La signora dalle camelie (teatro)/Atto IV/Scena seconda
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dal francese di Luigi Enrico Tettoni (1883)
◄ | Atto IV - Scena prima | Atto IV - Scena terza | ► |
SCENA SECONDA
Armando e detti.
Saint. E così, non si giuoca più!
Rieux. No.
Saint. Allora andiamo nelle sale da ballo?
Rieux. Voi sapete che il ballo mi piace poco, giuocherei piuttosto... ma questa notte mi sono mortalmente annoiato. Ditemi in po’: fra quelle ballerine non vi sarebbe per avventura Adele?
Saint. Zitto! se quel serpente d’Olimpia vi sente, non mi lascia più un istante di pace.
Duvernoy. (nel volgersi verso il servo vede Armando) Oh! il signor Armando!
Rieux. (volgendosi) Armando a Parigi! buona sera, amico, noi parlavamo appunto di te.
Armando. E cosa dicevate?
Duvernoy. Dicevamo che eravate a Tours e che non sareste venuto.
Armando. Sembra che vi siate ingannati.
Saint. Tanto meglio!
Rieux. E quando siete arrivato?
Armando. Un’ora fa. Duvernoy. Ebbene, signor Armando, quali novità ci recate?
Armando. Nessuna.
Saint. È troppo poco.
Duvernoy. Avete veduto Margherita?
Armando. No.
Duvernoy. Fra poco sarà qui.
Armando. In questo caso la vedrò!
Duvernoy. In qual maniera mi dite queste parole?
Armando. E come volete che ve le dica?
Duvernoy. Il cuore è dunque guarito?
Armando. Grazie a Dio, perfettamente... Infatti, se non fosse così, mi vedreste forse su questa festa?
Duvernoy. Per cui voi non pensate più a lei!
Armando. Se vi dicessi che l’ho affatto dimenticata, sarebbe una menzogna: ma io, per fortuna, sono nel novero di quelli uomini che guariscono facilmente da una passione. Margherita mi ha congedato in un modo così bizzarro, che io mi sono rimproverato d’essermi pazzamente innamorato di lei.
Duvernoy. Essa pura vi amava, e forse vi ama ancora, ma le circostanze... i suoi debiti erano così enormi...
Armando. Voi avete ragione, signora Duvernoy; un miserabile come sono io non poteva trovare i mezzi per pagarli. Infatti voi dovrete saperlo.
Duvernoy. Ma...
Armando. Ed ora il signor Varville ha pagato?
Duvernoy. Sì.
Armando. Sia dunque tutto per il meglio.
Duvernoy. Il signor Varville non se lo fece dire due volte; le ha ricomprato i cavalli, i gioielli e tutto quanto aveva prima venduto.
Armando. Ed è sempre restata a Parigi?
Duvernoy. Naturalmente. Non ha più voluto ritornare ad Anteuil, dal giorno che voi vi eravate partito. Sono andata io stessa a ritirare tutti i suoi oggetti ed anche i vostri; questa mi fa risovvenire che ho molte cose da restituirvi; voi passerete da me a prenderle. Non v’era che un portafoglio colle vostre cifre, che Margherita ha voluto tenere, ma se credete, gliela domanderò.
Armando. Non importa.
Duvernoy. Del resto poi vi dirò che io non l’ho mai vista così abbattuta; non dorme quasi più, frequenta tutte le feste da ballo, e vi passa le intiere notti: pochi giorni sono, dopo una sontuosa cena, è rimasta tre giorni a letto, e quando il medico le permise di alzarsi, ricominciò l’istessa vita col rischio di morirne. Se continua così, ho paura che voglia durar poco; e voi, fate conto di rivederla?
Armando. No, o signora, il passato è morto, ed io le ho perdonato.
Duvernoy. Infatti è meglio evitare una spiegazione, forse fatale per ambedue.
Armando. (vedendo Gustavo) Signora Duvernoy, vi prego di lasciarmi solo: veggo uno de’ miei amici al quale vorrei dire una parola in segreto.
Duvernoy. Accomodatevi pure; ritorno nelle sale da ballo. (esce).