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Spagna, autore di melodrammi (v. continuatori Allacci); e tra le servette che nel principio del Settecento rappresentavano lo Spirito folletto, ci ricorda il buon Bartoli la comica Ippolita. Le vedove poi, alla moda o no, civette o impertinenti, si ritrovano nei titoli delle commedie francesi precedenti a Goldoni: ma il dottor veneziano si libera quanto può dalla suggestione del teatro dell’arte, non imita nè Spagnoli, nè Francesi, crea da sè con facile vena, e impronta di carattere goldoniano l’azione, il dialogo, i personaggi. Vedi i più recenti giudizi di Bonfanti (La donna di garbo cit., 23-26), Ortolani (Della vita e dell’arte di C. G., cit., 46), Maddalena (C. Gold., Trieste, 1908, p. 10). Vera commedia è questa, fatta veramente di riso, senza intrisione di romanzo. La gelosia del Conte non mette nessuna paura; e Rosaura ci dimostra la grande arte dell’esploratore di anime, quando nella penultima scena dice a Marionette: «Pazza! tu non conosci la mia felicità».

Anche troppo fu osservato che il carattere delle diverse nazioni, rappresentato nei quattro cavalieri, è di maniera. Goldoni seguì fedelmente i ritratti che si leggevano in tutti i libri; specie, così contrapposti, in quelli di forma pseudo - epistolare e di materia critico - satirica, fortunatissimi nel Settecento (Marana aveva dato l’esempio, D’Argens fu il terribile alunno): i quali descrivevano finti viaggi in Europa di finti viaggiatori d’Oriente. Certo la caricatura del Francese riuscì argutissima (si ricordi Monsieur de la Franchise nel Geloso disinvolto del Nelli); e quella pure dello Spagnolo, nelle scene con l’Arlecchino. Del Conte di Bosco Nero potrebbe alcuno meravigliasi, perchè la gelosia era sparita dalla società nostra nei primi decenni del Settecento: come si compiacevano di notare gli stranieri che calavano in Italia. Delle maschere l’Arlecchino occupa con onore il posto di Truffaldino e ridiventa per un istante servitore di due padroni. Graziosa la figura di Marionette, servetta parigina. Sobria la satira del costume.

Nel primo anno della riforma, Goldoni non ebbe rivali a Venezia se non i comici dell’arte; e fra costoro, nella valorosissima compagnia del teatro di S. Samuele, contava uno stuolo di vecchi amici. Ma nel secondo anno S. E. Grimani aveva trovato un abate desideroso di provarsi come autor di commedie contro il dottor veneziano; e fin dall’ottobre ’49 ebbe principio la lotta, che doveva durare più di dieci anni, fra il Chiari e il Goldoni. Il primo tentativo dell’abate bresciano (l’Avventuriere alla moda) fallì malamente e diede origine a un Sonetto infamatorio, attribuito da qualche partigiano al Goldoni, che segnò, scrive un anonimo, «il principio di ogni disgusto» (v. cod. Cicogna 1882, ora 2395, al Museo Civico di Venezia). Poche settimane dopo, il Chiari dava a recitare al Casali e al Sacchi una Scuola delle vedove, sgorbiata imitazione e critica insolente della Vedova scaltra. Il Goldoni ebbe il dolore di assistere da un palchetto del S. Samuele, col volto coperto dalla maschera, come solevasi, alla derisione dell’opera sua: rientrato in casa, dettò il Prologo Apologetico, che fece subito stampare e spargere in foglio volante per la città. Il Tribunale dell’Inquisizione, a fine di sopire lo scandalo, sospese con nota dei 15 nov. 1749, la recita delle due commedie (v. Loenher, in Archivio ven., 1882, p. 62). Tale episodio è lungamente raccontato, salvo il nome dell’abate, dallo stesso Goldoni nei Mémoires, P. 2, ch. V. Più non ci resta la commedia del Chiari, bensì abbiamo, a guisa di manifesto, un foglietto di quattro pagine.