La spiaggia/VIII
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VIII.
Doro mi spiegò, una di quelle mattine, perché fosse stufo di dipingere. Mi aveva preso a braccetto, e passo passo c’eravamo allontanati dal paese, per lo stradale a strapiombo sul mare.
— Se tornassi ragazzo, — mi disse, — farei soltanto il pittore. Scapperei di casa, sbatterei la porta, ma sarebbe una cosa decisa.
Quella rabbia mi piacque, e gli dissi che in questo caso non avrebbe però sposato Clelia. Doro disse ridendo, che quella era l’unica cosa che non aveva sbagliata. Clelia sí era una bella vocazione. Però, disse, non erano quei quadri scemi che dipingeva a tempo perso ciò che gli faceva rabbia, ma di aver perso la foga e la voglia di parlare con me di tante cose, questo sí.
— Quali cose?
Mi squadrò fieramente senza staccarsi, e cominciò a dire che se la prendevo cosí non si lagnava piú, perché anch’io invecchiavo e si vede che capitava a tutti.
— Sarà, — dissi, — ma se hai perso la voglia di parlare, io non c’entro.
Capivo di essere indispettito e che la cosa era ridicola, ma intanto tacqui e Doro lasciò il mio braccio. Guardavo il mare sotto di noi e un’idea mi passò in mente: che i litigi di lui e di Clelia fossero fatti di sciocchezze consimili?
Ma ecco che Doro riprese a parlare con la voce spensierata di prima, e compresi che del mio dispetto non si era neanche accorto. Gli risposi indifferente, ma il rancore dentro mi crebbe, una vera e autentica ira.
— Non mi hai ancora spiegato perché hai litigato con Clelia, — dissi alla fine.
Ma Doro mi sfuggí di nuovo. Dapprima non capí a che cosa alludessi, poi mi guardò di traverso e mi disse: — Ancora ci pensi? Ma sei testardo. Succede tutti i giorni tra sposi.
Lo stesso giorno dissi a Clelia che si lagnava di un romanzo noioso, che in questi casi la colpa è di chi legge. Clelia levò gli occhi e sorrise. — Succede a tutti, — disse. — Venite qui per riposarvi e diventate impertinenti.
— Tutti chi?
— Anche Guido. Ma Guido almeno ha la scusa che l’amica lo tormenta. Lei no.
Alzai le spalle, con una smorfia beffarda. Quando le dissi che avevo fatto la conoscenza di quella signora, Clelia si colorí di piacere e quasi battendo le mani supplicò: — Mi dica, mi dica. Com’è?
Sapevo soltanto che Guido aveva una mezza idea di farla fuori, per esempio a me. Dissi questo col tono contegnoso che piaceva a Clelia, e la vidi felice. — Si lamenta che gli costa troppo, — aggiunsi. — Perché poi non la sposa?
— Ci mancherebbe altro, — disse Clelia. — Però è scema quella donna. Basterebbe l’intelligenza che dimostra lasciandosi tenere nell’armadio come una scatola. Le piace?
— Sinora le ho visto soltanto le gambe. Chi è? una ballerina?
— Una cassiera, — disse Clelia. — Una strega che a Genova tutti conoscevano, prima che Guido le cascasse nelle unghie.
— Allora è furba.
— Con Guido non ci vuol molto, — sorrise Clelia.
— Io credo che faccia la docile per meglio accalappiarlo, — dissi. — È un buon segno quando una donna si lascia tenere nell’armadio. Vuol dire che si considera già di casa.
— Se lo crede buon segno, — disse Clelia imbronciata.
— Ma che cosa può fare di meglio che sposarla?
— No, no, — s’indignò Clelia. — Non lo riceverei piú in casa mia.
— Preferisce che un bestione come lui sposi una Clelia o una Ginetta? — La sogguardavo se reagiva, ma il bestione passò. — Che iniquità, — disse Clelia, — che una ragazza sia senza difesa davanti a voialtri. Fanno bene quelle donne a pigliarvi in giro.
Infatti, uno di quei pomeriggi ebbi una visita di Guido nientemeno che in casa. S’affacciò sulla porta con un risolino di scusa e disse che non voleva disturbare la mia lettura. Lo feci entrare, imbarazzato a mia volta per il letticciolo di ferro, e sedere alla finestra. Si andò sventagliando con la cappellina e poi disse che lo scusassi con Doro e con Clelia, ché non poteva venirci a prendere con la macchina. Era impegnato.
Sulla spiaggia quella sera ne dicemmo di cattive sul conto di Guido. Le piú invelenite erano le ragazze, che tenevano alla gita. Berti, ormai stabilito e circolante tra noi, apparve l’unico indifferente. Lo sentii rispondere a Ginetta che insomma al mare si veniva per stare in acqua e non per visitare i santuari.
— Dunque, — gli dissi, sedendomi accanto a lui sulla sabbia, non pensi piú alle letture?
— Volentieri, — mi disse.
— Magari con queste ragazze.
Mi guardò risentito. — Io? — disse. Era un fatto che, seduto sotto lo scoglio, aveva un’aria seccata. E prima, quando l’avevo veduto, teneva testa a tutte con un’aria condiscendente, riluttando.
— Non mi dirai che ti ripugniamo anche noi. Sei venuto a cercarci.
Berti sorrise. Ci passò avanti Ginetta, aggiustandosi la cuffia, pronta a nuotare. Vedendola da seduto andar lenta, nel gesto di coprirsi l’orecchio, mi parve molto alta, piú che donna. Berti si guardò le ginocchia e brontolò: — Mi dànno fastidio. Non si capisce cosa sia, una ragazza.
Davanti a noi si parò Doro e fece per buttarsi a terra. — Questo è lo studente, — gli dissi. Li presentai. Si toccarono la mano in ginocchio.
Poi Doro cominciò a discorrere con me di non so cosa, in uno di quegli umori bizzarri e bruschi che usavamo da studenti. Era evidente che Berti non c’entrava. Da una parte ascoltavo Doro, dall’altra tenevo d’occhio il mio giovanotto.
Che di punto in bianco chiese: — Ingegnere, si fermerà molto?
Doro ci guardò per traverso e non rispose. Berti attese, rosso in faccia benché cotto dal sole. Dopo un lungo silenzio, dissi io che alla fine di agosto me ne andavo. Ma Doro implacabile non aprí bocca. Tutti e tre guardammo il mare, dove Ginetta entrava allora e donde inaspettata emerse Clelia. La lasciammo avvicinare e non sapevo se sorridere. Ci fece lei una smorfia, perché un piede le scivolò sui ciottoli.
— Andate pure, il mare è vostro, — ci gridò, facendo il gesto, e si diresse all’ombrellone. Doro si era alzato. — Facciamo quattro passi? — mi disse. Mi alzai, guardando appena Berti. Fissava ancora l’orizzonte con aria stoica.
Piú tardi, freschi e riposati, eravamo seduti intorno all’ombrellone, e Clelia fumava una sigaretta e io la pipa.
— Chi sa dov’è andato Berti, — dissi. Doro non si mosse. Disteso tra noi, guardava il cielo. — Siete proprio amici, — disse Clelia, — siete inseparabili. — Faccio da paravento ai suoi amori, — dissi. — C’è una donna che altrimenti sarebbe gelosa.
Queste storie a Clelia piacevano e dovetti raccontarle tutta la faccenda e la discussione nella trattoria. Doro non diceva nulla, e continuò a guardare in su.