a 500 chilometri, altre invece si estendono a più migliaja, occupando un quarto ed anche talvolta un terzo di tutto il giro del pianeta. Alcuna di esse è abbastanza facile a vedere, e più di tutte quella che è presso l’estremo limite sinistro delle nostre carte, designata col nome di Nilosyrtis: altre invece sono estremamente difficili, e rassomigliano a tenuissimi fili di ragno tesi attraverso al disco. Quindi molto varia è altresì la loro larghezza, che può raggiungere 200 od anche 300 chilometri per la Nilosirte, mentre per altre forse non arriva a 30 chilometri.

Queste linee o strisce sono i famosi canali di Marte, di cui tanto si è parlato. Per quanto si è fino ad oggi potuto osservare, sono certamente configurazioni stabili del pianeta; la Nilosirte è stata veduta in quel luogo da quasi cent’anni, ed alcune altre da trent’anni almeno. La loro lunghezza e giacitura è costante, o non varia che entro strettissimi limiti; ognuna di esse comincia e finisce sempre fra i medesimi termini. Ma il loro aspetto e il loro grado di visibilità sono assai variabili per tutte da un’opposizione ad un altra, anzi talvolta da una settimana all’altra; e tali variazioni non hanno luogo simultaneamente e con ugual legge per tutte, ma nel più dei casi succedono quasi a capriccio, od almeno secondo regole non abbastanza semplici per essere subito intese da noi. Spesso una o più diventano indistinte od anche affatto invisibili, mentre altre loro vicine ingrossano al punto da diventar evidenti anche in cannocchiali di mediocre potenza. La prima delle nostre carte presenta tutte quelle che sono state vedute in una lunga serie di osservazioni; essa tuttavia non corrisponde all’aspetto di Marte in alcuna epoca, perchè generalmente soltanto poche sono visibili di un tratto3.

Ogni canale (per ora chiamiamoli così) alle sue estremità sbocca o in un mare, od in un lago, od in un altro canale, o nell’intersezione di più altri canali. Non si è mai veduto uno di essi rimaner troncato nel mezzo del continente, rimanendo senza uscita e senza continuazione. Questo fatto è della più alta importanza. I canali possono intersecarsi fra di loro sotto tutti gli angoli possibili; ma di preferenza convergono verso le piccole macchie cui abbiamo dato il nome di laghi. Per esempio sette se ne veggono convergere nel Lago della Fenice, otto nel Trivio di Caronte, sei nel Lago della Luna, sei nel Lago Ismenio.

L’aspetto normale di un canale è quello di una striscia quasi uniforme nera o almeno di colore oscuro simile a quello dei mari, in cui la regolarità del generale andamento non esclude piccole diversità di larghezza e piccole sinuosità nei due contorni laterali. Spesso avviene che tal filetto oscuro, mettendo capo al mare, si allarghi in forma di tromba, formando una vasta baja, simile agli estuari di certi fiumi terrestri: il Golfo delle Perle, il Golfo Aonio, il Golfo dell’Aurora, e i due corni del Golfo Sabeo sono così formati dalla foce di uno o più canali sboccanti nel Mare Eritreo o nel Mare Australe. L’esempio più grandioso di tali golfi è la Gran Sirte, formata dalla vastissima foce della Nilosirte già nominata; questo golfo non ha manco di 1800 chilometri di larghezza e quasi altrettanti di profondità nel senso longitudinale, e la sua superficie è di poco minore che quella del golfo di Bengala. In questi casi si vede manifestamente la superficie oscura del mare continuarsi senza apparente interruzione in quella del canale; quindi, ammesso che le superficie chiamate mari siano veramente espansioni liquide, non si può dubitare che i canali siano di esse un semplice prolungamento a traverso delle aree gialle, o dei continenti.

Che del resto le linee dette canali siano veramente grandi solchi o depressioni delle superficie del pianeta destinate al passaggio di masse liquide, e costituiscano su di esso un vero sistema idrografico, è dimostrato dai fenomeni che in quelli si osservano durante lo struggersi delle nevi boreali. Già dicemmo che queste, nello sciogliersi appaiono circondate da una zona oscura, formante una specie di mare temporario. In tale epoca i canali delle regioni circostanti si fanno più neri e più larghi, ingrossando al punto da ridurre, in un certo momento, ad isole di poca estensione tutto le aree gialle comprese fra l’orlo della neve e il 60° parallelo nord. Tale stato di cose non cessa, se non quando le nevi, ridotte ormai al loro minimo di estensione, cessano di struggersi. Si attenuano allora le larghezze dei canali, scompare il mare temporario, e le aree gialle riprendono l’estensione primitiva. Le diverse fasi di questa grandiosa operazione si rinnovano ad ogni giro di stagioni ed i loro particolari si son potuti osservare con molta evidenza nelle opposizioni 1882, 1884, 1886, quando il pianeta presentava allo spettatore terrestre il suo polo boreale. L’interpretazione più naturale e più semplice è quella che abbiam riferito, di una grande inondazione prodotta dallo squagliarsi delle nevi; essa è interamente logica, e sostenuta da evidenti analogie con fenomeni terrestri. Concludiamo pertanto, che i canali son tali di fatto, e non solo di nome. La rete da essi formata probabilmente fu determinata in origine dallo stato geologico del pianeta, e si è venuta lentamente elaborando nel corso dei secoli. Non occorre suppor qui l’opera di esseri intelligenti; e malgrado l’apparenza quasi geometrica di tutto il loro sistema, per ora incliniamo a credere che essi siano prodotti dell’evoluzione del pianeta, appunto come sulla Terra il canale della Manica e quello di Mozambico.

Sarà un problema non men curioso che complicato e difficile lo studiare il regime di questi immensi corsi d’acqua, da cui forse dipende principalmente la vita organica sul pianeta, dato che vita organica vi sia. Le variazioni del loro aspetto dimostrano che questo regime non è costante: quando scompaiono o lasciano di loro traccie dubbie e mal definite è lecito supporre, che siano in magra, od asciutti affatto. Allora nel luogo dei canali rimane o niente, oppure al più una striscia di colore giallastro poco diverso dal fondo circostante. Talvolta prendono un aspetto nebuloso, di cui per ora non si saprebbe assegnar la ragione. Altre volte invece producono veri allagamenti, espandendosi a 100, 200 o più chilometri di larghezza, e questo avviene anche per canali molto lontani dal polo boreale secondo norme fin qui sconosciute. Così è avvenuto dellIdaspe nel 1864, del Simoenta nel 1879, dellAcheronte nel 1884, del Tritone nel 1888. Lo studio diligente e minuto delle trasformazioni di ciascun canale condurrà più tardi a conoscere le cause di questi fatti.

Ma il fenomeno più sorprendente dei canali di Marte è la loro geminazione; la quale sembra prodursi principalmente nei mesi che precedono e in quelli che seguono la grande inondazione boreale, intorno alle epoche degli equinozi. In conseguenza di un rapido processo, che certamente dura pochissimi giorni, od anche forse solo poche ore, e del quale i particolari non si sono ancora potuti afferrare con sicurezza, un dato canale muta d’aspetto e d’un tratto si trova trasformato su tutta la sua lunghezza in due linee o strisce uniformi, per lo più parallele fra di loro, che corrono dritte ed uguali con tracciamento geometricamente tanto esatto, quanto suole esser presso di noi quello di due rotaje di ferrovia. Ma questo esatto andamento è il solo termine di rassomiglianza colle dette rotaje: perchè nelle dimensioni non vi è alcun paragone possibile, come del resto è facile immaginare. Le due linee seguono a un dipresso la direzione del primitivo canale, e terminano nei luoghi dov’esso terminava. L’una di esse spesso si sovrappone quanto più è possibile all’antica linea, l’altra essendo di nuovo tracciamento; ma anche in questo caso l’antica linea perde tutte le piccole irregolarità e curvature che poteva avere. Ma accade ancora, che ambe le linee geminate occupino dalle due parti dell’ex canale un terreno interamente nuovo. La distanza fra le due linee è diversa nelle diverse geminazioni, e da 600 chilometri e più scende fino all’ultimo limite, in cui due linee possono apparir separate nei grandi occhi telescopici, meno di 50 chilometri d’intervallo; la larghezza di ciascuna striscia per sè può variare dal limite di visibilità, che supponiamo 30 chilometri, fino a più di 100. Il colore delle due linee varia dal nero ad un rosso scialbo, che appena si distingue dal fondo giallo generale delle superficie continentali; l’intervallo è per lo più di questo giallo, ma in più casi è sembrato bianco. Le geminazioni poi non sono necessariamente legate ai soli canali, ma tendono anche prodursi sui laghi. Spesso si vede uno di questi trasformarsi in due brevi e larghe liste oscure fra loro parallele, tramezzate da una lista gialla. In questi casi naturalmente la geminazione è breve, e non esce dai limiti del lago primitivo.

Le geminazioni non si manifestano tutte insieme, ma arrivata la loro stagione cominciano a prodursi or qua, or là, isolate in modo irregolare, o almeno senza ordine facilmente riconoscibile. Per molti canali mancano affatto (come per la Nilosirte, a cagion d’esempio), o sono poco visibili. Dopo aver durato qualche mese, si affievoliscono gradatamente e scompajono fino ad una nuova stagione egualmente propizia a questo fenomeno. Così avviene che in certe altre stagioni (specialmente presso il solstizio australe del pianeta) se ne vedono poche, od anche non se ne vede affatto. In diverse apparizioni la geminazione del medesimo canale può presentare diversi aspetti quanto a larghezza, intensità e disposizione delle due strisce: anche in qualche caso la direzione delle linee può mutarsi, benchè di pochissima quantità; sempre però deviando di piccolo spazio dal canale con cui è associata strettamente. Da questa importante circostanza si comprende immediatamente, che le geminazioni non possono essere formazioni stabili della superficie di Marte, e di carattere geografico, come i canali. La seconda delle nostre carte può dare un’idea approssimativa dell’aspetto che presentano queste singolarissime formazioni. Essa comprende tutte le geminazioni osservate dal 1882 fino al presente; nel riguardarla bisogna tener a mente, che non di tutte l’apparizione è stata simultanea, e che pertanto quella carta non rappresenta lo stato di Marte in nessun’epoca; essa non è che una specie di registro topografico delle osservazioni finora fatte in diversi tempi su quel fenomeno.

L’osservazione delle geminazioni è una delle più difficili, e non può farsi che da un occhio bene esercitato, ajutato da un telescopio di accurata costruzione e di grande potenza. Ciò spiega perchè non siano state vedute prima del 1882. Nei dieci anni trascorsi da quel tempo esse sono state vedute e descritte da otto o dieci osservatori. Nondimeno alcuni ancora negano che siano fenomeni reali e tacciano d’illusione (o anche d’impostura) coloro che affermano d’averle osservate.

Il loro singolare aspetto e l’esser disegnate con assoluta precisione geometrica, come se fossero lavori di riga o di compasso, ha indotto alcuni a ravvisare nelle medesime l’opera di esseri intelligenti, abitatori del pianeta. Io mi guarderò bene dal combattere questa supposizione, la quale nulla include d’impossibile. Notisi però che in ogni caso non potrebbero essere opere di carattere permanente, essendo certo, che una stessa geminazione può cambiare di aspetto e di misura da una stagione all’altra. Si possono tuttavia assumere opere tali, da cui una certa variabilità non sia esclusa, per esempio, lavori estesi di coltura e di irrigazione su larga scala. Aggiungerò ancora, che l’intervento di esseri intelligenti può spiegare l’apparenza geometrica delle geminazioni, ma non è punto necessario a tale intento. La geometria della Natura si manifesta in molti altri fatti, dai quali è esclusa l’idea di un lavoro artificiale qualunque. Gli sferoidi così perfetti dei corpi celesti e l’anello di Saturno non furon lavorati al tornio, e non è col compasso che Iride descrive nelle nubi i suoi archi così belli e così regolari; e che diremo delle infinite varietà di bellissimi e regolarissimi poliedri onde è ricco il mondo dei cristalli? E nel mondo organico, non è geometria bella e buona quella che presiede alla distribuzione delle foglie di certe piante, che ordina in figure stellate così simmetriche tanti fiori del prato, tanti animali del mare; che produce nelle conchiglie quelle spirali coniche così eleganti, da disgradarne ciò che di più bello ha fatto l’architettura gotica? In tutte queste cose le forme geometriche sono conseguenze semplici e necessarie di principi e di leggi che governano il mondo fisico e fisiologico. Che poi questi principi e queste leggi siano esplicazioni di una potenza intelligente superiore, possiamo ammetterlo; ma ciò nulla fa al presente argomento.

In omaggio dunque al principio, che nella spiegazione dei fatti naturali convenga sempre cominciare dalle supposizioni più semplici, le prime ipotesi proposte sulla natura e sulla causa delle geminazioni hanno per lo più messo in opera solamente le azioni della natura inorganica. Sono o effetti di luce nell’atmosfera di Marte, o illusioni ottiche prodotte da vapori in vario modo, o fenomeni glaciali d’un inverno perpetuo a cui sarebbe condannato tutto il pianeta, o crepature raddoppiate nella superficie di esso, o crepature semplici, di cui si duplica l’immagine per effetto di fumo eruttato su lunghe linee e spostato lateralmente dal vento. L’esame di questi ingegnosi tentativi conduce tuttavia a concludere, che nessuno di essi sembra corrispondere per intiero ai fatti osservati nel loro insieme e nei particolari. Alcune di tali ipotesi non sarebbero neppur nate, se i loro Autori avessero potuto esaminare le geminazioni coi proprii occhi. Che se alcuno di questi, ragionando ad hominem, mi domandasse: sapete voi immaginar qualche cosa di meglio? risponderei candidamente di no.

Più facile sarebbe il compito, se volessimo introdurre forze appartenenti alla natura organica. Qui è immenso il campo delle supposizioni plausibili, potendosi immaginare infinite combinazioni capaci di soddisfare alle apparenze, anche con piccoli e semplici mezzi. Vicende di vegetazione su vaste aree e generazioni d’animali anche minimi in enorme moltitudine potrebbero benissimo rendersi visibili a tanta distanza. A quel modo che un osservatore posto nella Luna potrebbe avvedersi delle epoche, in cui sulle nostre vaste pianure succede l’aratura dei campi, il nascere e la messe del frumento; a quel modo che il fiorir dell’erba nelle vastissime steppe dell’Europa e dell’Asia deve rendersi sensibile anche alla distanza di Marte per una varietà di colorazione; così può certamente rendersi visibile a noi un eguale sistema di operazioni che si produca in quegli astri. Ma come difficilmente i Lunari ed i Marziali potrebbero immaginare le vere cause di tali mutazioni d’aspetto senza aver prima qualche conoscenza almeno superficiale della natura terrestre: così anche per noi, che tanto poco conosciamo dello stato fisico di Marte e nulla del suo mondo organico, la grande libertà di supposizioni possibili rende arbitrarie tutte le spiegazioni di tal genere, e costituisce il più grave ostacolo all’acquisto di nozioni fondate. Tutto quello che possiamo sperare è, che col tempo si diminuisca gradatamente l’indeterminazione del problema, dimostrando, se non quello che le geminazioni sono, almeno quello che non possono essere. Dobbiamo anche confidare un poco in ciò, che Galileo chiamava la cortesia della Natura, in grazia della quale talvolta da parte inaspettata sorge un raggio di luce ad illuminare argomenti prima creduti inaccessibili alle nostre speculazioni; di che un bell’esempio abbiamo nella chimica celeste. Speriamo adunque, e studiamo.

G. SCHIAPARELLI.

Note

  1. Son fatte queste carte secondo le solite convenzioni dei mappamondi in due emisferi, usando la proiezione detta omalografica. Presentano il pianeta invertito, come si vede nei cannocchiali astronomici; per tal ragione vedesi in basso il polo Nord, in alto il polo Sud. Coll’inversione del foglio si ottiene la consueta orientazione convenzionale delle carte terrestri.
  2. Questa osservazione del colore oscuro che mostran le acque profonde vedute dall’alto in basso, si trova già fatta dal primo pittar delle memorie antiche, il quale nell'Iliade (versi 770-71 del libro V) descrive "la sentinella che dall’alta vedetta stende lo sguardo sopra il mare color del vino, oinopa ponton". Nella versione del Monti l’aggettivo indicante il colore è andato perduto.
  3. La continua variabilità dei minuti particolari fa sì che una carta di Marte non può mai esser altro che una rappresentazione convenzionale o schematica della superficie del pianeta. Per aver un’idea esatta del suo aspetto fisico, quale si presenta nei telescopi, bisogna ricorrere ai disegni, dei quali molte centinaia si trovano raccolte nell’opera del Flammarion La Planete Mars. Un esempio ne dà la figura della pagina precedente, la quale è stata disegnata col grande telescopio di Brera nella sera del 15 settembre 1892. L’immagine è rovesciata, quale nel campo telescopico appariva. Il disco di Marte allora non era più rotondo, ma alquanto deficiente a cagione della non diretta illuminazione del Sole; rassomigliava alla Luna due giorni prima del plenilunio. Comparando il disegno colla carta è facile riconoscere in quello la costa molto accidentata del Mare Eritreo, che corre press’a poco lungo l’equatore del pianeta. Molto evidente è il doppio corno del Golfo Sabeo, e a destra di esso il Golfo delle Perle. Il continente al di sotto dobbiamo immaginarlo giallo brillante, lo si vede solcato da parecchi canali, nei quali non sarà difficile ravvisare il Phison, l’Eufrate, l’Oronte, il Gehon, l’Indo, l’Idaspe e la Iamuna. L'Eufrate dava sospetto di esser duplicato. In alto del disco il Mare Eritreo e il Mare Australe appaiono divisi da una gran penisola curvata a guisa di falce, prodotta da una insolita appariscenza della regione detta di Deucalione, la quale si allungò quest’anno fino a raggiungere le isole Noachide ed Argyre, formando con queste un tutto continuato, con deboli traccio di separazione, sulla lunghezza di quasi 6000 chilometri. Il suo colore, molto meno brillante che quello dei continenti, era un misto del giallo di questi col bruno grigio dei mari contigui. In alto l’ovale chiara deve immaginarsi del bianco più splendido e più puro: rappresenta la calotta delle nevi australi, ridotta alla forma ellittica dallo scorcio della prospettiva, molto obliqua in quel luogo. Perchè non bisogna mai dimenticare che davanti a noi abbiamo, sotto forma d’un disco, la curvatura d’un emisfero.