La vita sul pianeta Marte/Il pianeta Marte (1893)/III

Il pianeta Marte
Capitolo III

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Il pianeta Marte (1893) - II Il pianeta Marte (1893) - IV


Già i primi Astronomi, che studiarono Marte col telescopio, ebbero occasione di notare sul contorno del suo disco due macchie bianco-splendenti di forma rotondeggiante e di estensione variabile. In progresso di tempo fu osservato, che mentre le macchie comuni di Marte si spostano rapidamente in conseguenza della sua rotazione diurna, mutando in poche ore di posizione e di prospettiva; quelle due macchie bianche rimangono sensibilmente immobili al loro posto. Si concluse giustamente da questo, dover esse occupare i poli di rotazione del pianeta, o almeno trovarsi molto prossime a quei poli. Perciò furono designate col nome di macchie o calotte polari. E non senza fondamento si è congetturato, dover esse rappresentare per Marte quelle immense congerie di nevi e di ghiacci, che ancor oggi impediscono ai navigatori di giungere ai poli della terra. A ciò conduce non solo l’analogia d’aspetto e di luogo, ma anche un’altra osservazione importante.

Come è noto dai principî di cosmografia, l’asse della terra è inclinato sul piano dell’orbe che essa descrive intorno al sole; l’equatore pertanto non coincide al piano di detto orbe, ma è inclinato rispetto ad esso piano dell’angolo di 23 1/2 gradi, detto l’obliquità dello zodiaco o dell’eclittica. Ed è noto pure, come da questa semplice e quasi accidentale circostanza tragga origine una varietà di fatti, che sono del più grande influsso sui climi dei diversi paesi, producendo l’estate e l’inverno, e la diversa durata dei giorni e delle notti. Ora lo stesso precisamente avviene in Marte. Il suo equatore è inclinato rispetto al piano dell’orbita di quasi 25 gradi; e da tal disposizione ha origine la stessa vicenda delle stagioni e dell’irradiamento solare, la stessa varietà di climi e di giorni, che ha luogo sulla Terra. Marte ha dunque le sue zone climatiche, i suoi equinozi e i suoi solstizi, e simili vicende d’illuminazione. Per quanto concerne la durata dei giorni e delle notti il parallelismo è quasi completo nella zona torrida e nelle temperate: perchè mentre il giorno terrestre solare è di 24 ore, il giorno solare di Marte è di 24 ore e quaranta minuti prossimamente. Circa l’andamento delle stagioni e delle lunghe giornate e notti del polo vi è questa differenza, che le nostre stagioni durano tre mesi ciascuna, quelle di Marte hanno una durata poco men che doppia, di 171 giorni in media: e i giorni e le notti del polo, che presso di noi sono di sei mesi a un dipresso in Marte durano per un medio undici mesi1. Tal differenza è dovuta a questo principalmente, che l’anno di Marte è di 687 giorni terrestri, mentre il nostro è di soli 365.

Così stando le cose, è manifesto, che se le suddette macchie bianche polari di Marte rappresentano nevi e ghiacci, dovranno andar decrescendo di ampiezza col sopravvenire dell’estate in quei luoghi, ed accrescersi durante l’inverno. Or questo appunto si osserva nel modo più evidente. Nel secondo semestre dell’anno decorso 1892 fu in prospetto la calotta del polo australe; durante quell’intervallo, e specialmente nei mesi di Luglio e d’Agosto, anche osservando con cannocchiali affatto comuni era chiarissima di settimana in settimana la sua rapida diminuzione; quelle nevi (ora ben possiamo chiamarle tali), che da principio giungevano fino al 70.° parallelo di latitudine, e formavano una calotta di oltre 2000 chilometri di diametro, si vennero progressivamente ritraendo al punto, che due o tre mesi dopo pochissimo più ne rimaneva, una estensione di forse 300 chilometri al maximum; e anche meno se ne vede adesso, negli ultimi giorni del 1892. In questi mesi l’emisfero australe di Marte ebbe la sua estate; il solstizio estivo essendo avvenuto il 13 Ottobre. Corrispondentemente ha dovuto accrescersi la massa delle nevi intorno al polo boreale; ma il fatto non fu osservabile, trovandosi quel polo nell’emisfero di Marte opposto a quello che riguarda la Terra. Lo squagliarsi delle nevi boreali è stato invece osservabile negli anni 1882, 1884, 1886.

Queste osservazioni del crescere e decrescere alterno delle nevi polari, abbastanza facili anche con cannocchiali di mediocre potenza, diventano molto più interessanti ed istruttive, quando se ne seguano assiduamente le vicende nei più minuti particolari, usando di strumenti maggiori. Si vede allora lo strato nevoso sfaldarsi successivamente agli orli; buchi neri e larghe fessure formarsi nel suo interno; grandi pezzi isolati, lunghi e larghi molte miglia staccarsi dalla massa principale, e sparire sciogliendosi poco dopo. Si vedono insomma presentarsi qui d’un colpo d’occhio quelle divisioni e quei movimenti dei campi ghiacciati, che succedono durante l’estate delle nostre regioni artiche secondo le descrizioni degli esploratori.

Le nevi australi offrono questa particolarità, che il centro della loro figura irregolarmente rotondeggiante non cade proprio sul polo, ma in un altro punto, che è sempre press’a poco il medesimo, e dista dal polo di circa 300 chilometri nella direzione del Mare Eritreo. Da questo deriva, che quando l’estensione delle nevi è ridotta ai minimi termini, il polo australe di Marte ne rimane scoperto; e quindi forse il problema di raggiungerlo è su quel pianeta più facile che sulla Terra. Le nevi australi sono in mezzo di una gran macchia oscura, che colle sue ramificazioni occupa circa un terzo di tutta la superficie di Marte, e si suppone rappresenti l’Oceano principale di esso. Se questo è, l’analogia con le nostre nevi artiche ed antartiche si può dire completa, e specialmente colle antartiche.

La massa delle nevi boreali di Marte è invece centrata quasi esattamente sul polo; essa è collocata nelle regioni di color giallo, che soglionsi considerare come i continenti del pianeta. Da ciò nascono fenomeni singolari, che non hanno sulla Terra alcun confronto. Allo squagliarsi delle nevi accumulate su quel polo durante la lunghissima notte di dieci mesi e più, le masse liquide prodotte in tale operazione si diffondono sulla circonferenza della regione nevata, convertendo in mare temporaneo una larga zona di terreno circostante; e riempiendo tutte le regioni più basse producono una gigantesca inondazione, la quale ad alcuni osservatori diede motivo di supporre in quella parte un altro Oceano, che però in quel luogo non esiste, almeno come mare permanente. Vedesi allora (l’ultima occasione a ciò opportuna fu nel 1884) la macchia bianca delle nevi circondata da una zona oscura, la quale segue il perimetro delle nevi nella loro progressiva diminuzione, e va con esso restringendosi sopra una circonferenza sempre più angusta. Questa zona si ramifica dalla parte esterna con strisce oscure, le quali occupano tutta la regione circostante, e sembrano essere i canali distributori, per cui le masse liquide ritornano alle loro sedi naturali. Nascono in quelle parti laghi assai estesi, come quello segnato sulla carta col nome di Lacus Hyperboreus; il vicino mare interno detto Mare Acidalio, diventa più nero e più appariscente. Ed è a ritenere come cosa assai probabile, che lo scolo di queste nevi liquefatte sia la causa che determina principalmente lo stato idrografico del pianeta, e le vicende che nel suo aspetto periodicamente si osservano. Qualche cosa di simile si vedrebbe sulla Terra, quando uno dei nostri poli venisse a collocarsi subitamente nel centro dell’Asia o dell’Africa. Come stanno oggi le cose, possiamo trovare un’immagine microscopica di questi fatti nel gonfiarsi che si osserva dei nostri torrenti allo sciogliersi dei nevai alpini.

I viaggiatori delle regioni artiche hanno frequente occasione di notare, come lo stato dei ghiacci polari nel principio della state, ed ancor al principio di Luglio, è sempre poco favorevole al progresso dei viaggiatori; la stagione migliore per le esplorazioni è nel mese di Agosto, e Settembre è il mese, in cui l’ingombro dei ghiacci è minimo. Così pure nel Settembre sogliono essere le nostre Alpi più praticabili che in ogni altra epoca. E la ragione ne è chiara; lo scioglimento delle nevi richiede tempo; non basta l’alta temperatura, bisogna che essa continui, ed il suo effetto sarà tanto maggiore, quanto più prolungato. Se quindi noi potessimo rallentare il corso delle stagioni, così che ogni mese durasse sessanta giorni invece di trenta; nell’estate in tal modo raddoppiata lo scioglimento dei ghiacci progredirebbe molto di più e forse non sarebbe esagerazione il dire che la calotta polare al fine della calda stagione andrebbe interamente distrutta. Ma non si può dubitare ad ogni modo, che la parte stabile di tale calotta sarebbe ridotta a termini molto più angusti, che oggi non si veda. Ora questo appunto succede in Marte. Il lunghissimo anno quasi doppio del nostro permette ai ghiacci di accumularsi durante la notte polare di 10 o 12 mesi in modo, da scendere sotto forma di strato continuo fino al parallelo 70° ed anche più basso; ma nel giorno che segue di 12 o 10 mesi il Sole ha tempo di liquefare tutta o quasi tutta quella neve di recente formazione, riducendola a sì poca estensione, da sembrare a noi nulla più che un punto bianchissimo. E forse tali nevi si struggono intieramente, ma di questo finora non si ha alcuna sicura osservazione.

Altre macchie bianche di carattere transitorio e di disposizione meno regolare si formano sull’emisfero australe nelle isole vicine al polo; e così pure nell’emisfero opposto regioni biancheggianti appaiono talvolta intorno al polo boreale fino al 50° e 55° parallelo. Sono forse nevicate effimere, simili a quelle che si osservano nelle nostre latitudini. Ma anche nella zona torrida di Marte si vedono talora piccolissime macchie bianche più o meno persistenti, fra le quali una fu da me veduta in tre opposizioni consecutive (1877-1882) nel punto segnato sui nostri planisferi dalla longitudine 268° e dalla latitudine 16° nord. Forse è permesso congetturare in questi luoghi la esistenza di montagne capaci di nutrire vasti ghiacciai. L’esistenza di tali montagne è stata supposta anche da alcuni recenti osservatori, sul fondamento di altri fatti.

Quanto si è narrato delle nevi polari di Marte prova in modo incontrastabile, che questo pianeta, come la Terra, è circondato da un’atmosfera capace di trasportar vapori da un luogo all’altro. Quelle nevi infatti sono precipitazioni di vapori condensati dal freddo e colà successivamente portati; ora come portati, se non per via di movimenti atmosferici? L’esistenza di un’atmosfera carica di vapori è stata confermata anche dalle osservazioni spettrali, principalmente da quelle di Vogel; secondo il quale tale atmosfera sarebbe di composizione poco diversa dalla nostra, e sopratutto molto ricca di vapore acqueo. Fatto questo sommamente importante, perchè ci dà il diritto di affermare con molta probabilità, che d’acqua e non d’altro liquido siano i mari di Marte e le sue nevi polari. Quando sarà assicurata sopra ogni dubbio questa conclusione, un’altra ne discenderà non meno grave; che le temperature dei climi marziali, malgrado la maggior distanza dal Sole, sono del medesimo ordine che le temperature terrestri. Perchè se fosse vero quanto fu supposto da alcuni investigatori, che la temperatura di Marte sia in media molto bassa (di 50° a 60° sotto lo zero!) non potrebbe più il vapor acqueo essere uno degli elementi principali dell’atmosfera di Marte, nè potrebbe l’acqua essere uno dei fattori importanti delle sue vicende fisiche; ma dovrebbe lasciare il luogo all’acido carbonico o ad altro liquido, il cui punto di congelazione sia molto più basso.

Gli elementi della meteorologia di Marte sembrano dunque aver molta analogia con quelli della meteorologia terrestre. Non mancano però, come è da aspettarsi, le cause di dissomiglianza. Anche qui, da circostanze di piccol momento trae la Natura un’infinita varietà nelle sue operazioni. Di grandissima influenza dev’esser la diversa maniera, con cui in Marte e sulla Terra veggonsi ordinati i mari ed i continenti; su di che uno sguardo alla carta dice più che non si farebbe con molte parole. Già abbiamo accennato al fatto delle straordinarie inondazioni periodiche, che ad ogni rivoluzione di Marte ne allagano le regioni polari boreali allo sciogliersi delle nevi: aggiungeremo ora, che queste inondazioni diramate a grandi distanze per una rete di numerosi canali, forse costituiscono il meccanismo principale (se non unico), per cui l’acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta. Perchè infatti su Marte piove molto raramente, o forse anche non piove affatto. Ed eccone la prova.

Portiamoci coll’immaginazione nello spazio celeste, in un punto distante dalla Terra così, da poterla abbracciare d’un solo colpo d’occhio. Molto andrebbe errato colui, che sperasse veder di là riprodotta in grande scala la immagine dei nostri continenti coi loro golfi ed isole e coi mari che li circondano, quale si vede nei nostri globi artificiali. Qua e là senza dubbio si vedrebbero trasparire sotto un velo vaporoso le note forme, o parti di esse. Ma una buona parte (forse la metà) della superficie sarebbe fatta invisibile da immensi campi di nuvole, continuamente variabili di densità, di forma e di estensione. Tale ingombro, più frequente e più continuato nelle regioni polari, impedirebbe ancora per circa la metà del tempo, la vista delle regioni temperate, distribuendosi su di esse in capricciose e perpetuamente variate configurazioni; sui mari della zona torrida si vedrebbe disposto in lunghe fasce parallele, corrispondenti alle zone delle calme equatoriali e tropicali. Per uno spettatore posto nella Luna, lo studio della nostra geografia non sarebbe un’impresa tanto semplice, quanto si potrebbe immaginare.

Nulla di questo in Marte. In ogni clima e sotto ogni zona la sua atmosfera è quasi perpetuamente serena e trasparente abbastanza per lasciar riconoscere a qualunque momento i contorni dei mari e dei continenti, e per lo più anche le configurazioni minori. Non già che manchino vapori di un certo grado di opacità; ma ben poco impedimento danno essi allo studio della topografia del pianeta. Qua e là vedonsi comparire di quando in quando alcune chiazze biancastre, mutar di posizione e di forma, di raro estendersi sopra aree alquanto ampie; esse prediligono di preferenza alcune regioni, come le isole del Mare Australe e sui continenti le parti segnate sulla carta coi nomi di Elysium e di Tempe. Il loro candore generalmente diminuisce e scompare nelle ore meridiane del luogo, e si rinforza la mattina e la sera con vicenda molto spiccata. È possibile che siano strati di nuvole, perchè così bianche appajono pure le nubi terrestri nella parte superiore illuminata dal Sole. Però diverse osservazioni conducono a pensare, che si tratti piuttosto di sottili veli di nebbia, anzichè di veri nembi apportatori di temporali e di piogge: se pure non sono temporanee condensazioni di vapore sotto forma di rugiada o di brina.

Adunque, per quanto è lecito argomentare dalle cose osservate, il clima di Marte nel suo generale complesso dovrebbe rassomigliare a quello delle giornate serene nelle alte montagne. Di giorno un’insolazione fortissima, quasi punto mitigata da nuvole o da vapori; di notte una copiosa irradiazione del suolo verso lo spazio celeste, e quindi un grande raffreddamento. Da ciò un clima eccessivo e grandi sbalzi di temperatura dal giorno alla notte e da una stagione all’altra. E come sulla Terra ad altezze di 5000 e 6000 metri i vapori dell’atmosfera più non si condensano che sotto forma solida, formando quelle masse biancastre di diacciuoli sospesi, che si chiamano cirri; così nell’atmosfera di Marte saranno raramente possibili (od anche non saranno possibili) vere agglomerazioni di nuvole capaci di dar luogo a piogge di qualche momento. Lo squilibrio di temperatura fra una stagione ed un’altra sarà poi accresciuto notabilmente dalla lunga durata delle medesime; e così si comprende la grande coagulazione e dissoluzione di nevi, che si rinnova intorno ai poli ad ogni rivoluzione compiuta dal pianeta intorno al Sole.

Note

  1. Riferendoci tanto per Marte, che par la Terra, all’emisfero boreale, abbiamo le seguenti durate esatte delle stagioni in giorni terrestri:
    Primavera Estate Autunno Inverno
    Per la Terra giorni 93 93 90 89
    Per Marte 199 182 146 160

    L’illuminazione del polo boreale di Marte dura quindi continua per 381 giorni; quella del polo australe per 306 giorni; delle notti accade l’inverso.