La vedova scaltra/Nota storica
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NOTA STORICA
La Vedova scaltra non segna ancora la data d’un capolavoro: tuttavia è molto importante nella storia nostra letteraria, come se di qui veramente incominci l’opera feconda di Carlo Goldoni; e di qui, insieme col trionfo del teatro comico italiano dopo gli sforzi impotenti e le speranze deluse, si annunci il periodo di rinnovellamento in Italia delle lettere e dell’arte. La sera di S. Stefano del 1748 l’astuta Rosaura, tra gli applausi del pubblico veneziano che affollava il teatro di S. Angelo, provò il cuore dei quattro cavalieri innamorati. Ma è da credere che la commedia fosse consegnata al Medebach alcuni mesi avanti, nel luglio, a Modena (Mem.es, P. I, ch. LIII) e forse che si recitasse la prima volta in quella state, sulle scene del Rangoni (come afferma l’ed. Paperini: v. Modena a C. G., cit., 67 sgg. e 306 sgg.; e Rasi, I comici it., cit., II, 115). A Venezia si ripetè per ben ventidue volte in quel carnovale (v. Prologo apolog.) e quattro l’autunno seguente (nov. 1749: v. sonetto ed. da Malamani, L’Ateneo Ven. a C. G., cit., 32), fin che gli Inquisitori la proibirono: ma intanto, oltre che a Modena, era stata «portata in trionfo» a Bologna, a Parma, a Verona, rappresentata, come pare, anche dalla rivale compagnia Casali-Sacco di S. Samuele (v. Prol. apol.).
Dopo di aver scritto tre commedie per il pantalone D’Arbes, come un tempo per il Collinetti, il dottor Goldoni volle preparare una grande vittoria a Rosaura Medebach, che aveva ammirato a Livorno nella Donna di garbo; e dalla ridente fantasia gli sgorgò la Vedova scaltra. Sarebbe vano ricerca troppo a fondo il carattere dei personaggi e la verosimiglianza della favola: è una giornata di carnovale, come le Follie amorose ( 1704) di Regnard, come, più tardi, l’immortale Figaro: di quel carnovale veneziano, così solo nella storia dei tempi passati, sul cui fondo sorge tanta parte del teatro goldoniano. Rosaura in abito da maschera si confessa ancora nipote dell’antica Colombina, della dama folletto, che piacque nel Seicento a Calderon, a Killigrew, a Hauteroche ecc. (vol. I della presente ed., p. 521). A Bologna, nel 1684, il noto editore Longhi aveva stampato la Donna folletto ovv. le Larve amorose di Arcang. Spagna, autore di melodrammi (v. continuatori Allacci); e tra le servette che nel principio del Settecento rappresentavano lo Spirito folletto, ci ricorda il buon Bartoli la comica Ippolita. Le vedove poi, alla moda o no, civette o impertinenti, si ritrovano nei titoli delle commedie francesi precedenti a Goldoni: ma il dottor veneziano si libera quanto può dalla suggestione del teatro dell’arte, non imita nè Spagnoli, nè Francesi, crea da sè con facile vena, e impronta di carattere goldoniano l’azione, il dialogo, i personaggi. Vedi i più recenti giudizi di Bonfanti (La donna di garbo cit., 23-26), Ortolani (Della vita e dell’arte di C. G., cit., 46), Maddalena (C. Gold., Trieste, 1908, p. 10). Vera commedia è questa, fatta veramente di riso, senza intrisione di romanzo. La gelosia del Conte non mette nessuna paura; e Rosaura ci dimostra la grande arte dell’esploratore di anime, quando nella penultima scena dice a Marionette: «Pazza! tu non conosci la mia felicità».
Anche troppo fu osservato che il carattere delle diverse nazioni, rappresentato nei quattro cavalieri, è di maniera. Goldoni seguì fedelmente i ritratti che si leggevano in tutti i libri; specie, così contrapposti, in quelli di forma pseudo - epistolare e di materia critico - satirica, fortunatissimi nel Settecento (Marana aveva dato l’esempio, D’Argens fu il terribile alunno): i quali descrivevano finti viaggi in Europa di finti viaggiatori d’Oriente. Certo la caricatura del Francese riuscì argutissima (si ricordi Monsieur de la Franchise nel Geloso disinvolto del Nelli); e quella pure dello Spagnolo, nelle scene con l’Arlecchino. Del Conte di Bosco Nero potrebbe alcuno meravigliasi, perchè la gelosia era sparita dalla società nostra nei primi decenni del Settecento: come si compiacevano di notare gli stranieri che calavano in Italia. Delle maschere l’Arlecchino occupa con onore il posto di Truffaldino e ridiventa per un istante servitore di due padroni. Graziosa la figura di Marionette, servetta parigina. Sobria la satira del costume.
Nel primo anno della riforma, Goldoni non ebbe rivali a Venezia se non i comici dell’arte; e fra costoro, nella valorosissima compagnia del teatro di S. Samuele, contava uno stuolo di vecchi amici. Ma nel secondo anno S. E. Grimani aveva trovato un abate desideroso di provarsi come autor di commedie contro il dottor veneziano; e fin dall’ottobre ’49 ebbe principio la lotta, che doveva durare più di dieci anni, fra il Chiari e il Goldoni. Il primo tentativo dell’abate bresciano (l’Avventuriere alla moda) fallì malamente e diede origine a un Sonetto infamatorio, attribuito da qualche partigiano al Goldoni, che segnò, scrive un anonimo, «il principio di ogni disgusto» (v. cod. Cicogna 1882, ora 2395, al Museo Civico di Venezia). Poche settimane dopo, il Chiari dava a recitare al Casali e al Sacchi una Scuola delle vedove, sgorbiata imitazione e critica insolente della Vedova scaltra. Il Goldoni ebbe il dolore di assistere da un palchetto del S. Samuele, col volto coperto dalla maschera, come solevasi, alla derisione dell’opera sua: rientrato in casa, dettò il Prologo Apologetico, che fece subito stampare e spargere in foglio volante per la città. Il Tribunale dell’Inquisizione, a fine di sopire lo scandalo, sospese con nota dei 15 nov. 1749, la recita delle due commedie (v. Loenher, in Archivio ven., 1882, p. 62). Tale episodio è lungamente raccontato, salvo il nome dell’abate, dallo stesso Goldoni nei Mémoires, P. 2, ch. V. Più non ci resta la commedia del Chiari, bensì abbiamo, a guisa di manifesto, un foglietto di quattro pagine. a grossi caratteri di stampa, che contiene il nome dei personaggi, l’argomento e alcune chiacchiere a mo’ di prefazione. Non dispiacerà ai lettori che qui si nproduca il curioso documento, a illustrazione del Prologo apologetico.
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LA SCUOLA DELLE VEDOVE
Commedia nuova
da rappresenlarsi nel Teatro Grimani di S. Samuele.
PERSONAGGI
Angelica, giovine Vedova, Nuora di Pantalone. — Pantalone, speciale di Medicina. — Isabella, figliuola di Pantalone. — Il Marchese Ottavio, Cavaliere servente di Angelica, di nazione Italiano. — Milord Churlchil, inglese. — Il Cavaliere di Brebì, Francese. — Don Gille de Los Balconcellos, Spagnuolo. — Lucindo, ricco Mercante Italiano. — Truffaldino, prima Servitore del Cavaliere di Brebi, poi di Pantalone, e finalmente Garzone d’un Caffettiere. — Smeraldina, Cameriera d’Angelica. — Panduro, Barcaruolo. — Lumaca, Lacchè.
La Scena è in Venezia.
ARGOMENTO.
Arrivati essendo in Venezia tre Forestieri oltramontemi di tre differenti nazioni, e tutti e tre raccomandati a Lucindo da un suo Fratello abitante in Livorno, gli accoglie egli generosamente nella sua casa medesima. Per divertirli lecitamente, ed ispirar loro un buon concetto delle Donne Italiane, gli introduce alla Conversazione d’Angelica. Ella colla prudenza sua induce scaltramente il Suocero ed il Servente ad esserne più che contenti. La inopportuna, mal fondata ed incauta gelosia del Marchese nascer fa tal disordine, per cui Angelica obbligata viene dalla sua prudenza medesima a non voler più ammettere nè lui, nè gli Oltramontani in sua casa. Posponendo ogni cosa al suo onore, pensa ella a ritrar de’ vantaggi al suo stato, e de’ nuovi pregi al suo merito da questo stesso disordine. Regolatosi in guisa che il Marchese, di lei Servente, sposando Isabella, sagrifica alla di lei riputazione il suo affetto; divien moglie ella stessa di Lucindo, che per tutte le donne accorte avea poco genio e manco concetto; veder facendo assai chiaramente che una Donna di spirito accordar può, quando il voglia, al suo vero interesse il proprio decoro.
Premendo all’Autore di questa Commedia dar piacere al Pubblico ed istruirlo, senza offendere chicchessia, desidera che sieno fatte da chiunque compiacerassi vederla le riflessioni seguenti.
Intitolandola egli la Scuola delle Vedove, non ebbe altra mira, che d’imitare Molliere. Questo Comico impareggiabile ha fatta la Scuola de’ Mariti e la Scuola delle Donne; due Commedie che l’applauso riportarono di tutta la Francia. Se laude si merita chi fa il suo dovere, non potrà egli essere biasimato; mentre, aprendo sul Teatro una scuola che insegni qual esser deggia una Vedova onesta, quelle regole adempie che agli Scrittori di Commedie prescritte furono sempre mai da Aristotile, da Orazio, dal Castelvetro, dal Nores; e da’ migliori Comici Greci, Latini, Francesi ed Italiani furono sempre mai fedelmente osservate.
«Introducendo in questa Commedia i caratteri di oltramontane Nazioni, e criticandone moderatamente i difetti, ha presa di mira, non già qualche Commedia prodotta di fresco, ma più Commedie da molto tempo stampate, quali sono Il Francese a Londra, Le Amazoni, Don Garzia, Le Donne Savie, La Matrona d’Efeso e il Marito confuso, sul cui modello ha lavorato la sua, mettendo in vista alcune azioni e parole contenute nelle medesime, che sembrate gli sono poco conformi al verisimile ed alla Natura. In questo ancora ha seguito gli insegnamenti e gli esempj de’ Maestri dell’Arte, letti da lui più d’una volta, e studiati. Anche Molliere, il Fagiuoli, il Dancourt, il Voltaire, e Plauto, e Terenzio medesimo, formando caratteri, qualche volta la penna in mano sonosi addormentati. Dovunque gli è venuta la palla al balzo, nella presente Commedia egli non l’ha perdonata a’ medesimi; e benchè non li nomini, chiunque ha qualche tintura di lettere, dagli accidenti e da’ Dialoghi in essa inseriti potrà bastevolmente capire di qual di loro ragioni. Dalle cisterne pubbliche ognuno può pigliar acqua, per trarsi la sete. Faccia di lui lo stesso chi ne avesse talento, e piacere egli avrà d’imparare da chiunque sappia fargli vedere i suoi stessi difetti; riflettendo però che nel di lui animo l’autorità nulla può; ma tutto può la ragione.
Persuaso che sia il Pubblico, siccome è persuaso egli stesso, che lecito gli era senza offesa di chicchessia d’introdurre nella sua Commedia tali caratteri, e metterle in fronte tal titolo, la sottopose di buon animo alla di lui rigorosa censura; imperocchè, se non avrà essa la fortuna d’essere compatita, quella egli avrà certamente d’essere dall’altrui correzioni ammaestrato assai più».
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Delle due stampe, del Chiari e del Goldoni, un cenno inesatto si legge nel primo vol. dei Notatori di Piero Gradenigo (presso il Museo Civico di Venezia: v. Malamani, I. e, 26-27), il quale finisce così: «ma furono ammoniti li Competitori a non proseguire le animosità fra loro». È necessario avvertire che la data dei 13 ott. 1749 è sbagliata e che la notizia fu aggiunta più tardi.
Nemmeno il terribile Tribunale potè impaurire e scacciar dalle scene la Vedova scaltra. Medebach stesso ci è testimonio che si recitava a Mantova nella primav. del ’50 (lett.a all’Arconati dei 22 maggio), e Goldoni che si recitò a Firenze (v. lett. al Bettinelli, 29 apr. ’52) e che si continuava qua e là a recitare dopo quindici anni (v. l’Aut. a chi legge). Il Gradenigo (Not.i, V) ha il curioso ricordo d’una rappresentazione a Venezia, nel nov. ’58, da parte di alcuni fanciulli della compagnia Sacchi, già applauditi a Lisbona. Solo non cessò la guerra dell’abate Chiari, il quale nel ’52 trovò ancora «stupido ed insensato» il personaggio di milord Runebif e giunse ad accusare la moralità di Rosaura. «Dove s’intese mai che convenga ad una vedova onesta accettar regali a due mani, e far della casa sua scala franca, quanto al gran Cairo, alle nazioni d’Europa?» (Lett.e scelte, Ven., Pasinelli, t. III, 147 e 148). Il pubblico del Settecento non gli badò: che se gli applausi vennero scemando nel secolo dopo, non fu per i difetti scoperti dall’ex - gesuita, e nemmeno per l’acre giudizio di un tal Domenico Gavi (Della vita di C. G. e delle sue comm., Milano, 1826, p. 1 66), ma piuttosto per l’affinità col teatro dell’arte, accusata da Gold. stesso (l’Aut. a chi legge). Sparse recite si contano da per tutto, specialmente a Modena (Mod. a C. G. cit., 235 sgg.) e fin dove risuona la parlata veneziana e sorge in vista il leone di S. Marco, a Zara (Il Dalmata, 27 febbr. 1907). Due date diversamente memorabili a Torino: nel 1823, quando nella R. Compagnia Sarda comparve la prima volta Carlotta Marchionni, e nel fatale ’49 (Costetti, La Camp. Reale Sarda ecc., Milano, 1893. pp. 34 e 1 79). Della fortuna della Ved. scaltra sono anche prova i drammi giocosi di là ricavati (v. C. Musatti, Drammi musicali di G. e d’altri tratti dalle sue comm., Ven. 1898, pp. 10-11; si aggiunga una comm. di Kotzebue, Die schlaue Wittwe: v. Rabany, C. Gold., cit., 328) e le traduzioni (Spinelli, Bibl. gold., cit., 248, 255).
Ci resta a dire del patrizio Nicolò Balbi (della contrada di S. Marcuola) a cui fu dedicata la commedia, il più antico, il più fedele dei protettori di Goldoni, che vediamo fra i suoi ammiratori e incitatori fin dalla recita del Belisario, nel ’34 (vol. I della pres. ed., p. 105) e ritroviamo in vari momenti della sua vita, sia come testimonio nel contratto col Vendramin, l’anno 1753, sia come patrocinatore dell’edizione Pasquali, nel ’62, quando Goldoni parti da Venezia, sia come sottoscrittore dei Mémoires, nell’87. Nato ai 28 dic. del 1710 da Tommaso e da Donada Bembo, sposò in età giovanissima (1738) Elisabetta Angaran (della contrada di S. Pantaleone), che lo fece padre di sei figli maschi e tre femmine, e lo seguì, compagna amorevole, nei tre anni (1755-58) che fu Provveditore al Zante. Ma nei magistrati in patria spese l’opera sua maggiore, e fu assunto al Senato. Amante del teatro, seppe formare «una sì ampia raccolta di tragedie, di commedie, e di opere di ogni genere teatrale, antiche e moderne», che poteva «passare in Italia per singole e magnifica: e come ci assicura Goldoni nella dedica della Madre amorosa a Elisabetta; e scrisse nel ’47 una tragedia, la Lega di Smalcalda, che serbò manoscritta al pari delle altre sue opere (v. Bertana, Il teatro tragico ital. del sec. XVIII ecc. 4.° Suppl. del G. St., Torino, 1901, p. 156, n. 2). Amante della storia, possedeva codici preziosi di memorie veneziane, dispersi dopo la morte dei figli. Di lui si conservano tre importanti Relazioni, fra i mss. lasciati da Em. A. Cicogna: l’una sugli avvenimenti seguiti a Venezia l’anno 1762, in dodici lettere (Museo Civico di Ven.: cod. Cic. 2649, già 1423); altra sugli avvenimenti del 1775, in dieci lettere (cod. 2650, già 1424: ha in testa il ritratto dell’autore, ad acquerello); la terza pure sopra un episodio del ’75 (cod. 2651, già 1425). Restano inoltre varie note e un Compendio delle cose seguite nelle vertenze tra il Consiglio di XL al Criminal e Savii del Collegio nel maggio ’53. Della seconda Relazione fu stampata separatamante la X lettera, sulla venuta a Venezia di Giuseppe II (Milano, 1733). — È da ricordare che sul principio del 1755 lo stesso Nicolò fece stampare il poemetto del p. G. B. Roberti, intitolato La Commedia, a cui premise belle parole di dedica a Goldoni. Di che e d’altro ancora grato il buon dottore, rincarò nel ’57 le lodi al generoso patrizio, alla moglie sua, all’intera famiglia, nella lettera citata della Madre amorosa, che troveremo più avanti; e poi nel ’61, m quel piccolo capolavoro di poesia giocosa ch’è il Mondo novo, nella Raccolta di poetici componimenti per la vestizione di Contarina Balbi, curata da Goldoni e dedicata a Nicolò, padre della monaca: anzi lasciò al protettore, prima della partenza per la Francia, il proprio ritratto dipinto ad olio da Alessandro Longhi (lo comprò dagli eredi nel 1832 Em. A. Cicogna), riprodotto nel primo volume della presente edizione. Il nome del Balbi si legge nel principio del poemetto di Nicola Beregan, Il Museo d'Apollo; al Balbi è dedicato Il Teatro Comico Francese, tradotto da Gasparo Gozzi (Ven.,’54). Che più? Fino l'ab. Chian nelle Epistole modenesi vanta gentili accoglienze: «Venga l’egregio Balbi co’ suoi gran figli a canto, — Che ed Bacchiglione in riva [Vicenza] m’accarezzò cotanto». — Morì il vecchio patrizio ai 19 gennaio del 1791 e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Ermagora e Fortunato (S. Marcuola), dove l’iscrizione latina ricorda ancora l’uomo onesto, devoto in vita «religioni, patriae, litteris.» A uno a uno sparivano gli amici lontani di Carlo Goldoni: ma forse nessuna perdita fu più dolorosa di questa al grande esule, sempre più solo.
G. O.
Questa commedia fu stampata la prima volta nel t. I del!’ed. Bettinelli a Venezia, l’anno 1750: si trova poi nelle edizioni Pisani (I, ’51: Bologna), Paperini (III, ’53: Firenze), Corciolani (I, ’53: Bologna), Cavalli (III. ’53: Pesaro), Fantino (IV, ’56: Torino), Pasquali (V, ’63: Venezia). Savioli (X, ’71: Ven.), Guibert (V, ’72: Torino), Zatta (IX. ci. 2. ’90: Ven.). Masi (Livorno), Bonsignori (Lucca) e altre. La presente ristampa fu compiuta sul testo originale dell’ed. Pasquali, ma reca in nota le forme varianti. Errano certo le edd. Pasq. e Zatta, affermando che la V. S. fu rappr. a Milano l’estate 1748. Valgono le osservazioni già fatte per l’Uomo di mondo, a pag. 238 del preced. volume.
Il Prologo apologetico fu stamp., com’ebbi a dire, nel nov. 1749, in un foglio volante di otto pagine, senza indicazione di luogo di anno, di autore. Un esemplare, sfuggito finora, ritrovai nel cod. Cicogna 2991 (già 3255) del Museo Civico di Venezia: e di qui fu ristampato nel presente volume. Una fedele copia manoscritta leggesi nel cod. Cic. 1293 (già 151); e una riproduzione in appendice al cit. saggio Della vita e dell’arte di C. G., Ven. 1907.