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Armando. Ed è sempre restata a Parigi?
Duvernoy. Naturalmente. Non ha più voluto ritornare ad Anteuil, dal giorno che voi vi eravate partito. Sono andata io stessa a ritirare tutti i suoi oggetti ed anche i vostri; questa mi fa risovvenire che ho molte cose da restituirvi; voi passerete da me a prenderle. Non v’era che un portafoglio colle vostre cifre, che Margherita ha voluto tenere, ma se credete, gliela domanderò.
Armando. Non importa.
Duvernoy. Del resto poi vi dirò che io non l’ho mai vista così abbattuta; non dorme quasi più, frequenta tutte le feste da ballo, e vi passa le intiere notti: pochi giorni sono, dopo una sontuosa cena, è rimasta tre giorni a letto, e quando il medico le permise di alzarsi, ricominciò l’istessa vita col rischio di morirne. Se continua così, ho paura che voglia durar poco; e voi, fate conto di rivederla?
Armando. No, o signora, il passato è morto, ed io le ho perdonato.
Duvernoy. Infatti è meglio evitare una spiegazione, forse fatale per ambedue.
Armando. (vedendo Gustavo) Signora Duvernoy, vi prego di lasciarmi solo: veggo uno de’ miei amici al quale vorrei dire una parola in segreto.
Duvernoy. Accomodatevi pure; ritorno nelle sale da ballo. (esce).
SCENA TERZA
Gustavo e detto, poi un Servo.
Armando. Hai tu ricevuta la mia lettera, Gustavo?
Gustavo. Sì, e sono subito venuto.