La spedizione inglese in Abissinia (1887)/I

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Prefazione II

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I.

L’Abissinia.
Fatti che diedero origine alla spedizione inglese.

L’Abissinia può definirsi, geograficamente parlando, quell’ammasso di alte montagne dove hanno origine, da una parte, il Nilo Azzurro, il Tacazze ed altri affluenti minori della riva destra del Nilo, dall’altra, i pochi torrenti che attraverso le pianure sabbiose dei Scioos e dei Gallas vanno a gettarsi nel Mar Rosso o nell’Oceano indiano tra Massaua ed il Golfo di Aden.

La separazione tra le acque che scendono al Nilo e quelle che vanno al Mar Rosso od all’Oceano Indiano, è determinata da una serie di altipiani i quali costituiscono appunto la cresta del sistema abissino, e si succedono, l’uno all’altro, in direzione press’a poco del meridiano.

Il clima di quegli altipiani, grazie alla elevazione sopra il livello del mare (dai 2000 ai 3000 metri), può dirsi temperato, e presenta un delizioso contrasto coi calori infocati del Mar Rosso; ma v’è una stagione, che comprende i mesi da maggio ad ottobre, durante la quale continue pioggie convertono gli altipiani in pantani, e danno origine a torrenti impetuosissimi che rendono impossibile qualsiasi comunicazione col mare.

La provenienza del popolo abissino rappresenta, per gli storici e pei geografi, un problema ben lungi ancora dall’essere risoluto; e qui basterà citare le due grandi caratteristiche affatto speciali di quel popolo africano, ossia: il profilo perfettamente caucasico del volto, che stona non poco coi capelli lanosi e ricciuti e col colore quasi nero della pelle, ed il cristianesimo importatovi nel iv secolo dopo Cristo e rimastovi tuttora.

Per tacere della leggenda della regina Saba attirata a Gerusalemme dalla fama di re Salomone, i primi documenti attendibili per la storia dell’Abissinia rimontano al secondo secolo dell’era volgare: quei [p. 7 modifica]documenti accennano già ad un regno potente il quale dalla capitale di Axum stendeva il suo dominio, lungo la costa, da Suakim sino al paese dei Somali, e, nell’interno, dai deserti della Nubia sino al lago Tsana.

Quel regno crebbe, nei secoli seguenti, a grande stato di floridezza e s’allargò sino a comprendere le opposte rive del Mar Rosso; ma combattuto dalla invadente potenza degli Arabi, e rôso da lotte politiche e religiose, venne più tardi a totale decadenza e si ridusse, poco alla volta, alla regione montuosa del centro.

I portoghesi venuti, verso il 1500, a soccorrere gli Axumiti contro gli invasori mussulmani, lasciarono dietro di sè alcune missioni cattoliche, le quali, col voler ridurre i cristiani d’Abissinia alla dipendenza dalla sede di Roma, non fecero che aggiungere un partito di più ai tanti che già desolavano lo sventurato paese.

Verso la metà del secolo xvii le missioni portoghesi furono scacciate dall’Abissinia; ed allora le relazioni di questa regione africana col mondo incivilito cessarono interamente per altri cento anni, sino a che nel 1769 lo scozzese Bruce richiamò col suo viaggio l’attenzione degli Europei sull’Abissinia, e fu in tal modo l’iniziatore di quella serie di esplorazioni che si chiuse poi nel 1868 colla spedizione inglese.

Le missioni portoghesi avevano trovato l’Abissinia sotto il governo dei suoi re: re guerrieri che avevano per reggia la tenda e che vivevano trasportandosi da un punto all’altro del regno, or combattendo, ora amministrando la giustizia, ora raccogliendo tributi.

Bruce e gli altri trovarono invece l’antica dinastia o spenta, o decaduta, ed il paese, diviso in tre Stati principali: Amhara, Tigré e Scioa, divisi essi pure tra tanti principotti o feudatari, di null’altro occupati che di combattersi a vicenda: — e del resto totale assenza di commercio o d’industrie, nessuna traccia di civiltà tranne le forme esterne del Cristianesimo, e nessun’altra ricchezza all’infuori dell’agricoltura.

In questo medesimo stato di cose trovarono l’Abissinia nel 1840 due giovani ufficiali della marina inglese, i signori Plowden e Bell, i quali, trattenuti forse da grande amore alla vita d’avventure, finirono per stabilirvisi definitivamente: uno d’essi, in un breve viaggio in Inghilterra ottenne anzi da lord Palmerston nel 1848 la nomina a console inglese in Abissinia. [p. 8 modifica]

Questi due signori, passando da un campo all’altro dei diversi principotti, finirono per legare la loro sorte a quella di un giovane capo abissino, chiamato Kassa; il quale, più intelligente, più energico, e più fortunato degli altri, aveva vinto, poco alla volta, i più potenti tra i suoi rivali, e stendeva il suo dominio sopra un territorio ogni giorno più vasto.

Kassa parlava già di ricostituire l’antico regno d’Etiopia, e si diceva chiamato da Dio a fare la grandezza del suo paese, a combattere l’islamismo, a conquistare Gerusalemme; — fondandosi anzi sopra un’antica leggenda, egli andava predicando che in lui era rinata l’anima di un re Teodoro morto nel secolo xi, e la cui memoria era assai cara agli Abissini. — La sorte non cessò di favorirlo: e nel 1855 l’abuna o vescovo lo consacrava Negus dell’Abissinia col nome di Teodoro II.

Sempre invaso dall’idea di combattere l’islamismo, e di conquistare Gerusalemme, il nuovo re volle ben presto provare le sue forze contro l’Egitto; ma, disfatto e respinto, ebbe il buon senso di capire che il suo esercito non poteva far fronte ad un altro più o meno ordinato all’europea; e da quel giorno fu suo pensiero predominante attirare in Abissinia maestri ed artigiani europei.

Era morto frattanto il signor Plowden, primo console inglese, e lord Russell gli aveva nominato un successore nella persona del capitano Cameron: — quest’ultimo, giungendo in Abissinia nel 1862 vi trovò già non pochi missionari, alcuni dei quali, spediti dal reverendo Gobat, vescovo protestante di Gerusalemme, erano appunto apostoli ed artigiani al tempo stesso.

L’accoglienza del re a Cameron non fu certo cordiale: ma nella speranza forse di cattivarsi il favore dell’Inghilterra e di ottenerne appoggio nelle future spedizioni contro i Turchi, Teodoro scrisse alla regina Vittoria offrendole amicizia ed alleanza, ed espresse a Cameron il desiderio che portasse la lettera egli stesso.

Cameron, anzichè aderire al desiderio del re, se ne parti per una città presso i confini dell’Egitto, dove lo chiamavano, a quanto sembra, le sue funzioni di console, e la lettera fu spedita alle Indie dove rimase dimenticata.

Il re, già in sospetto per il soggiorno di Cameron ai confini dell’Egitto, si adirò fortemente quando seppe che egli era ritornato [p. 9 modifica]senza la risposta della regina, ed ordinò che il console fosse trattenuto in ostaggio sino a quando la risposta non fosse arrivata.

A rendere Teodoro così permaloso concorrevano, pur troppo, altri avvenimenti; giacchè i nemici del re cominciavano allora a riaversi dalle disfatte subite ed alzavano già in alcuni punti lo stendardo della ribellione; fatto sta che la condotta di re Teodoro verso Cameron ed i missionari fu da quel momento una successione non interrotta di selvagge bizzarrie che non val la pena di citare; le difficoltà all’interno crescevano a dismisura, il nuovo impero s’andava sfasciando, ed il re, sospettoso ogni giorno più, si decideva finalmente nel 1864 a far incatenare Cameron ed i missionari ed a spedirli in Magdalà, fortezza sui confini dei Gallas.

Il governo inglese, avvertito della cosa, pensò di mandare ambasciatore al re certo sig. Rassam, armeno, ed il tenente Prideaux, dell’esercito delle Indie; ma Teodoro credè bene di incatenare anche questi, e di spedirli a Magdalà a tener compagnia agli altri.

L’Inghilterra protestò, ma inutilmente; ed alla fine, poichè ogni mezzo era riuscito vano, si decise nel 1867 per la guerra.

Re Teodoro, a quest’annunzio, dal centro dell’Abissinia, dove si trovava, pensò di accorrere col suo esercito in aiuto di Magdalà, contro cui suppose subito che sarebbero stati diretti gli sforzi delle truppe inglesi; ma, circondato da ribelli, esausto di mezzi, ridotto a far trascinare a braccia d’uomo i suoi pesanti cannoni, ed obbligato ogni giorno a costruire la strada che doveva percorrere l’indomani, il re non poteva giungere a Magdalà se non dopo tre o quattro mesi di marcie non interrotte. Gli inglesi pensarono dunque di affrettare i preparativi di guerra, nella speranza di arrivare a Magdalà prima del re.