IV. — Il Genio del male

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III V

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CAPITOLO QUARTO.

Il Genio del male.



PPer alcuni giorni nessuno si recò al negozio di Maria a riportarle gli abiti ed a riprendere il costume da maschera.

La bella guantaia si era fatta triste e pensierosa, tanto che Annetta non potè a meno di accorgersi che qualche cosa di strano avveniva in lei e l’interrogò con somma dolcezza, accarezzandola come quando era bambina.

Maria dapprima non rispose; ma ad un tratto due ardenti lacrime le sgorgarono dagli occhi.

Annetta ne fu spaventata.

— Tu piangi? Ti è accaduto dunque qualche cosa ben di grave? — domandò ansiosa.

— No, no, rassicurati, mamma, — rispose Maria, mentre un sospiro sfuggiva dal suo petto oppresso. [p. 34 modifica]

E con tronchi accenti, raccontò quanto le era successo l’ultima notte di carnevale.

Annetta aggrottava le ciglia.

— Perchè non mi svegliasti?

— Non volevo disturbarti.

— Ed intanto ti sei messa nel rischio di vederti usare qualche violenza. Quel giovinotto poteva essere un birbante inseguito dalle guardie.

— Oh! mamma, se tu avessi veduto che fisonomia gentile...

— L’apparenza spesse volte inganna: intanto, lo vedi, non ha rimandati i tuoi abiti.

— I suoi valgono molto più.

Li svolse per mostrarglieli e nel far ciò un oggetto cadde con lieve rumore in terra. Annetta si affrettò a raccoglierlo. Era un portasigari di velluto, con sopravi ricamate in oro le iniziali D. e T.

Mentre stavano ammirandolo, entrò in negozio una specie di facchino, portando un grosso involto.

— Sta qui la signorina Maria? — chiese.

Annetta si avanzò.

— È mia figlia, che volete da lei?

— Consegnarle questa roba.

— So cos’è, posatela sul banco ed aspettate ho da rendervene dell’altra.

— Non ho avuto ordini in proposito — disse il facchino volgendole le spalle — a rivederci.

Annetta lo richiamò, ma invano. Allora si rivolse alla figlia, che rimaneva confusa, turbata.

— Guarda se sono i tuoi abiti.

Maria svolse il fagotto e gettò un lieve grido [p. 35 modifica] di sorpresa. In mezzo agli abiti, eravi un cofanetto tutto a dorature, che conteneva un magnifico finimento in perle ed un biglietto così concepito.

«Signorina — Non ricambierò mai abbastanza il servigio che mi rendeste; tuttavia serbate per mio ricordo il piccolo dono che vi mando e rivolgete qualche volta il pensiero a Gabriele Terzi, la maschera misteriosa, alla quale deste rifugio l’ultima notte di carnevale.»

— Gabriele Terzi — ripetè Annetta — allora quel portasigari non è suo, perchè non corrispondono le iniziali: basta, non mi soddisfa affatto il regalo dei gioielli, che intendi farne?

— Ciò che vorrai, mamma.

— Ebbene, siccome qualche cosa mi dice che quel signor Gabriele lo vedremo ancora, così ci penserò io a restituirglieli: deve essere un furbo colui, ma troverà pane per i suoi denti.

Maria non replicò: le faceva male udire sua madre parlare così. Non divideva quelle idee, perchè sentiva di amare il giovane di profonda ed irresistibile passione. E soffriva per timore di non rivederlo più e si faceva ogni giorno più pallida, destando nel cuore di Annetta un acuto dolore.

La popolana malediva fra sè il giovane venuto a turbare la pace della sua casa; ma trascorso quasi un mese e colui non essendo ricomparso, Annetta tornò affatto tranquilla, tanto più perchè Maria aveva ripresi i suoi bei colori, l’allegria di prima.

Povera donna! Se ella avesse seguiti i passi della [p. 36 modifica] fanciulla, ogni qualvolta questa usciva alla mattina per alcune compere o per delle commissioni di clienti, l’avrebbe spesso veduta entrare furtiva in una modesta casa presso il Mercato delle erbe, salire all’ultimo piano dove il marchese Diego Tiani, sotto il nome del suo rivale Gabriele Terzi, stava ad attenderla.

La prima volta che Maria l’aveva incontrato, uscendo sola, credette venir meno dalla gioia; tuttavia quando egli le si accostò, apparve fredda, quasi indifferente. Ma presto il ghiaccio si ruppe: il giovane le aveva parlato dapprima timido, commosso, poi si abbandonò al linguaggio artificioso, fiorito, seducente di tutti i libertini che hanno designata una vittima, affascinando Maria, facendole battere il cuore a colpi precipitosi.

Coi più vivi colori, Diego le dipinse l’amore che l’aveva infiammato per lei, la gioia che avrebbe provato sentendosi corrisposto, l’avvenire pieno d’inebrianti speranze, di continua felicità che li attendeva.

E l’incauta cadde nel laccio.

Ella si recò agli appuntamenti nella casa designatele, in un quartierino ammobigliato, che Diego aveva preso in affitto per lei, dicendole essere costretto ad agire così, fino a quando avrebbe ottenuto da suo padre il consenso al suo matrimonio.

Maria non aveva alcun sospetto dell’inganno di cui stava per essere vittima. Credeva realmente che quel bellissimo giovane, il quale le giurava con tanto calore di farla sua moglie, si chiamasse [p. 37 modifica] Gabriele Terzi. Non prendeva informazioni: le sarebbe sembrato offenderlo: fidava in lui come in Dio: gli aveva offerta, donata la sua intera esistenza.

Eppure Maria non era in fondo così lieta come per il passato: se provava delle gioie vivissime, inebrianti, aveva altresì dei momenti di disperato rimorso. Ed era quando sua madre la stringeva al seno, la baciava, fissandola negli occhi, chiamandola la sua dolce, la sua pura creatura.

Sorrideva la misera fanciulla e per celare le sue angoscie, aveva impeti di allegrezza folle, che Annetta non comprendeva.

Intanto Diego, il Genio del male, andava diritto al suo infame scopo.